Mandanti indigeste e consulenti in crisi, la soluzione è dietro l’angolo

Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua. Il saggio aforisma, frutto della mente illuminata di Confucio, esprime bene l’importanza di far valere il proprio talento e la propria competenza all’interno di un contesto stimolante e adatto a noi. Per un lavoro come quello del consulente, così complesso e sottoposto a molteplici pressioni, la motivazione (o l’amore, ricollegandoci a Confucio) diventa essenziale ai fini di un servizio offerto che sia di buona qualità. Quando questo fattore viene meno, la frustrazione può essere davvero dietro l’angolo; a raccontarcelo con limpida chiarezza sono due lettori del nostro portale Bluerating.com, i quali, a breve distanza, hanno voluto esprimere alla nostra testata tutto il loro disagio lavorativo. Due storie differenti ma unite da un fil rouge: la difficoltà di vivere questa professione quando non si è pienamente motivati.

La confessione dell’advisor triste (qui la lettera completa)

“Non è tanto una questione di disinnamoramento verso la professione e i miei clienti, anzi, forse è solo la consapevolezza di non avere più energia per portare avanti un lavoro che richiede uno sforzo enorme. Fare il consulente, per quanto meraviglioso è estremamente stressante: gli obiettivi da raggiungere (facoltativi, sì certo, vallo poi a spiegare all’area manager…), il dovere gestire chi è sotto di te e al contempo non perdere di vista nessun cliente cercando sempre qualcosa di nuovo. L’essere liberi professionisti, ma trattati da dipendenti, non è affatto facile. A 47 anni ho deciso che lascerò”. Racconta così la proprio esperienza a Bluerating.com un nostro lettore che preferisce rimanere anonimo. Un consulente triste, si autodefinisce, che ha preso questa scelta dopo l’ennesimo intoppo burocratico con il personale della propria mandante: “L’ho capito dopo l’ennesima discussione sfiancante con il nostro help desk, dopo che ho perso un’ora a discutere di una possibile deroga per l’apertura di un conto corrente da non residente a residente”. E così, se ci si sente ormai spenti, è meglio farsi da parte, “i nostri clienti hanno bisogno di passione, di amore, di dedizione e io non riesco più a darli”, conclude l’ormai ex professionista.

La rabbia e i cialtroni (qui la lettera completa)

Diverso è il racconto di Bruno, nome immaginario. Questa volta non si parla di addio alla professione, ma a emergere è comunque un sentimento di insofferenza verso un mondo che viene considerato poco meritocratico. Un mondo, spiega il consulente a Bluerating.com, dove a comandare è chi è paradossalmente meno competente: “credo che buona parte della classe dirigente delle reti in cui lavoriamo sia incompetente e dannosa per i professionisti che gestisce, dei veri e propri cialtroni come si suol dire. Questo perché chi occupa i piani alti del nostro settore dove, l’età media è notoriamente avanzata, è generalmente chi ha fatto successo e soldi con questo lavoro quando ci chiamavamo ancora promotori finanziari e quando negli anni d’oro quei pochi che lo facevano riuscivano a sbancare perché si trattava di una novità assoluta per il mercato. Negli anni ‘80 essere promotore finanziario di fatto era paragonabile, per approccio e competenze richieste, a essere dei venditori porta a porta”. Bruno è molto duro e chiude la lettera con una considerazione sconsolata: “Se le cose per voi non dovessero andare bene, nonostante l’impegno e la preparazione, non sentitevi in torto. Il problema vero non siete voi… come si dice a casa mia, o pesce fète d’ ‘a capa”.

Le reazioni dei colleghi

Le due confessioni non hanno lasciato indifferenti il pubblico dei lettori di Bluerating.com. Nel primo caso a emergere è stato un sentimento di empatia, ma finalizzato a una rivalutazione positiva del proprio lavoro; come ad esempio quello espresso da Paolo, che propone pragmaticamente un approccio diverso alla professione: “Per chi è insoddisfatto del proprio ruolo di consulente nell’ambito delle reti, esiste la consulenza fee only. A tal proposito posso testimoniare come sia cambiata in meglio la mia vita professionale, avendo ritrovato quell’entusiasmo e serenità avevo perso nel corso degli anni”. Più accesa è invece la reazione al j’accuse di Bruno, di Elio Conti Nibali, consulente finanziario dal 1982 nonché figura storica del mondo italiano dell’advisory, che rivendica l’orgoglio verso una professione le cui basi sono state poste da chi, negli anni ’80, ha deciso di sfidare il sistema: “senza il supporto di nessun algoritmo, ma parlando con i clienti di futuro, di crescita della famiglia, di obiettivi da realizzare, e non già di sogni. Era vendita? Era vendita della consulenza!” E relativamente alla meritocrazia del settore, Conti Nibali non le manda a dire: “Non ho mai fatto parte dei cosiddetti piani alti, ho conosciuto però tantissimi che li hanno vissuti e la mia esperienza mi fa dire che se oggi i numeri delle reti e la soddisfazione dei clienti sono al massimo storico è proprio perché il nostro settore è cresciuto nel reciproco rispetto dei ruoli e nello scambio continuo, in una sinergia positiva che ha messo sempre al centro il cliente”. Al di là delle valutazioni sui problemi, l’importante, verrebbe da dire, è sopravvivere. Nel lavoro, così come nella vita.

Così parlò il decano

E chi meglio di Francesco Priore, consulente finanziario dal 23 dicembre del 1969, può offrirci una riflessione catartica su come riuscire a dare un senso, giorno dopo giorno, a tutto quello che si dà nel nome di una professione che non smetterà mai di perdere il proprio fascino, pur con tutte le sue difficoltà? “In poco più di cinquant’anni di attività ho incontrato tanti cigni neri: dalla crisi dell’IOS fino a Lehman Brothers. La pandemia ha generato un mercato proficuo per la consulenza. Se i cigni neri fossero stati determinanti oggi non saremmo a duemila e 545 miliardi euro di risparmio gestito. Tutto ciò non deve farci demordere da una professione che abbiamo scelto e ci piace. Se siamo in difficoltà possiamo abbandonare le situazioni che ci complicano la vita, cambiare società e i clienti ci seguiranno. Nella mia attività ho cambiato cinque mandanti e i rapporti dopo l’uscita sono rimasti ottimi con tutti. Ho scoperto che cambiare fa bene, anche perché la nostra professione è in grande evoluzione”. Segnatevelo quindi. Perché nella consulenza, conclude saggiamente Priore, “non vince chi fugge”.

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