Banche, c’è bisogno di un cambio di rotta

Le banche retail italiane sono molto attente ai costi, dove hanno “corso dieci volte più velocemente dei competitor europei”. Ad affermarlo, come riportato da Il Sole 24 Ore, è una ricerca del Banking Radar di Kearney.

Secondo la fotografia fornita, dal 2016 a oggi, i maggiori istituti domestici hanno fatto passi da gigante sugli oneri operativi. Il campione formato da Intesa, Unicredit, l’ex ubi, Banco Bpm, Bper, Mps e Creval, ha ridotto del 10% i costi operativi: un taglio dieci volte superiore a quello europeo. Nel continente il calo è stato pressochè minimo, si parla del -1%.

L’ottimizzazione lato costi ha permesso di compensare il drastico calo dei ricavi, anche se non abbastanza da ridurre il rapporto costi e ricavi. Nel 2016 il gap era 67%, oggi ammonta al 65%.

“Le banche italiane, assieme a quelle spagnole, sono tra quelle che hanno fatto più lavoro sul fronte dei costi operativi” commenta Roberto Freddi, associate partner di Kearney, che aggiunge: “Continuano però a soffrire sui ricavi”.

La causa del mancato aumento degli introiti è dovuto ai tassi rasoterra, fenomeno che in Italia, dal 2016, ha visto una riduzione del margine di interesse del 25% contro il -5% della media Ue. “Sul wealthmanagemetn le nostre banche sono riuscite a difendersi anche grazie a un pricing mediamente più alto della media europea” spiega Ettore Pastore, partner Kearney.

Insomma uno scenario tanto di stallo, quanto di sfida. La necessità, sembra chiaro, è quella di invertire la rotta. Come farlo sul fronte dei costi? L’efficientamento rimane il mantra, con stime di almeno 35-45 miliardi necessari per i prossimi 3-5 anni. In Italia, le banche retail sono chiamate ad uno sforzo ancora maggiore: “revisione radicale del modello operaivo ripartendo dal cliente” aggiunge Freddi, “nonché al mix di canali e a strategie più spinte di open banking”.

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