Mps, sos di Tremonti

Per l’ex ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, la strada per far uscire Mps dall’empasse è un intervento dello Stato. Ma a certe condizioni, come racconta in un intervista a L’Economia de La Repubblica.

“Molto riguarda il passato: allora io dico “dimenticare il passato”, in una logica sabbatica, come nella Bibbia. Significa non risalire alle cause del dissesto, non sindacare la gestione fatta finora, non discutere tutto quello che è stato fatto alla banca da politica, fondazione e partiti”. Così Tremonti dribbla il passato di Mps per portarla verso una soluzione e in concreto per imbucare la palla in porta e salvare quindi l’istituto senese sarà necessario transare le liti interne, ad esempio con la Fondazione Mps.

“Ma che senso ha la lite? Se vince, distrugge la banca e non ottiene l’effetto politico di conservare Mps a Siena. È una causa suicida. Se invece transasse, per esempio rinunciasse in cambio di una quota azionaria, anche simbolica, otterrebbe il suo obiettivo principale, che è la continuazione del Monte“. Con la dovuta vigilanza del Tesoro, sottolinea l’ex Ministro, che non manca di ricordare che sarà necessario e importante avere una baca Mps forte, senza escludere un eventuale ulteriore intervento dello Stato.

“Dal lato europeo l’atteggiamento della Bce è molto ragionevole; viole evitare una bancarotta. Poi c’è la DgComp. Ferme le ragioni della concorrenza, viviamo un tempo particolare. La cifra concessa in Europa in aiuti di Stato per il Covid è enorme, tale di sovvertire ogni criterio di mercato per salvare il mercato. Si parla di trilioni, metà dei quali finiti in Germania, che ha così indirettamente aiutato anche le sue banche”.

Insomma si palesa l’idea di Tremonti, l’eventualità di una Mps pubblica: “Se questo è lo scenario, un punto potrebbe essere: facciamo il salvataggio senza spezzatino, per fare restare Mps la quarta banca italiana. Se invece restano le cause, devi per forza fare lo spezzatino. Lo Stato allora deve mettere 2,5 miliardi di capitale, altri 2,5 di Dta e poi accollarsi il rischio delle cause. Alla fine l’onere per l’erario supera quanto è già stato speso, senza considerare le difficoltà tecniche: chi prende la banca? Chi la scompone, quali altre banche coinvolgi? È molto difficile”.

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