Credito bancario, l’anello del potere passa di mano

Il nuovo credito bancario ha un nuovo “padrone”: grandi o piccoli fondi specializzati. Come l’anello del famoso romanzo di Tolkien, la prezioso tesoro fugge la mano delle banche. Il processo, riportato da Affari e Finanza, è effetto della constante politica di debancarizzazione dell’economia italiana.

“Un po’ per l’azione di sostegno del governo, che nella pandemia è subentrato generosamente nel rischio di credito degli istituti, portando a 500 miliardi di euro la sua esposizione finanziaria, dato con cui si erge a primo “banchiere” del Paese. Un po’ per l’incessante espulsione di crediti deteriorati dai bilanci, che anche nel 2021 proseguirà per circa 45 miliardi di euro, rispettando la tabella di marcia avviata nel 2016, quando l’avvento del bail in iniziò a dispiegare gli effetti della vigilanza unica europea. Un po’, in aggiunta, per i crescenti vincoli regolamentari che affliggono il credito bancario, e sempre più hanno l’effetto collaterale di disincentivare l’esercizio del credito da parte degli storici titolari, a vantaggio di operatori nuovi e più agili, che trovano conveniente erogarlo laddove le banche se ne ritirano” scrive l’inserto economico di Repubblica.

In questo momento di transizione, come in tutti i periodi di cambiamento, la Vigilanza è chiamata a entrare in campo. Sia che si tratti della Banca d’Italia, sia della vigilanza nei pressi di Francoforte. Per questo il governatore Ignazio Visco lancia l’allarme: “Per alcuni intermediari non bancari nel settore immobiliare, nel private equity e nel credito, permangono carenze di conoscenza delle reali esposizioni al rischio”, facendo chiaro riferimento ad Archegos e Evergrande.
Il caso Unicredit è ormai scuola: a inizio 2017 Jean Pierre Mustier svende a Pimco e Fortress 17,7 miliardi di esposizioni deteriorate, al 13% del valore facciale, mette una zeppa di piombo nei modelli con cui Unicredit presterà nel decennio successivo. Roma perdeva il controllo di vigilanza di una fetta di crediti ormai pari a 256 miliardi: fetta, per giunta, assai delicata per le conseguenze di tipo sociale, economico, finanziario che implica la gestione di sofferenze e inadempienze probabili di imprese e debitori in difficoltà.
La panoramica è la seugente: Gardant, che gestisce 45 miliardi di euro tra illiquidi e deteriorati, è tra i maggiori recuperatori di crediti in Italia: insieme ad Amco, Prelios, Banca Ifis, DoValue, Cerved. Al loro fianco sta crescendo il mondo dei “fondi di credito”, varati da operatori più o meno grandi che raccolgono dagli investitori istituzionali ed erogano credito magari originato, in partenza, da clienti bancari. Un modo per condividere i rischi e sgravare gli istituti da un peso che la regolazione ha reso poco sostenibile. Bain Capital, Fortress, Crc sono i grandi nomi, con portafogli di qualche miliardo; seguiti da Credimi, Aidexa, Tikehau, Illimity e molti altri.
È un po’ il modello che i francesi sviluppano da una dozzina d’anni, e che Credit Agricole ha “ribaltato” rispetto al tradizionale approccio: dall’originate to distribute, in cui la banca eroga il finanziamento e poi va a sindacarlo sul mercato, a un distribute to originate, in cui gli investitori di Amundi Sgr (sempre parte del gruppo della Banque verte) sottoscrivono fondi di credito poi veicolati sui prenditori della banca, che si tiene la parte a breve di quei crediti e incassa la commissione.

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