Consulenti, il futuro degli investimenti ha un nome

Il direct indexing – ovvero la possibilità per gli investitori di costruire in autonomia i propri indici, personalizzando al massimo l’esperienza d’investimento, sulla base di criteri valoriali e di potenziali performance – si sta affacciando anche in Europa, posizionandosi come una possibile terza via tra il mondo degli investimenti passivi e attivi.

Forte di un trend chiarissimo a suo favore soprattutto negli Stati Uniti (dove le masse in gestione riconducibili a questo approccio – seppur ancora ad appannaggio di una clientela wealth – tra il 2015 e il 2020 sono cresciute da 100 a 350 miliardi dollari), il direct indexing si affaccia sul mercato europeo e quest’ultimo si appresta a raccogliere la sfida, puntando però a rendere questo approccio accessibile a un’ampia fascia di clientela retail grazie all’uso della tecnologia. Un approccio, quindi, che i consulenti finanziari dovranno seguire con attenzione nei prossimi anni, specie per le nuove generazioni di investitori.

Se ne è parlato ieri, 9 febbraio, in un incontro organizzato da Cirdan Capital, società finanziaria indipendente fondata nel 2014 specializzata nell’emissione di prodotti d’investimento strutturati, in collaborazione con il Fintech District di Milano e animato da un panel composto sia da figure accademiche sia da portavoce di realtà fintech che si è interrogato su come tradurre il direct indexing in un modello di business vincente, in linea con le nuove tendenze e le scelte di investimento di una nuova generazione di investitori.

Nel corso del dibattito, Carlo Alberto Carnevale MaffèProfessore della SDA Bocconi School of Management, ha sottolineato che: “Il direct indexing è un approccio altamente innovativo sotto vari punti di vista, finanziario e fiscale su tutti, ma che promette anche di accompagnare, se non accelerare, il cambiamento in atto nella cultura degli investimenti. I giovani investitori, infatti, vogliono sempre più personalizzazione e democratizzazione e il direct indexing rappresenta per loro, ma anche per le fasce più mature del mercato, una grande opportunità. I numeri parlano chiaro: nei prossimi cinque anni il tasso di crescita degli AuM destinati al direct indexing è previsto pari al 12,4%, contro l’11,3% degli ETF, negli ultimi anni i veri campioni della raccolta”.

Il grande successo del direct indexing nel mercato statunitense è il migliore viatico per il suo approdo anche in Europa e in Italia, dove potrebbe raccogliere forte interesse anche da parte del mondo retail. Le grandi innovazioni tecnologiche che stanno interessando la sfera finanziaria, che permettono scambi di azioni o frazioni di azioni a zero costi, rendono infatti possibile implementare con costi contenuti e accessibili anche per gli investitori retail un approccio finora appannaggio soprattutto dell’universo wealth.

Antonio De NegriFounder e CEO di Cirdan Capital, dopo aver evidenziato come l’Europa possa velocemente colmare questo gap grazie al ruolo della tecnologia, ha ribadito “la forte vocazione di Cirdan Capital di costruttori di indici” e di puntare a un modello ‘attivo’ di direct indexing al servizio dell’investitore retail. “Per il tramite di un certificato oppure direttamente in portafoglio – ha proseguito De Negri – il gestore potrebbe svolgere la tradizionale attività di gestione patrimoniale attraverso però uno strumento disegnato e pensato ad hoc per l’investitore, anche retail, che l’ha richiesto. È innegabile che evitare di passare da un fondo tradizionale consentirebbe di eliminare uno strato di complessità e costi”.

Dal dibattito è emerso come il direct indexing potrebbe potenzialmente rappresentare la chiave di volta per le nuove generazioni di investitori che guardano sempre più a esperienze di investimento personalizzate e di facile accesso grazie alla tecnologia, e alla possibilità di selezionare in maniera consapevole asset class o singoli titoli azionari, anche sulla base di scelte valoriali. Un elemento quest’ultimo ancora più importante in una fase in cui l’attenzione alla reale natura ESG degli investimenti è sempre più forte: stando a quanto riportato dall’ultimo Global Investor Survey di PwC, un investitore su due sarebbe disposto a disinvestire da società con scarso commitment in termini di sostenibilità, premiando di converso con la propria fiducia quelle più virtuose.

L’incontro, aperto da Clelia Tosi, Head of Partnerships and Growth di Fintech District, è stato moderato da Riccardo Bassetto di WILL Media, community online di più di 1,3 milioni di persone, e ha visto la partecipazione, oltre che dell’economista Carlo Alberto Carnevale Maffè e di Antonio De Negri, Founder e CEO di Cirdan Capital, anche di Francesco Casarella, Responsabile di Investing.com Italia (piattaforma sui mercati finanziari che fornisce dati in tempo reale, quotazioni, grafici, strumenti finanziari, notizie in diretta ed analisi provenienti da 250 piazze in tutto il mondo in 44 edizioni internazionali) Marco Scioli, Founder di Starting Finance (la principale comunità finanziaria per i Millennials in Italia), che hanno contribuito all’analisi sulla base del loro osservatorio privilegiato sul mondo del fintech.

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