Esg e sostenibilità: arriva la salita

La sostenibilità, si può dire a gran voce e con certezza, è un trend. C’è chi lo segue pedissequamente, chi lo traveste incappando in ciò che comunemente è ormai noto come greenwashing (ovvero l’offerta di prodotti green, che poi così green non sono, o che affiancano nel portafoglio investimenti inquinanti). La “moda” però ha delle basi oggettivi, degli obiettivi concreti da raggiungere tramite normative più o meno precise.

Bruxelles, infatti, ha intenzione di raggiungere la quota pari al 30% di emissioni in Green bond sul totale dei 750 miliardi da finanziare sul mercato per dar corpo al Recovery plan comunitario. L’industria finanziaria dovrebbe giocare un ruolo da vessillo in questo senso, ma già i recenti “fattacci” con Dws (per citarne uno) fanno capire che la retorica del green potrebbe essere influenzata da una certa stanchezza.

Il Financial Times infatti, come riporta Album di Repubblica, si è fatto volano dei segni di fiacca della situazione verde, sentenziando che la risacca è iniziata. Ad incrinare gli entusiasmi non sono di certo solo i casi di Dws e Blackrock, ma anche le numerose denunce di ex dipendenti che hanno definito gli Esg un grande polverone che distrae dai reali sforzi politici.

Per il quotidiano della City, l’unico modo è creare degli standard che siano univoci e vincolanti. Una linea rossa che delimiti ciò che veramente è green e cosa no , quale condotta è bene adottare in un’ottica sostenibile e quale no. Lo si deve agli sforzi degli attivisti, alla fiducia degli investitori e alla fatica dei pochi imprenditori che cercano di impattare il meno possibile sull’ecosistema.

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