Consulenti, tra cambiamento finanziario e cambiamento climatico

A cura di Maria Anna Pinturo, consulente presso Credem con la qualifica di Wealth Planner e fondatrice del blog diversamentefinanza.com. 

È possibile parlare di una correlazione virtuosa tra finanza e clima? Tra il mondo della speculazione, dell’opportunismo, dell’affare quanto prima possibile e al minor costo, e il mondo della vita migliore, del cosiddetto sviluppo sostenibile, quello che, determinando profondi cambiamenti, non possa mai e in nessun modo nuocere alle generazioni future?

Di fatto sarebbe auspicabile, che tutti si vada finalmente dalla stessa parte, e che quindi investendo si capisca che il sottostante oggetto di interesse possa essere al tempo stesso un tema virtuoso: il cambiamento climatico. Meglio ancora, che questa auspicabile correlazione possa portare a una nuova versione della finanza, chiamiamola se volete  Finanza 2.0, invece di Finanza sostenibile.
Ma ancora non ci siamo. O meglio, c’è una evidente – e forse al momento necessaria, ahimè – asincronia, mancata coincidenza di due eventi, tra dove va la finanza e dove va il cambiamento reale del clima.

In finanza, è vero, si sta cercando (espressione volutamente forzata) di cambiare sguardo a partire da un sempre più preponderante impatto degli investimenti cosiddetti sostenibili (e qui Europa magistra) fino ad arrivare a fenomeni al limite del virtuoso (di quelli che invece non lo sono qui non parlo) di greenwashing. Perché, poco o molto, tutti gli asset manager stanno andando a scuola di ESG, imparando che devono classificare “gli attrezzi da lavoro” tra articolo 6, 8 o 9, capendo sempre di più di doversi allineare se non orientare verso logiche di economia circolare, e comunicando sempre di più quanto sia importante guardare il nuovo e onnicomprensivo macrotrend della sostenibilità. Perché qui di tema non si può davvero parlare, se non riducendo quello che si sta configurando come uno scenario che tutto e tutti ricomprende e trasforma.

Di contro, dove sta andando il clima? Si sarebbe tentati di rispondere in maniera scolastica e ovvia, ripetendo una lezione, o meglio quella che dall’Accordo di Parigi avrebbe dovuto diventare una lezione per i Paesi sottoscrittori e rimanere come un’eco in qualsiasi circostanza di tentata deviazione dalle logiche virtuose assunte come imperativo categorico se non comandamento, quelle scritte e concordate di ridurre l’aumento delle temperature ben al di sotto di 2 gradi e il più possibile vicino a 1,5. E invece, per un diabolico effetto economico di rimbalzo, positivo e tanto desiderato, succede che il clima non stia proprio facendo i compiti come previsto dai piani di quell’accordo del 2015. Come dire: sembrerebbe che, sebbene si sia indotti a pensare che occorra andare verso una economia buona, che in quanto tale dovrebbe essere circolare e virtuosa, basata su un rispetto dei tre macro fattori ESG, ebbene succede che invece proprio le necessità economiche, giuste e necessarie per permettere la sopravvivenza della specie, stiano fagocitando un incedere contrarian verso target non proprio compliant, secondo  i famosi accordi presi sul clima. Leggasi da il Sole24Ore del 31 ottobre:

Su una ripresa già disuguale e minacciata dalle varianti del virus, pesano anche l’aumento dei prezzi dell’energia, che si intreccia con la sfida del climate change, e i problemi nelle catene di approvvigionamento globale, che bloccano interi settori industriali.

…..La crisi energetica sta costringendo a bruciarne di più, in contrasto con gli impegni presi a ridurne l’utilizzo, per tagliare le emissioni di gas serra.

E solo pochi giorni prima sempre sul Sole24ore si usa proprio l’espressione La direzione sbagliata: 

Dopo il crollo del 2020 (-5,6%), quando la pandemia ha bloccato l’economia, le emissioni globali di CO2 legate all’energia rimbalzeranno del 5% quest’anno

….«A meno di una settimana dalla Cop26 siamo sulla buona strada per la catastrofe climatica», ha detto il segretario generale Onu, Antonio Guterres.

Potremmo andare avanti con gli esiti del G20 conclusosi proprio alle porte della Conferenza di Glasgow e potremmo citare i famosi assenti come i “non a caso assenti” in quanto grandi inquinatori ai primi posti della classifica. E arriveremmo comunque a confermare come di fatto l’ideale correlazione tra il percorso della finanza e quello dello sviluppo sostenibile, proprio grazie al fondamentale cambiamento climatico, sia ancora ben lontana, se non remota. Quasi a giustificare una mancanza di fiducia nell’aderire alla proposta di investirci sì e con certezza, proprio sulle virtuose tematiche insite in questo tormentato sviluppo sostenibile.

Ma qui starebbe il vero e più profondo errore. Perché proprio questa conclusione risulta radicalmente errata. E nasce, a ben guardare, da quell’approccio che governa e orienta la maggior parte delle scelte degli investitori, a seguito di profondi mutamenti inesorabilmente condizionanti. Pensiamoci: non è forse vero che gli investitori, oggi più che mai, riconoscono come vero e giusto quell’investimento con già scritte, certificate, le credenziali per poter essere identificato come tale? E non è forse per questo errato modo di approcciare l’investimento che gli investitori spesso non comprendono di togliersi l’abito che dovrebbe in realtà identificarli? Come se investire volesse dire avere davanti i compiti già fatti. Come se investire potesse essere identificato in una azione lineare, senza deviazioni, più o meno standard… Non parliamo di movimenti di cui gli investitori si rendono conto, quando chiedono a noi consulenti di mettere nel portafoglio le soluzioni “provate”, quelle certificate per quanto rischiose, ancorate a un track record, a una storia di successi. Ed ecco che qui, proprio qui, nelle scelte di cui stiamo parlando, proprio guardando l’errare humanum che sta attraversando il fenomeno del clima e del conseguente sviluppo sostenibile, l’errore che potrebbe essere indotto a commettere l’investitore potrebbe essere escludere da quelle scelte i temi di questo cambiamento reale ancora in corso e coinvolto in tante traversie, proprio perché ancora non compiuto, non pervaso da una vera e propria storia di successi. Quasi si dovesse arrivare alla conclusione di una impossibile correlazione tra cambiamento finanziario e cambiamento climatico. Quando invece, proprio nell’imperfezione del processo cui stiamo assistendo nel cambiamento climatico stanno tutte le ragioni per farne il vero perno di un nuovo modo di pensare la finanza, non così nuovo se si pensa a come si prendevano un tempo le decisioni di investimento, e a come i veri investitori-imprenditori continuano a prenderle, pensando che siano le ragioni se non gli obiettivi di quell’investimento più che l’empasse in esso coinvolto a fare la differenza per portare a decidere, con fermezza e perseveranza, di metterci il capitale.

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