Consulenti, c’era una volta il promotore finanziario

A cura di Manlio Marucci

La struttura della realtà lavorativa dei consulenti finanziari  richiede una significativa rilevazione del tipo di rapporto di condizionamento che lega, nel processo organizzativo interno alla realtà aziendale,  i complessi problemi a livello istituzionale e normativo nonché la percezione dei comportamenti collettivi che costituiscono l’ossatura delle relazioni umane nel rapporto  personalizzato consulente-cliente.

Di recente  è stato dato molto spazio sulla stampa di settore a Francesco Priore,( “Consulente finanziario”, ecco la storia di una denominazione che non trova pace) storico della professione nel mondo dell’intermediazione finanziaria, che ha ricostruito in modo elegante la nascita della figura del “consulente finanziario” e il suo percorso nel durante cercando di focalizzare, al meglio, le varie  fasi con cui si è affermata  la professione del Consulente finanziario e del  suo opposto il Promotore finanziario all’interno del sistema  finanziario italiano.

Interessante notare infatti – come ha fatto Priore  – la confusione generatasi sul modo di identificare  la qualifica del  CF  prima e dopo la legge istitutiva sulle SIM del 1991; legge con cui il legislatore volle attribuire a tale professionisti  il  nome poco adeguato di   “Promotore dei servizi finanziari”,(ex art.5 L.n.1/91) fortemente  limitativo rispetto alla sua formazione culturale  e struttura  socio-professionale. Accettata  passivamente tale definizione, senza una presa di posizione  che rimettesse in gioco la natura e lo skill di tale professionisti, le  organizzazioni deputate a  difendere i vari interessi  in campo,   ne hanno passivamente  accettato il  modello operativo, eludendo  il problema se effettivamente la struttura ricettiva ovvero i  risparmiatori e gli  investitori  ne condividessero  l’impostazione e il  ruolo.

Per  lunghissimi anni tale modello così  configurato è stato  assimilato più ad un “promoter”, ovvero un classico venditore di fondi e polizze, ancor più se la sua identificazione veniva – come tra l’altro lo è ancora oggi –  associata all’agente e rappresentante di commercio. In sostanza un  classico operatore  di  prodotti e servizi  da banco.

Ne è una  diretta testimonianza  relativamente al  ruolo svolto dal  consulente/promotore,  la sassata  lanciata di recente dal blog del Fatto Quotidiano dell’11 maggio scorso a firma di Federico Boero, (Forse sarebbe meglio se le banche tornassero a svolgere la loro funzione originaria) . che,  in modo non certo ortodosso e senza peli sulla lingua, ha  definito tale figura: “il gatto e la volpe sono ancora in affari  ma pare ci siano meno Pinocchi in giro” ed ancora, “a me quei promotori finanziari sembravano quelli che vendono i numeri del lotto”. Non solo. Tempo addietro si era scagliato anche il prof. Bebbe Scienza   con un articolo al vetriolo contro l’intera categoria dei consulenti finanziari https://patrimoniefinanza.com/…/la-scienza-di-beppe…/  e  anche un autorevole società indipendente come Moneyfarm  con uno spot molto contestato si  era espressa in modo poco simpatico sulla figura del Cf  https://www.bluerating.com/banche-e-reti/574983/ecco-lo-spot-che-ha-fatto-infuriare-i-consulenti .Articoli al vetriolo che identificano  i Promotori  come “venditori di fumo” se non “piazzisti del gestito”.

Accuse pesanti che hanno necessità di essere criticate e fare chiarezza ricostruendo  la  formazione di base, nonché la  funzione sociale e politica di tale professione.

In realtà la volontà del legislatore – contestualizzando il periodo –  non aveva altra scelta per le semplici ragioni che gli interessi dominanti delle forze in campo e le pressioni politiche esercitate sul sistema finanziario ne hanno determinato la sua funzione: il “promotore”  come un appendice “funzionalmente necessaria” alle logiche degli intermediari  che forti di catturare il risparmio delle famiglie italiane avevano necessità di strutturare una figura professionale su cui scaricare le eventuali  contraddizioni e senza nessuna incidenza di costo sul proprio conto economico.

Applicando quasi totalmente il “modello contrattuale di agenzia” senza un preliminare confronto con le parti sociali sui temi  specifici che si affacciavano all’orizzonte per  la forte crescita degli strumenti finanziari, si è impedito di fatto di neutralizzare il ruolo e la funzione specifica attribuita al consulente finanziario.  Una figura professionale che per riaccreditarsi presso la  comunità degli investitori  ha impiegato  più di venticinque anni con l’ausilio e  le sollecitazioni di applicazione di norme comunitarie (Mifid I e Mifid II) che hanno  dato poi corpo organico all’interno del sistema creditizio, finanziario ed assicurativo italiano.

Va anche detto tuttavia che le ragioni di fondo che portarono a  scegliere il nome di “promotore dei servizi finanziari” per l’offerta fuori sede furono anche di natura tecnica poiché il nome di “consulente finanziario”  confliggeva con la identificazione del termine “consulenza” che era invece attività primaria autorizzata per le Sim.

Successivamente e prima dell’ufficializzazione del ripristino del termine “consulente finanziario” (2016), le svariate denominazioni utilizzate come meccanismi di difesa dai soggetti  coinvolti (Consulenti ed Intermediari), hanno cercato di neutralizzare il nome di “promotore” con altre denominazioni  come:  consulente finanziario super parters,  financial advisor, wealth manager, personal banker, life banker, family banker, private advisor, personal financial advisor, private banker, bancario ambulante. Tutte allocuzioni che  non hanno fatto altro che complicare  la trasparenza nei confronti  degli interlocutori diretti (clienti)   “senza”  dare una identità al mercato.  Anche le Autory di vigilanza non hanno preso in esame tale condizione con proprie determinazioni esplicative. C’è da sottolineare che neanche la  nuova qualifica identificata dalla legge per il  Consulente finanziario iscritto all’Albo è mai stata presa in considerazione dai sindacati del credito nell’ambito dell’inquadramento  del contratto collettivo di settore, cosa  che avrebbe dato dignità  sul piano giuridico-normativo e contrattuale a tali qualificati professionisti. Un errore politico imperdonabile se si pensa che tale condizione non ha ancora oggi trovato una soluzione organica all’interno del  sistema creditizio nonostante l’importanza – al di là delle sporadiche lamentele –  che viene riconosciuta dai media  alla consulenza  ed assistenza offerta da tali professionisti  nella pianificazione del patrimonio della clientela e ancor più nella funzione di educatore finanziario.

Vi è quindi una ideologia ben strutturata dei vari modelli terminologici utilizzati dai diversi  interlocutori  su come sia meglio identificare il nome del  CF, quando in realtà tale dibattito serve ad oscurare i problemi di fondo presenti all’interno della categoria. Questo dibattito sembrerebbe piuttosto teso a trovare  meccanismi  di difesa  utilizzati in modo elegante con un linguaggio  esoterico, accattivante in stile anglosassone e  servono  a promuovere, in termini propagandistici, come  la funzione della consulenza finanziaria  sia la migliore possibile.

Per obbiettività di giudizio c’è da rilevare che  nessuno ha analizzato la radice di fondo che ha determinato questa  confusione linguistica o ha cercato di scavare come sia emerso anteriormente alla legge sulle SIm  questo assioma, posto il principio che per superare l‘anomia tra “Promotore” e “ Consulente”  sia utile conoscere la genesi  del processo di formazione di  tale professione che affronterò in un successivo  articolo.(*) avvalendomi dell’analisi sociologica e ricerca sul campo.

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