Consulenza e conflitti d’interesse: la pagliuzza dei fee only e la trave delle reti

Pubblichiamo di seguito una lettera di risposta all’alrticolo Consulenti e conflitti di interesse, la grande illusione, scritta da un nostro lettore, protagonista del medesimo dibattito.

Finalmente ho potuto leggere uno documento segnalato dal professore, “Il mistero della remunerazione”, che contiene alcuni interessanti spunti sulle ambiguità e rischi che possono generarsi con la convinzione di offrire una consulenza in “totale esenzione di conflitti di interesse”.

Essendone l’autore, immagino che riassuma i concetti alla base dei suoi ragionamenti.

Anche se piuttosto datato, è del 2013, e censuri alcune considerazioni che nessuno si sognerebbe di affermare (come, per esempio, associare la “qualità” del servizio al “solo” concetto di “assenza di conflitti di interesse”.), tutto sommato offre una visione generale sulle concrete problematiche legate alla tipologia di remunerazione ed evidenzia come tutte le professioni siano soggette a potenziali conflitti di interesse (come esempio, riporta un istruttivo caso sugli Avvocati, ma potrei aggiungere che vale per commercialisti, notai, ecc., tra cui, immagino,…. anche psicologi).

Con specifico riferimento ai consulenti autonomi, questi rischi sono poi ripresi nell’articolo 177 del Regolamento intermediari, n. 20307 del 15 febbraio 2018.

Dopo il 1° comma, che fornisce al consulente finanziario autonomo alcune indicazioni ed avvertenze – sicuramente dovute, ma direi di prammatica e piuttosto generiche – per mantenere una corretta condotta di comportamento professionale,  affermando che deve “adottare ogni misura ragionevole, adeguata alla natura, alla dimensione e alla complessità dell’attività svolta, per identificare, prevenire o gestire i conflitti di interesse che potrebbero sorgere con il cliente o tra i clienti, al momento della prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti”, il seguente 5° comma dello stesso art. 177, provvede a definire nello specifico le diverse tipologie di “conflitti di interesse” potenziali, in cui, in modo “probabile”, i consulenti finanziari autonomi possano incorrere:

  1. a) realizzare un guadagno finanziario o evitare una perdita finanziaria a spese del cliente;
  2. b) avere nel risultato del servizio prestato al cliente o dell’operazione realizzata per suo conto, un interesse distinto da quello del cliente;
  3. c) avere un incentivo finanziario o di altra natura a privilegiare gli interessi di un altro cliente o gruppo di clienti rispetto a quelli del cliente interessato;
  4. d) svolgere la stessa attività del cliente.

Come si vede, sono indicazioni di puro buon senso, valide per tutti, che il sottoscritto, erroneamente, ha dato per scontato (personalmente le catalogo come vere e proprie potenziali truffe).

Tralasciando gli attacchi personali e l’atteggiamento di sufficienza, vorrei invece concentrarmi a chiarire e definire, per quanto possibile, il mio pensiero.

Nulla di più.

L’occasione mi viene fornita dallo stesso documento “Il mistero della remunerazione” quando afferma come “la trattazione del tema si focalizza sui diversi “gradi di conflitto di interesse” che le modalità di remunerazioni implicano: maggiore è il grado potenziale di conflitto di interesse, minore è la qualità potenziale della consulenza prestata”.

Affermazione ragionevole e pienamente condivisibile.

E mi sembra indubbio che la modalità di remunerazione derivante dalle commissioni generate dalla vendita di prodotti effettuate dal medesimo professionista che propone la consulenza, sia una importante fattore che potenzialmente aggravi di molto il rischio di conflitti di interesse.

Sarebbe come un medico (un professionista) che effettui la diagnosi ed allo stesso tempo venda anche le medicine che ha prescritto. Questo, come si sa, per i medici non è consentito: per acquistare le medicine si utilizza una terza parte, la farmacia.

Pertanto, tenendo sempre ben presenti i rischi generici validi per tutti i professionisti, il fatto di escludere tale tipologia di remunerazione puramente commerciale da parte dei consulenti finanziari autonomi, mi sembra possa determinare – mi auguro che il professore ne convenga -, una notevole ed importante diminuzione del “grado di conflitti di interesse a cui possano andare incontro e, quindi, consentire una maggiore “potenzialità” – non certo garanzia – di migliore qualità del servizio.

Il problema e i veri rischi per i clienti, come già detto in commenti precedenti, non sono tanto determinati dai singoli consulenti, quanto da un Sistema Finanziario dominante, dove molte Istituzioni, ovviamente non tutte, assillate  dalla spasmodica e “naturale” necessità di massimizzare gli utili, tendono a privilegiare l’attività commerciale, di vendita di prodotti, rispetto a quella consulenziale, quest’ultima sicuramente meno appetibile perché meno remunerativa e spesso intesa meramente come strumento, come mezzo, per ottenere il conseguimento degli agognati e ben più lucrosi target di vendita.

E qui ripropongo la frase biblica: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”

Perché accanirsi sulla “pagliuzza” (ovvero, il mondo della consulenza autonoma) che va, per carità, assolutamente controllata, monitorata ed evidenziata in tutti suoi aspetti, compresi quelli inconsci determinati da eccesso di confidenza, in cui, tra l’altro, possono incorrere tutti i professionisti e minimizzare, se non ignorare, la “trave” che ancora oggi persiste in gran parte del mondo finanziario condizionato dalla vendita diretta di prodotti, che tanti abusi sicuramente ancora produce?

Appunto, perché? Facciamoci la domanda e diamoci la risposta!

Tengo a dire, per la cronaca, che personalmente mantengo ottimi rapporti e mi confronto spesso con molti colleghi che lavorano per Reti e Banche per i quali nutro la massima stima per la professionalità con cui portano avanti la propria attività consulenziale …….. nonostante le costrizioni e le pressioni commerciali a cui sono sottoposti.

Per quanto mi riguarda, sinceramente non so “se” ed eventualmente “quanto” sia effettivamente condizionato dalla sindrome di “autoinganno” (d’altronde – per definizione – non me ne posso rendere conto da solo!).

Sarà mia cura tenere nel debito conto quanto perentoriamente affermato dall’Independent Ethic Advisor che, a quanto sembra, è stato in grado di esprimere un approfondito e categorico giudizio sulla base di poche e frettolose righe (condizionate, ammetto, da una certa animosità polemica), lui sì certamente indipendente – d’altronde come dubitare, lo afferma la stessa intestazione del titolo – e avulso da ogni rischio di “illusione di obiettività” (anche se professionista come il sottoscritto, per lui ovviamente il problema non si pone).

A differenza mia, evidentemente è in grado di rendersene conto da solo.

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