Banca Generali, uno sguardo al 2022 dei mercati

La dinamica dell’economia mondiale sta rallentando dal picco al potenziale. Le previsioni più recenti degli organismi internazionali evidenziano infatti, a livello globale, proiezioni al ribasso della crescita per il 2021 e una stabilizzazione per il 2022 e 2023.

Stime di crescita

A livello geografico si rilevano delle divergenze nel ritmo di crescita: secondo quanto riportato nell’Economic Outlook dell’OCSE di dicembre, l’Eurozona è attesa crescere al ritmo del 5,2% nel 2021, con una maggiore tonicità dell’attività economica in Italia (6,3%) e Francia (6,8%), mentre la Germania (2,9%) dovrebbe fronteggiare maggiori difficoltà. Seppur con una minore portata, questa crescita dovrebbe proseguire anche nei prossimi anni. Secondo la Commissione Ue, infatti, la crescita economica nella zona euro dovrebbe essere del 4,3% nel 2022 e del 2,4% nel 2023.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, invece, l’OCSE vede una ripresa destinata a proseguire su ritmi più lenti rispetto a quanto sinora osservato, raggiungendo comunque un livello di crescita del 5,6% nel 2021. Un livello che, secondo l’Fmi, gli Usa dovrebbero mantenere anche nel 2022 con una stima di crescita del +5,2%.

L’OCSE prevede quindi che la Cina archivi una crescita dell’8,1% nel 2021, ma segnala un rallentamento della crescita sotto il target del 6% sia per il 2022 che per il 2023 come conseguenza dell’orientamento del Paese verso un’era di «prosperità comune» che implica la transizione ad un modello di crescita guidato dai consumi. Questa trasformazione potrebbe determinare un rallentamento del tasso di sviluppo economico rispetto al passato.

Inflazione

L’inflazione dei prezzi al consumo si sta dimostrando persistente e su livelli molto superiori ai target delle banche centrali: il picco di inflazione che si pensava fosse stato raggiunto nei mesi scorsi, è stato superato nelle più recenti letture sia in Europa (4,9% a/a in novembre) che negli Stati Uniti (6,8% a novembre). In Cina, invece, i prezzi al consumo si sono dimostrati ancora sotto controllo (2,3% a/a a novembre), sebbene i prezzi alla produzione (12,9% a/a a novembre) stiano ponendo maggiore pressione sui margini aziendali.

La persistenza delle strozzature della catena di approvvigionamento, la carenza di manodopera e il ribilanciamento verso salari mediamente più elevati sono tutti fattori che contribuiscono a generare pressioni sui prezzi destinate a perdurare più del previsto, tanto che le banche centrali – in primis la Federal Reserve – hanno iniziato a rivalutare la transitorietà dell’attuale aumento dei prezzi a favore di una nuova fase caratterizzata da un’inflazione strutturale più elevata.

Il ruolo delle banche centrali

Si sta assistendo ad una divergenza di politica monetaria tra le banche centrali, seppur complessivamente ancora accomodante. Da un lato quelle dei Paesi emergenti che, a seguito degli elevati livelli di inflazione, sono in molti casi già intervenute con primi rialzi dei tassi di riferimento. Dall’altro quelle dei Paesi sviluppati che si stanno solo ora orientando verso un approccio più restrittivo, avendo alcune già avviato il tapering o mostrandosi comunque in procinto di farlo, mentre altre sono ancora posizionate in una fase più attendista. Tra queste, in controtendenza c’è la Banca Popolare Cinese che sta dando segnali di un orientamento più accomodante per dare nuovo slancio all’economia. Tale differente velocità nelle politiche monetarie potrebbe ulteriormente accentuarsi in virtù del divario nel ritmo di crescita atteso nei vari Paesi

Le azioni delle banche centrali saranno guidate dal trade-off tra crescita e inflazione: la Bank of England e Federal Reserve dovrebbero muoversi per prime,  mentre la Banca Centrale Europea potrebbe affrontare un maggior numero di sfide, dato lo stadio meno avanzato del ciclo economico nell’Eurozona e una tolleranza nei confronti di un aumento dell’inflazione limitata da una dipendenza energetica maggiore; le banche centrali dei Paesi emergenti, che per prime hanno intrapreso un ciclo restrittivo, potrebbero sospendere i rialzi dei rispettivi tassi di riferimento per non incidere sulla ripresa e, in alcuni casi, anche l’invertirne la rotta.

Mercato azionario

In uno scenario in cui lo sviluppo economico in atto dovrebbe proseguire anche nel 2022, seppur a tassi più contenuti rispetto al 2021 ma comunque ampiamente superiori ai livelli pre-crisi, e sia prevista un’ulteriore espansione degli utili societari anche a fronte delle recenti correzioni delle quotazioni, l’asset class azionaria dovrebbe registrare nel prossimo anno ritorni ancora positivi, sebbene a single digit, e inferiori al passato. Tuttavia, la diffusione della nuova variante Omicron rappresenta un rischio esogeno per il proseguimento della crescita economica e degli utili, in particolare nei settori più legati alla circolazione delle persone. Sebbene non siano attese misure restrittive radicali, tale situazione potrebbe creare maggiore volatilità sui mercati finanziari.

Bilanciando aspetti favorevoli e possibili rischi, risulta da prediligere un posizionamento neutrale sull’asset class azionaria, con preferenza per i titoli azionari europei, le cui quotazioni sembrerebbero meno care in relazione agli utili attesi, a scapito di quelli emergenti, le cui stime di utili risultano stazionarie o in lieve contrazione.

Il prossimo anno dovrebbe caratterizzarsi per una maggiore dispersione delle performance dei mercati azionari a livello geografico, settoriale e fra le singole società. Saranno pertanto da preferire strategie di investimento più orientate alla creazione di Alpha rispetto a quelle tese a seguire i trend di mercato.

Mercato obbligazionario

Le prospettive per i mercati obbligazionari rimangono negative. Le politiche monetarie delle banche centrali potrebbero accelerare l’uscita dalle operazioni di quantitative easing ed anticipare i rialzi dei tassi a seguito della risalita dell’inflazione che si sta rivelando meno temporanea di quanto giudicato in precedenza. rendimenti dovrebbero tornare a salire e le curve tendenzialmente ad irripidirsi. Pertanto si configura come preferibile un posizionamento di sottopeso p er l’asset class obbligazionaria, all’interno della quale prediligere titoli con ridotta duration e High Yield, in virtù dei rendimenti offerti dal segmento ritornati più interessanti e della correlazione positiva con il mercato azionario, visto ancora favorevole, a scapito delle obbligazioni emesse da Paesi emergenti i cui rendimenti potrebbe maggiormente soffrire dal rialzo dei rendimenti americani e dal rafforzamento dell’USD. Ancora interessanti le obbligazioni in CNY.

Outlook

L’attesa di una maggiore dispersione delle performance intermarket ed inframarket dovrebbe favorire soluzioni di investimento cash enhanced basate su strategie relative. Queste ultime, costituiranno gli investimenti utili a mantenere una posizione di sovrappeso sulla liquidità, conseguente delle scelte strategiche delle altre macro asset class.

 

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