Fineco AM, per gli investimenti è il momento di un approccio selettivo

DI seguito un’analisi a cura del Team Investimenti di Fineco Asset Management

Con il conflitto in Ucraina, stiamo entrando in un periodo di grande incertezza sia come cittadini europei, sia come investitori. Le implicazioni generali sui mercati dell’invasione russa richiederanno probabilmente del tempo per essere valutate e dovremmo senza dubbio aspettarci un periodo di maggiore volatilità. 

È probabile che l’energia e la sicurezza militare salgano rapidamente in cima alla lista delle priorità politiche in Europa: le autorità sanno che dipendere dalla Russia per il 40% del nostro fabbisogno energetico non è sostenibile. Probabilmente questo avrà un impatto sui bilanci dei governi e peserà sull’inflazione.

Negli Stati Uniti, l’indice Cpi dei prezzi al consumo è tornato ai livelli visti all’inizio degli anni ’80 durante la guerra Iran-Iraq e, probabilmente non per una coincidenza, l’invasione russa dell’Afghanistan. In Europa, l’inflazione è ora al suo massimo dalla nascita dell’euro, trainata principalmente dall’energia.

A fronte di questo contesto, in che direzione è possibile guardare sui mercati azionari nei prossimi 3-12 mesi?  Gli Stati Uniti sono più lontani dalla crisi in Ucraina e, sebbene non siano immuni alle difficoltà crediamo che mostreranno maggior forza economica, anche se sembra probabile un rallentamento della crescita. Continuiamo a essere convinti che nel mercato statunitense un’esposizione a una combinazione di titoli Value e Quality sia l’opzione migliore per gli investitori, dato che l’aumento graduale dei tassi d’interesse costituisce un ostacolo per le performance dei titoli Growth.

Per l’Europa, la situazione è più complicata.  A nostro avviso, le probabilità che l’Europa soffra maggiormente degli Stati Uniti in termini di crescita economica sono cresciute. Nonostante le valutazioni in Europa sembrino attraenti, i bilanci siano solidi e le società a maggiore capitalizzazione abbiano un’esposizione diretta limitata alla Russia, il contesto è chiaramente peggiorato.  La combinazione di una crescita più lenta e di un’inflazione più elevata richiede, a nostro avviso, un approccio altamente selettivo, con un focus su società e settori con bilanci solidi, generazione di cassa e potere di determinazione dei prezzi. In questa categoria rientrano quelle società che possono più facilmente ribaltare sulla clientela l’aumento dei propri costi di produzione, rialzando il prezzo di vendita dei propri beni senza correre il rischio che il consumatore faccia un’altra scelta: è il caso, per esempio, delle aziende forti di un brand consolidato o percepito come di alta qualità sul mercato.

Guardando direttamente ai recenti movimenti delle materie prime, un aumento del 10% dei prezzi del petrolio potrebbe avere un impatto di circa 15-20 pb sull’inflazione e di conseguenza sul PIL, con alcune differenze tra regioni.  

Principalmente per l’Europa il gas è tema più importante del petrolio: il gas russo che soddisfa circa il 40% del fabbisogno europeo è fondamentale per la produzione industriale sia in Europa orientale (la Polonia importa il 55% del suo gas dalla Russia) sia in Europa occidentale, con rispettivamente il 66% e il 43% del fabbisogno di Germania e Italia.  Finora, l’invasione dell’Ucraina non ha portato a interruzioni della fornitura all’Europa, nonostante l’Ucraina rappresenti il 20% della fornitura globale di gas da parte della Russia, ma sicuramente questo costituisce un rischio chiaro. L’Europa, infatti, ha a disposizione opzioni limitate per sostituire nel breve e nel medio termine il gas russo: altre possibili fonti come la Norvegia, gli Stati Uniti o l’Algeria sono già ingaggiate su altri fronti. 

L’Europa potrebbe provare a superare gli acquirenti asiatici per il gas spot nei mercati globali del GNL da paesi come gli Stati Uniti o il Qatar, ma sfortunatamente le strutture disponibili per gestire un aumento imponente del gas liquefatto da oltreoceano semplicemente non sono adeguate. Attualmente, il prezzo del gas in Europa è di 30 dollari al mmbtu (milioni di British termal unit), che si confronta con una media di 18 dollari nel 2021 e un livello storico di 5-6 dollari al mmbtu.  I prezzi del gas negli Stati Uniti sono di 4,5 $/mmbtu, il che dimostra la sfida sul fronte della competitività che sta affrontando l’industria europea, dove i costi dell’energia costituiscono in genere circa il 5-20% della base di costo, a seconda del settore. Sebbene la situazione dovrebbe temporaneamente migliorare con l’arrivo della primavera, i livelli di stoccaggio del gas in Europa sono sfortunatamente ben al di sotto del normale e quindi probabilmente continueranno a esercitare una pressione sui prezzi in un confronto anno su anno.

Guardando oltre l’esposizione diretta al settore energetico, è evidente anche un impatto dell’energia sul costo della produzione di cibo che passa per la produzione di fertilizzanti. Per l’ammoniaca/urea impiegata per produrre il grano serve infatti il gas naturale.

La combinazione delle sanzioni e di prezzi del gas più elevati ha fatto sì che i prezzi dei fertilizzanti siano saliti bruscamente, così come quelli del grano a causa della spinta dei costi e del rischio di interruzione delle esportazioni da Russia e Ucraina. La pressione derivata dall’aumento dei costi delle materie prime alimentari continuerà ad impattare sui dati di inflazione.

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