Consulenti e commissioni, tra opinionisti e realtà

La questione delle commissioni applicate dall’offerta di prodotti finanziari alla clientela è da tempo dibattuta e da essa, in molti recenti commenti anche autorevoli, l’industria finanziaria non esce propriamente bene. È però vero, come riflessione preliminare, che spesso in questi commenti si continua a non distinguere l’offerta delle banche tradizionali da quella delle banche-reti, che si avvalgono dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede. Quest’ultime hanno sviluppato in questi decenni un approccio basato sulla pianificazione degli obiettivi del cliente, in base al suo ciclo di vita, caratterizzato dalla diversificazione di portafoglio, da una maggior resilienza rispetto agli shock di mercato e così via, evolvendo verso un approccio (e una vocazione) consulenziale, cioè adottando un modello di servizio ben diverso da quello bancario, anzi opposto. Prova ne sono l’architettura aperta, gli incentivi sui risultati non sui singoli prodotti, la relazione di lungo periodo e così via. È un errore non menzionarlo, perché la dimensione degli attivi ha raggiunto cifre ragguardevoli in termini di masse gestite. La seconda osservazione riguarda la remunerazione, ovviamente legata ai costi per la clientela ed alle commissioni applicate; remunerazione di natura prevalentemente provvigionale, in ragione della configurazione contrattuale di “lavoro autonomo” dei cf, nella quale rientra il costo della consulenza. Che non è soltanto, secondo la Mifid, la raccomandazione personalizzata di uno o più prodotti di investimento, ma è la consulenza affiancata dal collocamento, dall’assistenza post-vendita, dalla relazione fiduciaria e supporto psicologico, dall’educazione finanziaria. Si tratta, in altre parole, di una “consulenza comportamentale”. Poi esistono anche altri modi di fare consulenza ex lege e sono i benvenuti, c’è spazio per vari modelli distributivi e remunerativi. Il terzo punto è quello del richiamo al conflitto di interessi, come se questo esistesse solo nel settore della consulenza finanziaria, quando invece esso è pervasivo di ogni attività economica e professionale e – come sostiene lo stesso regolamento in materia – va ridotto al minimo e gestito nel miglior interesse del cliente. Non si può dimenticare che negli anni i cf hanno lavorato per ridurre le asimmetrie informative nella gestione del risparmio. Non va poi dimenticata l’autorevole ultima analisi di Mediobanca Securities su 330 fondi, per un totale di circa 120 miliardi di euro di aum, da cui è emerso che Banca Generali e Banca Mediolanum sono riuscite a ridurre significativamente i costi dei prodotti. E Banca Mediolanum è stata pure la first mover nell’adottare regole più stringenti per il calcolo delle commissioni di performance, fatta eccezione per Fineco che è stata l’unica a non averle mai adottate.

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