Quando il consulente cambia rete: come affrontare la trattativa

A cura di Alessio Fiorini (nella foto), area Recruiting Manager di Deutsche Bank FA

Lo sviluppo di una trattativa di reclutamento si configura come un processo articolato, caratterizzato da diverse fasi. È importante che chi si occupa di selezione nelle reti riesca a decifrare questi diversi momenti al fine di rendere il percorso più efficace per ambo le parti. Inizialmente, senza voler generalizzare, il candidato si mette sulla difensiva, studia il suo interlocutore. E al tempo stesso manifesta una curiosità di fondo, quella che lo ha portato ad accettare il primo incontro. Questa prima fase, assai delicata, è funzionale alla rottura del ghiaccio. Mettersi sullo stesso piano, pur nella distinzione dei rispettivi ruoli, aiuta a creare empatia e vicinanza. Anche la postura è importante. Mettersi a un tavolo rotondo evita l’allontanamento, elimina gli “spigoli”, rende caldo un contatto freddo. Il linguaggio verbale non è così decisivo all’inizio. Conta molto invece l’atteggiamento visivo (con le mascherine lo sguardo assume ancora più rilevanza) e la capacità di ascolto attivo, per entrambi. Il bancario o il consulente a partita iva è tuttavia ancora lontano da un vero coinvolgimento. Il primo colloquio serve a conoscersi, a dichiarare i valori fondanti della propria persona, il proprio approccio alla professione. Elementi utili per creare basi solide, necessarie per gli sviluppi successivi. Gli incontri che seguono il primo devono evidentemente consolidare sempre più la prima impressione e al tempo stesso essere ricchi di contenuti stimolanti e utili per il candidato.

Tra confidenza e fiducia
Quindi è necessaria una costante interlocuzione. Pochi monologhi e soprattutto domande. Ogni risposta ci apre un mondo e acquisendo confidenza, stima e fiducia, il nostro interlocutore sarà sempre più orientato a svelarci elementi subliminali, latenti. Spesso essi attengono alle aspirazioni, ai sogni, al “come mi vedo tra cinque anni”, “come vorrei essere riconosciuto come professionista”, “cosa mi manca per essere pienamente soddisfatto”. E così via. Agli aspetti tecnici si affiancano quelli emozionali, basilari nel processo decisionale. Un mix equilibrato di ragione e sentimento. Alla fine però quello che ho riscontrato determinante nel concludere un percorso di selezione di successo è la fiducia. Essa viene percepita sempre più nello svolgersi del percorso di selezione.

Sguardi quasi elettrici
Lo si vede soprattutto dagli sguardi che diventano quasi elettrici. Lo si vede dalla postura: si sta più vicini, si lavora sul foglio bianco insieme per pianificare l’operazione di on boarding e il piano di crescita successivo all’inserimento. E poi il candidato, se coinvolto davvero, pone sempre più domande. Mentre all’inizio è il contrario. Vengono forniti “segnali di acquisto” decisivi e spesso ci si accorge che tutto è partito grazie al legame fiduciario che si è instaurato. Dalla diffidenza iniziale si è passati a un sano entusiasmo. Infine, cartina di tornasole, sono le esplicitazioni dei dubbi e delle paure. Sentimenti umani e necessari. Significa che l’interesse al cambiamento è forte e il fatto di renderli pubblici diventa fondamentale per chiudere la trattativa. Confidare al selezionatore i propri timori assume un significato straordinario. È una richiesta d’aiuto, per decidere. Per prendere in mano il proprio destino e con un coraggio ragionato optare per un passaggio da banca a rete o da rete a rete.

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