Consulenti, le unit linked della discordia

Le polizze unit linked dividono. Su questa particolare categoria di strumenti d’investimento, assai gettonati tra i consulenti finanziari italiani, le opinioni di molti investitori e osservatori dell’industria del risparmio gestito sono oggi divergenti, soprattutto per ragioni legate alla natura stessa delle unit linked. Si tratta infatti di prodotti finanziari-assicurativi ben diversi dalle polizze più tradizionali che offrono una protezione dal rischio di eventi dannosi. Le unit linked coniugano infatti assieme l’assicurazione a forme d’investimento sottostanti. Il nome stesso ne spiega la natura. Sono polizze legate (linked per l’appunto) a quote di fondi d’investimento (unit). Nonostante abbiano il loro ruolo di aggregatori di diversi prodotti finanziari, le unit linked finiscono per essere divisive nell’industria del risparmio.

Nessuna garanzia
Nello specifico, le controversie derivano dal fatto che le polizze di questo tipo, avendo rendimenti legati a quelli di alcuni fondi comuni d’investimento sottostanti (anche di tipo azionario), non offrono la garanzia di una prestazione minima ed espongono all’eventualità di perdite sul capitale. Viene dunque scaricato interamente sulle spalle dell’assicurato tutto il rischio legato alle attività finanziarie sottostanti le polizze. Non a caso, più di due anni fa, la Corte di Cassazione è intervenuta su questo aspetto con un’apposita sentenza, la n.6319 del 5 marzo 2019: “Nelle polizze unit linked”, si legge nella sentenza, “caratterizzate dalla componente causale mista, finanziaria ed assicurativa sulla vita, anche ove sia prevalente la causa finanziaria, la parte qualificata come assicurativa deve rispondere ai principi dettati dal codice civile, delle assicurazioni e della normativa secondaria ad essi collegata, con particolare riferimento al rischio demografico rispetto al quale il giudice di merito deve valutare l’entità della copertura assicurativa, desumibile dall’ammontare del premio versato dal contraente rispetto al capitale garantito, dall’orizzonte temporale e dalla tipologia dell’investimento”. La Suprema Corte quindi si è soffermata sul concetto di prodotto assicurativo, sostenendo che si è in presenza di quest’ultimo solo se vi è un rischio assunto dall’assicuratore e non quando si tratti di uno strumento finanziario, il cui rischio di performance sia per intero addossato all’assicurato.

Parola alle Entrate
Più di recente è arrivato un pronunciamento dell’Agenzia delle Entrate che, per quel che riguarda le questioni fiscali, ha sostenuto una tesi analoga. L’istituto ha infatti asserito che le unit linked sono equiparabili a uno strumento finanziario. Da esso derivano infatti redditi di capitale da assoggettare a tassazione anno per anno, vista l’assenza della garanzia di restituzione del capitale e del “rischio demografico”. Elementi ritenuti dall’Agenzia incompatibili con la natura assicurativa del prodotto. In tempi molto più recenti, però sono arrivati dei pronunciamenti della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che ha sostenuto (sempre dal punto di vista fiscale) una tesi diversa, almeno in apparenza. In sostanza, la Commissione ha decretato che le unit linked, dal punto di vista fiscale, sono prodotti assicurativi a tutti gli effetti. E ha di fatto accettato le caratteristiche tipiche di questo tipo di contratti (come la mancanza di certezza sull’importo del capitale rimborsato, o assenza di premi costanti, mancata assunzione del rischio demografico, modifica del peso degli indirizzi di gestione) non ritenendole ostacolanti al fine del riconoscimento della loro natura assicurativa, anche a fini fiscali.

Responsi differenti
La giurisprudenza civilistica e quella fiscale, insomma, hanno dato responsi differenti. Ma cosa ne pensano, invece, gli addetti ai lavori dell’industria finanziaria? Alessandro Pedone, responsabile per la tutela del risparmio per l’associazione dei consumatori Aduc, dà un giudizio molto severo sulle unit linked: “In vent’anni di professione come consulente finanziario non ho mai visto una polizza di questo tipo che valesse la pena di essere sottoscritta, a causa soprattutto dei costi a carico dell’investitore, sempre eccessivi”. Pedone mette infatti in evidenza che le unit linked sono prodotti finanziari che usano altri prodotti finanziari per costruire il portafoglio, moltiplicando inutilmente gli oneri a carico dell’assicurato. “Negli investimenti finanziari il tema del contenimento dei costi di gestione e negoziazione è uno degli aspetti centrali”, continua il responsabile per la tutela del risparmio dell’Aduc, che ritiene dunque fondamentale abbattere gli oneri a carico dei risparmiatori, riducendo il numero di scatole che si frappongono tra l’investitore stesso e lo strumento finanziario acquistato (azioni, obbligazioni e in genere tutti gli strumenti quotati), seppur indirettamente attraverso un prodotto del risparmio gestito.

Il rischio demografico
Di parere diverso è l’avvocato Luca Zitiello, dello studio legale Zitiello Associati, il quale sottolinea alcuni aspetti importanti: a parte il già citato pronunciamento della Cassazione, in realtà “anche la giurisprudenza italiana ha respinto tentativi di riqualificazione delle unit linked in meri prodotti finanziari, a condizione che siano rispettati gli elementi essenziali della polizza vita come la sussistenza della copertura del rischio demografico”. Inoltre, Zitiello ricorda anche un altro pronunciamento dei giudici, quelli della Corte di Giustizia Europea, che hanno confermato la piena legittimità di questo tipo di polizze, “in quanto rientrano appieno nella tipologia del contratto assicurativo che vede il versamento di un premio a fronte di una prestazione assicurativa”. Che siano considerate prodotti assicurativi o strumenti finanziari, sta di fatto che le maggiori reti italiane di consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede hanno un ruolo primario nel collocare sul mercato le unit linked. La dimostrazione si ha consultando i dati dell’Ania (l’associazione nazionale di categoria delle imprese assicuratrici). Nel primo semestre del 2021, i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede hanno collocato polizze unit linked (detti anche contratti del ramo III) per un valore complessivo di 5,7 miliardi di euro, con una crescita di ben il 95% rispetto allo stesso periodo del 2020. Questi dati aggregati trovano riscontro anche nei risultati di bilancio delle singole banche-reti, dove vengono specificati i volumi di raccolta derivanti da ogni specifica categoria di prodotti. Tra le masse gestite e amministrate da Fideuram ISPB (326 miliardi di euro), per esempio, gli asset investiti in polizze unit linked superano abbondantemente i 44 miliardi di euro.

Gettonate tra i big
Ammontano invece a quasi 29,5 miliardi di euro circa (su masse complessive amministrate e gestite di oltre 100 miliardi) gli asset investiti nelle unit linked dai clienti di Banca Mediolanum, che nel primo semestre 2021 ha raccolto con questi prodotti assicurativi oltre 2,2 miliardi di euro. Valgono invece più di 13 miliardi gli asset investiti in polizze assicurative dai clienti di Fineco (che nella relazione sulla gestione non distingue però tra unit linked e polizze tradizionali del ramo I). Il capitale investito in polizze dai clienti di Banca Generali ammonta invece a oltre 26 miliardi di euro. Anche in questo caso, la relazione non specifica se si tratta di unit linked o di contratti del ramo I ma le polizze con rendimenti legati ai mercati finanziari fanno la parte del leone e nel 2020 rappresentavano il 90% circa della raccolta assicurativa della banca. Dall’ultima relazione semestrale di Azimut, invece, emerge che il patrimonio investito dai clienti nelle unit linked ha un valore di 5,3 miliardi di euro, a cui si aggiungono altri 3 miliardi destinati alle polizze multiramo

 

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