Consulenti, la solitudine del numero primo

A cura di Maria Anna Pinturo, consulente presso Credem con la qualifica di Wealth Planner e fondatrice del blog diversamentefinanza.com. 

Intensità drammatica. Spessore umano. Spettacolo cinematografico. Quando un film ti lascia dentro qualcosa che non ti fa essere più quello di prima. Succede proprio guardando questa pellicola (La solitudine dei numeri primi, 2010) dal mio punto di vista incredibile, sulla “solitudine dei numeri primi”. I primogeniti, costretti a venire al mondo per primi, e in un certo modo a essere i primi a ricevere o a dare tutto a chi li ha messi al mondo, e per questo spesso destinati a una certa solitudine, appunto. A meno di incontrarsi e di mettere a fattor comune il senso di questo loro primato, di questa loro unicità per superare il limite che essa parrebbe rappresentare.

Scusate la digressione – ma non troppo – riferita a questo film, che mi è venuto in mente pensando a quanto sia strano, eppure sempre più confermato, che la cultura del sostenibile, che si presenta come un indiscusso primato per la sua unicità, insita nella sua pretesa di durare in un mondo in cui niente dura – e dopo la pandemia lo sappiamo bene -, questa nuova espressione che sta invadendo la comunicazione a ogni livello e di conseguenza la finanza (ora rinominata “finanza sostenibile”) sia difficile da comprendere e da perseguire. In questi giorni mi è capitato di conoscere un direttore vendite di una nota società di gestione del risparmio (lui non lo sapeva che avrei preso spunto da un nostro breve scambio di messaggi), fervido credente nell’importanza di questa nuova tematica di cui si sente molto per così dire… sparlare. Ebbene proprio lui (lo intervisterò prossimamente su Zona Franca) ha addirittura scritto un libro che nel titolo evidenzia la necessità di investire sulla sostenibilità come un vero e proprio imperativo. Quasi fosse non automatico. Niente affatto scontato. E per questo da incentivare, da portare all’attenzione degli investitori.

Che strano. Parlare di finanza sostenibile dovrebbe aprire davanti a noi consulenti finanziari un’autostrada, proprio per il suo porsi come sola e unica. “Prima” da tutti i punti di vista. Al punto da poter essere paragonata all’insegna di una pubblicità che abbiamo sempre davanti agli occhi. Se ne parla in ogni modo, si chiama ESG e poi di seguito finanza sostenibile e ancora finanza a impatto. Chi più ne ha più ne metta. Soprattutto perché l’etichetta “sostenibile” potrebbe trasmettere ai clienti il messaggio che quasi si possa parlare di finanza giusta, equa, solidale, virtuosa. Ma questo, proprio questo è difficile da comprendere. La solitudine del numero primo prevale. L’isolamento. Che fare, se un investitore fatica a comprendere quanto sia importante investire nell’acqua e nelle aziende che si curano di evitarne lo spreco, o ancora nel clima e nel suo miglioramento, e nella possibilità che si possa tornare a identificare le stagioni senza incorrere nell’evento devastante o, andando avanti, nella possibilità che davvero le aziende possano essere più rispettose di una governance più congrua e a misura d’uomo? L’unica via, iconizzando il film che vi ho citato, è l’unione. Il far vedere, il mostrare al cliente l’unione delle varie tematiche. Ciascuna con la sua importanza, inscindibile dall’altra. Ambiente, clima, rispetto per la società tutta intera, senza escludere nessuno, orientamento alle regole della governance all’interno di un’azienda. Ordine esterno che si riflette su quello interno. E poi, di conseguenza, creare la vera unione collegando l’accento di ciascuna di queste tematiche con la mentalità del cliente. Sarebbe forse più facile se parlassimo di etica? Forse si riuscirebbe di più a puntarci il patrimonio. No. Non è neppure questo, perché nell’investitore è al fondo ben radicato un dubbio, che nasce da un’esperienza. Che la finanza non possa coniugarsi, conciliarsi con la moralità di un comportamento o con la maggior giustizia di un altro. E su questo, purtroppo, ci sono già state recenti e tristi testimonianze di come le case di investimento possano anche abusare dell’effige di sostenibilità. E il cliente lo vede, se ne ricorda come un pretesto per obiettare, come fa ogni volta che nell’eccesso della comunicazione sponsorizzata di una novità di investimento accade l’eccezione, il difetto…

Ma se questo è l’errare umano, che purtroppo non è cancellabile, è pur vero che raccontare i dettagli di cosa sia la finanza sostenibile non è semplice. Non è semplice parlare di come si declini in singole sfaccettature di sistema (vogliamo chiamarli singoli temi coesi in un grande e inesorabile megatrend?), di come oggi investire voglia dire ancora di più guardare al futuro, di come questo orizzonte costringa a prendere in considerazione la possibilità di un cambiamento anche ecosistemico per poter continuare a vivere (del resto se il clima non migliora possiamo immaginare le conseguenze?). Non è facile accettare che poter continuare a vivere non può più voler dire solo essere a regime come lo eravamo prima, prima che la pandemia mutasse il nostro modo di pensare. Insomma, è vero, davvero, che far vedere come i temi della sostenibilità siano la fonte del vero numero primo futuro, di quello che sarà il vero primato, il cambiamento profondo della qualità della vita, è oggi più che mai una chance incredibile per la consulenza finanziaria. Che potrebbe essere lei la sola a brillare per la rottura, finalmente, di antichi (esagero volutamente) schemi di investimento, che oggi davvero non possono più essere riconosciuti, loro sì, i numeri primi.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!