La consulenza ha due facce

A cura di Maria Anna Pinturo, Wealth Planner di Credem e creatrice del blog Diversamentefinanza.com

 

 

VIDEO YOUTUBE https://www.youtube.com/watch?v=mpW75VSjD14

Quanto mi piace il cinema! Riesce a comunicare, senza definire, quello che non si trova scritto quasi da nessuna parte.

«Credevo di poter vivere così, che mi bastasse, invece ho mentito a me stessa. Penso che le tue teorie sui rapporti tra uomini e donne siano tutte… Io credo nell’amore, nel desiderio, nelle storie romantiche… non voglio che alla fine si risolva tutto in un’equazione perfetta». È laconica, Barbra Streisand, al culmine della sua crisi di coppia sopraggiunta troppo presto e troppo all’inizio della sua unione con un uomo che invece di guardare il come vanno le cose nella vita, la realtà vera dell’amore, si attarda in inutili e apparentemente razionalissime teorie sul come si debba stare insieme e vivere l’affetto.

Cari consulenti, vi viene in mente qualcosa?

A me sì, forse per come vivo questo bellissimo lavoro. Ma attenzione: voglio come sempre mettere subito in guardia chiunque dal pensare anche lontanamente che qui in fondo la cosa importante e fondamentale nella relazione con il cliente sia il rapporto personale, e che quindi starei alludendo alla ben nota e conclamata vicenda di quanto sia importante corteggiare il cliente, portarlo a pranzo fuori, etc… Non che io non abbia fatto queste cose (nei limiti consentiti, tenete presente che vieto ai miei clienti di farmi regali che non siano simbolici, e loro lo sanno bene), anzi, mi disegnano così, come una consulente molto coinvolta personalmente con i suoi clienti.

Ma qui il punto che vorrei mettere a fuoco è un altro. Vorrei parlare di qualcosa di personale, o meglio che si presenta come personale, e che tuttavia nulla ha a che vedere con la gestualità identificabile chiaramente con quella del consulente finanziario “come si deve”, quello che decide di adottare comportamenti emotivi che lo porteranno prima o poi a farsi volere bene dal suo cliente.

Vediamo.

La protagonista del film, “L’amore ha due facce” (e ho preso a prestito non a caso il titolo) è una docente di letteratura appassionata alla sua materia al punto che i suoi studenti quando la ascoltano ne rimangono ammaliati, e quasi non vedono l’ora di tornare in aula. Lei provoca domande, insinua immagini nelle loro menti e passando attraverso quelle immagini il miracolo della comprensione è molto più efficiente ed efficace (posso essere un po’ pesante?) che neanche se spiegasse sonetti e endecasillabi alla perfezione. E questi non mancano, nella sua prosa espositiva, tuttavia emergono come la materia grigia all’interno di un coinvolgimento reso possibile da corrispondenze di altro genere, più dettate dall’aspetto umano. Personale, appunto. Addirittura la professoressa, in un’altra scena davvero affascinante, si attarda a far comprendere la concezione dell’amore nella storia della letteratura trasportando i suoi studenti dentro una storia davvero emotivamente seducente… coronata da risate di acceso consenso.

E lui? Lui invece è un professore di fisica, docente universitario, tanto illuminato nella comprensione della teoria quanto incapace nella trasmissione dei significati ai suoi studenti, che durante le sue lezioni aspettano con evidente insofferenza che quell’ora arrivi al termine.

Scommetto che in questa alterità molti consulenti si possano riconoscere e forse si domandano come mai i clienti escano dai loro incontri annoiati o comunque non coinvolti.

Due facce. Due lati. Teoria e Immaginazione. Ragionamento e vita bruciante. Indispensabili per consigliare. E incredibilmente la teoria riesce a passare di più attraverso i paragoni, le immagini della vita. Da noi si parla di storytelling come tecnica di comunicazione che a periodi ritorna di moda come via alla conquista della mente del cliente. Ma qui è ancora qualcosa di diverso. Tornando al film, la carismatica e coinvolgente professoressa perde le speranze di poter continuare a stare con un uomo che non le comunica quanto sia innamorato di lei nei comportamenti, quanto invece si attarda nel condividere con lei assurde e insostenibili (nella vita) teorie su come possa essere perfetto e duraturo il legame tra uomo e donna, senza coinvolgimenti fisici. E così quel rapporto si ferma fino a quando lui torna da lei e… (guardatelo voi). Quel rapporto si ferma. Si ferma perché teorico. Perché non funziona dire come dovrebbe essere, funziona vivere la situazione.

Ed ecco le due facce esattamente identiche nella consulenza finanziaria, che ragiona, fa evoluzioni di processo su concetti e soluzioni di investimento, che si deve concentrare su quanto il bilanciamento del portafoglio debba essere perfetto (ma il portafoglio bilanciato è ancora live?), ma che deve anche fare percepire, sentire al cliente che quel ragionamento è suo, adatto a lui, tramutandolo in un vissuto di esperienza.

E allora come fare? Uno dei difetti del nostro lavoro, lo ammetto, è quello dell’essere, o del dover essere, per forza teorico. Non si scelgono indumenti e non si guardano piatti. Non si parte per un viaggio in località sognate. Ma teorico rischia di essere anche identificato come staccato dalla realtà, al punto che il cliente si disamori nel breve di quel fantastico ragionamento di portafoglio per arrendersi e dire la fatidica frase: «Tanto io non ci capisco niente». Quasi dovessimo, noi consulenti, rinunciare a comunicare al nostro cliente quelle teorie e quei ragionamenti perché inutili.

Ma facciamo invece un esempio di vissuto, che comunica una teoria. Ho incontrato recentemente un possibile cliente che si occupa di tutt’altro rispetto alla finanza e che mi ha posto una questione da sempre complessa da affrontare: «Le dico francamente che non so se affidarmi a un consulente, vorrei provare da me a investire». A questo punto gli chiedo: lei è stato in tutti i paesi del mondo? Mi risponde ovviamente di no. Incalzo allora: ma lei scusi come fa a sapere che esistono? Alla mia domanda mi risponde sarcasticamente, «Che domande! Si studia, si ascolta, si conosce…si impara». Bene, gli dico, lei la veda così, Io potrei essere il suo libro attraverso cui conoscere e fare quello che lei dovrebbe leggere e valutare per anni per prendere singole decisioni di investimento. Tutto qui. In fondo quello che lei fa dalla mattina alla sera si fonda sulla fiducia su altro che lei non conosce, perché non potrebbe avere il tempo di appurarne le fondamenta. Ci pensi.

Questo per me è un esempio di teoria coniugata con vissuto di immaginazione. Come si può altrimenti convincere o comunque dire al cliente che è meglio affidarsi ad un consulente? Qualsiasi risposta data suonerebbe come un endorsement della propria causa. Qui invece ho messo a tema semplicemente l’esperienza personale, quella vera. Secondo me.

È dunque vero che le due facce della consulenza tenderanno a muoversi distintamente invece che in una felice coniugazione, unendo ragione e comprensione all’esperienza personale, al vissuto dell’immaginazione.  A meno che (c’è sempre, scopro sempre un a meno che...) si sia invece pronti a coinvolgersi, trasmettendo quella che spesso viene solo scritta come la passione per la consulenza finanziaria (quale consulente non direbbe di averla per il suo lavoro?).  E il come questo possa accadere è sempre nostro, personale, e qui l’aspetto personale, quello vero, non è certo fatto di caffè offerti o di aperitivi estivi, quanto piuttosto di originali (nel senso di personali appunto) risoluzioni che incontrino il favore del cliente, mentre lo si porta a una vivace comprensione delle pur importanti teorie della finanza.

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