Consulente, ma come fai a fare tutto?

A cura di Maria Anna Pinturo, consulente presso Credem con la qualifica di Wealth Planner e fondatrice del blog diversamentefinanza.com. 

C’è chi pensa che il consulente debba puntare tutto sulla performance, se non sulla perfezione. Io non la vedo così: siamo umani, non imperturbabili robot. E proprio questa umanità può essere una carta vincente

«Secondo uno studio recente, le donne che hanno figli piccoli non dormono mai una notte intera. I ricercatori non sono riusciti a spiegarne il motivo. Potevano chiedere a me: invece di dormire faccio… la lista!»

Alt, non sto parlando di me. Oppure sì?

Capita sempre che, di fronte ad affermazioni molto forti come quella con cui esordisce il simpatico trailer della commedia dal titolo emblematico “Ma come fa far tutto? “, ci si difenda: in effetti, riconoscersi nelle vesti di una che, invece di dormire, farebbe la così detta to do list è non poco impegnativo nei termini degli esiti reputazionali che potrebbero conseguirne. Specifico: il nostro settore è quello in cui lo standing (si dice così no?), la forma, sembrerebbe essere la chiave del successo.

O forse non è proprio così?

Guardando più da vicino cosa cercano i clienti in noi vi è la vera risposta. E proprio soffermandosi su questo aspetto, occorrerebbe che chi ha in mente di scegliere questa bellissima professione non pensi che il salto professionale abbia come primo significato l’estremizzazione della formalità, l’accentuazione di una distanza; parliamo invece proprio dell’opposto.

Ultimamente mi capita spesso di parlare con colleghi di altre banche che mi chiedono: come hai fatto a fare il cambiamento? Come ti sei organizzata? E ora che scrivi anche articoli? Insomma. Sembra quasi che mi incitino a rispondere alla domanda del titolo del film: «Ma come fa a fare tutto?». Mi colpisce che l’accento è posto sempre su come io riuscirei a nascondere tutti i difetti della messa in opera, sì insomma a camuffare la complessità dei dettagli di cui è fatta la vita. E quando dico che io sono come mi presento, esattamente la stessa con i clienti e nella realtà dei rapporti, si mostrano apparentemente soddisfatti, quasi dovessero per forza accontentarsi di affermazioni di circostanza (che sarebbero le mie) censuranti la dura verità, quasi non fosse possibile essere reali in questa professione, pena la perdita prima del controllo e poi inesorabilmente… del cliente.

L’obiezione di coscienza è la seguente, anche se non la dicono apertamente: non si può mostrare chi si è perché i clienti devono vedere nel consulente una persona che dimostra di saper risolvere, rispondere e trovare soluzioni, e queste tre performance caratteristiche non potrebbero trovarsi se non in chi in un certo modo abbia raggiunto (sottolineo raggiunto) una sorta di distacco dalle vicende del mondo. Quasi il consulente fosse un professionista che avendo capito come fare una volta per tutte, sarà tanto più credibile quanto più si mostrerà sicuro e imperturbabile.

Peccato che io, ahimè, sia esattamente l’opposto. E quindi la domanda può sorgere spontanea, se non obbligata. Senza arrivare alle capriole che la simpaticissima Jessica Parker nel film arriva a fare di fronte al suo nuovo “cliente-opportunità”, lasciando trasparire quanto la sua organizzazione sia comunque fallimentare di fronte alla complessità della vita, penso davvero (e così ho detto ai colleghi), che i clienti in realtà cerchino nel loro consulente prima che la soluzione, prima che la risposta (che molte volte hanno loro… ed è la più difficile da scalfire), prima che la fine di un percorso, il suo vero inizio. Senza rendersene conto, i clienti che si avvicinano al consulente di fatto vogliono finalmente iniziare un percorso. Proprio perché le soluzioni pronte, in realtà, quelle che riescono a trovare da soli, non sono più sufficienti.

E con chi si ha voglia di iniziare un percorso se non con chi parla direttamente a loro invece che proclamare le somme verità scritte?

Lo si vede ogni volta che si acquisisce un nuovo cliente. Me lo sono chiesta in questi giorni. Perché io? Perché ha scelto me? Non come una di quelle domande che potrebbero tenermi sveglia la notte, ma come un punto di lavoro e di riflessione per partire con una nuova e più importante consapevolezza del ruolo.

Il cliente che sceglie noi sceglie un “tu” che prima di ogni risposta, prima di ogni soluzione al suo problema, prima di ogni definizione, cattura la sua attenzione. Perché lo costringe a fare quel passaggio che da solo non è in grado di fare. E quanto più il consulente entrerà nella dinamica del rapporto con il suo cliente mettendo dentro come ingrediente sé stesso, tutto compreso, tanto più suo davvero sarà quel cliente.

Un collega mi ha chiesto: ma io come faccio a capire che sono pronto a fare il passo? Gli ho risposto: tu cosa vuoi fare nella vita? Cosa vuoi comunicare? Cosa vuoi che vedano i clienti in te? Panico. Nessuna risposta. Capisco, perché è forte l’immagine standard del consulente come chi ne sa più dei clienti e che per questo possa ritenersi pronto a rispondere a tutto, il personaggio speciale a cui affidarsi e di cui fidarsi. Il collega dopo una pausa mi ha dato la risposta comune (ma non gliene voglio!): «Voglio essere un punto di riferimento per i miei clienti». Risposta perfetta, ma non dice tutto.

Non che questa nostra scelta non richieda esperienza e consapevolezza, e che queste ci mettano in fondo in una posizione di “superiorità” anche se non sempre meritata e comunque sempre difettosa (per quanto mi riguarda almeno!). Ma forse il rimanere nella possibilità che i clienti ci chiedano ancora «ma come fa a fare tutto?», che vedano in noi delle persone reali, immerse in una vita complicata al punto da spingerli a chiederci come facciamo a fare tutto, non solo ci può stare ma è oserei dire auspicabile. Almeno se si desidera che la nostra professione diventi irrinunciabile per i nostri clienti (e non sostituibile con un Robot Advisor, per dire). In fondo ci accorgiamo di questo in un momento preciso, che rappresenta il culmine della relazione. Quando il cliente improvvisamente si occupa di noi. Si chiede come stiamo se non lo sentiamo per qualche tempo. A voi non è capitato, in questi tempi di preoccupazione? A me sì, e mi sono resa conto in quei momenti di quanto la consulenza abbia costruito nel tempo, oltre al portafoglio. Questo non si può improvvisare, e guarda caso non deriva da una preparazione; chi sceglie di fare questo bellissimo lavoro sappia che la grande promessa è questa, a condizione che si sia disposti a farsi notare anche mentre si fa… la to do list.

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