Banche e polizze, il mondo sta cambiando

Il Covid ha messo in ginocchio diverse realtà, tra tutte quella economica, tra tutti i micro e macrosistemi aziendali. Ma c’è una cosa, a quanto riporta Il Sole 24 Ore, che la pandemia non ha eroso: la reputazione aziendale, che pare invece esserne uscita rafforzata.

Contrariamente a ciò che era successo nella crisi del 2007-2008, di questo rafforzamento di brand awareness ne hanno beneficiato soprattutto banche e assicurazioni, che sono state percepite come più “umane”. Gli italiani infatti si sono concentrati più sul corporate che sul prodotto. La crescita complessiva della reputazione è cresciuta, post pandemia, di 2,6 punti. Da 67,4 punti a 70,0.

A darne comunicazione è lo studio continuativo sulla reputazione di RepTrak, società globale specializzata in misurazione e advisory. L’indagine analizza gli scostamenti tra il periodo precovid (Gennaio-Febbraio 2020) e quello della pandemia (marzo-dicembre 2020), cercando di tracciare “un bilancio dei principali aspetti reputazionali e manageriali”.

Cos’è successo: l’emergenza ha portato molte aziende a rivedere i propri schemi con una forte accellerazione della trasformazione digitale, un significativo aumento degli investimenti sul benessere dei dipendenti, una serie di iniziative di carattere locale e una spinta verso i temi Esg. Tutti questi fattori hanno contribuito a creare banche e assicurazioni più vicine al cliente, o quanto meno percepite in tal modo.

Secondo lo studio, inoltre, molti player hanno avviato ainiziative per sostenere l’emergenza facendo appello al senso di responsabilità civile. Si tratta di una sorta di upgrade, secondo RepTrak che sta già offrendo nuove opportunità, in special modo le aziende che sanno cogliere i cambiamenti sociali.

I “driver” reputazionali che più sono cresciuti sono la “citizenship” (ovvero lo sforzo aziendale di comportarsi come un “cittadino modello”) con un buon 4,9%, il “workplace”  (ovvero i tentativi di migliorare il posto di lavoro ai propri dipendenti) con il 5,5% e infine la “governance” con il 4,4%, (ovvero la capacità di essere individuati come attori etici e trasparenti).

Sempre secondo l’analisi, le aziende del comparto bancario e assicurativo stanno seguendo la tendenza di affiancarsi o sostituirsi al pubblico nel fornire prodotti e servizi legati a welfare e sanità.

Infine, l’indagine delinea quattro quadranti in cui si inseriscono i vari player. Nel primo ci sono gli innovatori sociali che sono quelli con le migliori performance reputazionali: Unipol, Sella, Fineco, Credem e Intesa Sanpaolo. Nel secondo troviamo le presenze storiche: Banca Mediolanum, Crèdit Agricole, BancoPosta, Poste Italiane e Unicredit. In questo caso si tratta di aziende molto conosciute ma che non hanno ben presente il loro “pubblico” di riferimento. Nel terzo ci sono i challenger: Allianz, Generali, Groupama, Cattolica, Reale Group. Simili come caratteristiche agli innovatori, ma non con le stesse performance reputazionali.  Chiudono i tuners: Bper e Bnl. Si tratta degli “attori” che stanno riadattando il modello al nuovo contesto.

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