Trent’anni e (forse) qualcosa da cambiare

A cura di Maurizio Bufi, Presidente Emerito Anasf.

Lunedì 13 a Milano l’Anasf celebra, giustamente, con un evento pubblico i 30 anni dell’Albo dei Consulenti Finanziari, già promotori finanziari, oggi ufficialmente OCF (Organismo unico dei CF). Saremo in molti a ricordare le battaglie che la nostra associazione in particolare ha portato avanti per dare una legittimità ad un lavoro, nato esclusivamente commerciale, al fine di acquisire sempre più una connotazione professionale, che anche il legislatore gli riconosce, attraverso quella attitudine alla consulenza, che ne ha caratterizzato l’evoluzione. In realtà, dovremmo dire che si celebra, innanzitutto, la figura dell’agente collegato di stampo europeo, derivato proprio dall’esperienza italiana del promotore finanziario. La definizione italiana, dopo un lungo confronto con le autorità di settore e gli altri rappresentanti dell’industria, è approdato alla qualificazione di consulente finanziario, abilitato all’offerta fuori sede. Successivamente, a mio parere con lungimiranza, l’Albo si è allargato, ricomprendendo quei soggetti non ancora ne censiti, ne vigilati, che sono i consulenti autonomi (cd “indipendenti”) e le società di consulenza, diventando quella che è ormai da alcuni anni nota come “Casa della Consulenza”.

Tuttavia, dopo appunto trent’anni, in presenza di un’ascesa ininterrotta del nostro settore e del modello di servizio e di bussines incentrato sul ruolo del consulente (escludendo il mondo delle banche tradizionali, considerate a torto più meritevoli di fiducia da parte del legislatore e che meritano un discorso a parte), mi domando se ancora ha senso mantenere queste “classificazioni”, soprattutto quella dell’offerta fuori sede, con le sue tutele formali rispetto al risparmiatore, quando diventa investitore. O se invece questa qualificazione non sia divenuta superata nella sua cornice originaria, giacchè i consulenti nella loro stragrande maggioranza hanno dimostrato nei fatti di tutelare al meglio la figura dell’investitore, attraverso le modalità operative applicate alla clientela e basate su formazione, competenza, capacità relazionale e grado di soddisfazione dell’utenza, valorizzata da una spiccata sensibilità verso forme dirette ed indirette di educazione finanziaria al risparmiatore.

In altre parole, la professione di consulente è una ed una sola, diverse invece possono essere le modalità attraverso le quali essa è praticata e messa in atto (che la disciplina ed i regolamenti in materia in parte già definiscono). Il mercato dell’offerta e della domanda di consulenza farà il resto, molto pragmaticamente. Mi sia consentito, infine, in collegamento ideale con questi presupposti, di rivolgere agli intermediari l’invito a superare una volta per sempre le definizioni di marketing adottate via via da tutti, per approdare con convinzione all’unica definizione che caratterizzerebbe, anche nell’immaginario collettivo dei risparmiatori, quella figura professionale deputata alla gestione dei loro risparmi: il consulente finanziario. Abbiamo scritto, insieme a tanti altri soggetti e stakeholder, la storia di questa professione, ora cerchiamo tutti insieme di liberarla ulteriormente, affinché diventi un patrimonio della società.

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