Banche e diamanti, una questione di responsabilità

Vi pubblichiamo di seguito un interessante e approfondito articolo a firma dell’avvocato Marco Solferini, tratto rivista di diritto Vaglio Magazine e incentrato sul tema della responsabilità della Banca nella vendita dei c.d. diamanti da investimento. Buona lettura!

I c.d. diamanti da investimento rappresentano una delle vicende più problematiche degli ultimi anni anzitutto per gli interpreti del diritto.

Si tratta infatti di una vendita che è stata portata avanti per un periodo di tempo molto lungo da numerosi Istituti di credito avvalendosi di società terze che formalmente mettevano a disposizione dei diamanti come forma di investimento.

A beneficio del lettore il presente articolo sarà suddiviso in paragrafi. Nella trattazione malgrado i documenti richiamati siano di pubblico dominio ci si riferirà indistintamente alle società coinvolte nella vendita dei diamanti come a “la società” e alle Banche, a prescindere, come a “la Banca”. Inoltre anche nei documenti ufficiali come sentenze e decisioni qualora vengano menzionate una società e/o una Banca verranno omessi i nomi e si farà riferimento al termine “Società” o “Banca”.

Questo in virtù del fatto che a prescindere dalla vicenda sicuramente drammatica per i risparmiatori coinvolti cui va tutta la mia personale solidarietà non posso nemmeno sorvolare come una Banca sia un Istituzione che si deve all’occorrenza correggere ma non penalizzare pure in ragione del fatto che nella stessa lavorano molti dipendenti e le loro Famiglie.

Di seguito l’indice dei paragrafi.

1) Breve introduzione

2) Responsabilità della Banca per violazione degli articoli 20, 21, 22 23, del codice del consumo. La Decisione dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato 30 ottobre 2017

3) Il valore di prova civile delle decisioni dell’Autorità Garante nei procedimenti civili.

4) La decisione del TAR e l’ammissione di responsabilità della Banca.

5) La decisione del Consiglio di Stato.

6) Il contrasto tra orientamenti.

7) La responsabilità della Banca da contatto sociale qualificato, l’insussistenza del ruolo di mero segnalatore, ininfluenza del rapporto fiduciario con la Banca di c.d. vecchia data, violazione art. 1173, 1218, 1337, 1375, 1175 c.c.:

8) Conclusioni e suggerimenti.

* * *

1) Breve introduzione

La vendita dei diamanti era promossa dagli Istituti di credito utilizzando materiale informativo messo a disposizione da terze società coinvolte in virtù di un accordo / convenzione ed erano proposti come forma di investimento di capitali ai risparmiatori, quasi tutti Clienti delle Banche coinvolte e nell’ottica di rivendere successivamente questi preziosi dopo un periodo mediamente di 7 anni (era presente spesso una clausola penale tale per cui se fossero stati rivenduti prima si sarebbe rinunciato a una parte del guadagno). Lo scopo era quello di lucrare sulla plusvalenza.

Le trattative per la vendita dei diamanti si svolgevano a qualsiasi titolo presso le Filiali delle Banche, attraverso i dipendenti delle stesse. Solo in minima parte, solitamente nella fase conclusiva il Cliente incontrava un referente della società venditrice, sempre nei locali della Banca, allo scopo di ricevere informazioni aggiuntive che ruotavano attorno alla vendita ma non la perfezionavano nel vero senso della parola. Trattatavasi quasi sempre di indicazioni sui tempi d’attesa per la più che probabile rivendita futura dei preziosi, l’eventuale trasporto ma soprattutto relativamente all’ipotesi di custodirli presso il caveau della società.

Successivamente all’acquisto e periodicamente la Clientela riceveva un report con l’andamento del prezzo di questi diamanti (o meglio, con il costante incremento del loro valore), evidenziando, in quello che a tutti gli effetti sembrava un wallet o un portafoglio investimenti, un aumento che andava ben oltre il valore di mercato già peraltro abbondantemente superato dal prezzo d’acquisto (mediamente tra il doppio e perfino il triplo del valore di mercato).

Di fatto le operazioni di rivendita prevedevano un mandato a una società controllata dalla stessa che aveva venduto i preziosi la quale si incaricava di venderli (o perlomeno ci provava), a terzi interessati a subentrare nel medesimo investimento.

Non sarebbe sbagliato qualificare tale meccanismo come piramidale in quanto era altamente probabile che i diamanti passassero di mano tra risparmiatori e clienti nell’ottica di far aumentare il prezzo e per questa ragione era necessario raggiungere un sempre maggior numero di potenziali interessati. Il mercato bancario era certamente il più idoneo a questo scopo.

Tali diamanti non pare venissero venduti con voci aggiuntive (come ad esempio l’Iva) e l’unico parametro per la loro valutazione era l’indice Rapaport tenuto conto di quegli elementi che distinguevano e qualificano gli stessi preziosi (oggi comunemente indicati come le 4 C). I diamanti erano ceduti all’acquirente o custoditi presso il caveau della società venditrice. Erano chiusi in blister sigillati e accompagnati dalle certificazioni sul loro valore.

2) Responsabilità della Banca per violazione degli articoli 20, 21, 22 23, del codice del consumo. La Decisione dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato 30 ottobre 2017

Il documento da cui partire per individuare e ricostruire la corretta violazione delle norme del codice del consumo poste in essere dalla Banca è la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito indicata anche come AGCM) del 30 ottobre 2017.

L’Autorità in questione infatti a seguito dei numerosi ricorsi che le sono pervenuti ha proceduto con particolare meticolosità a raccogliere tutti gli elementi probatori utili a creare il fascicolo ispettivo. Un’attività disciplinata e rigorosa svolta nel corso di 6 mesi più altri 2 di approfondimenti, durante la quale l’Autorità ha minuziosamente esaminato le condotte delle società coinvolte e delle Banche.

Ciò posto, il lavoro compiuto ha portato alle conclusioni di cui al paragrafo n. 231 della Decisione e che meritano di essere riportate nella loro interezza: “La pratica posta in essere da SOCIETA’, SOCIETA’ Intermediazioni, BANCA e BANCA concerne le modalità di prospettazione dell’acquisto di diamanti in tutto il materiale illustrativo diffuso attraverso il sito e attraverso il canale bancario, nonché attraverso le quotazioni pubblicate periodicamente su Il Sole 24 Ore, integra la violazione degli articoli 20 e 21 comma 1, lettera b), c), d) e f), 22, nonché 23, comma 1, lettera t) del codice del consumo in quanto contraria alla diligenza professionale ed idonea a indurre in errore i consumatori relativamente: al prezzo e al modo con cui viene calcolato, all’andamento del mercato dei diamanti e alla vantaggiosità e redditività dell’acquisto prospettato, in comparazione con l’inflazione e altri investimenti; alla certezza del rapido e certo disinvestimento in termini di facile liquidabilità del bene; alle qualifiche del professionista SOCIETA’ che vanta una leadership europea”.

L’AGCM in oltre 80 pagine di decisione ci descrive, prove concrete alla mano raccolte nel Fascicolo Ispettivo, quali sono stati i mecanismi che hanno consentito di realizzare questa vendita. Ben inteso, a scanso di equivoci, non solo ed unicamente a carico delle società ma anche, proprio, delle Banche.

A tal proposito identifichiamo i profili di responsabilità trattandosi delle violazioni di tipo A) cioè quelle per cui la Banca, è stata condannata e sanzionata dall’Autorità e che sono definite al paragrafo 177 della Decisione “Violazioni A”: “la pratica A) si è sostanziata nel fornire una rappresentazione parziale, ingannevole e fuorviante: 1) delle caratteristiche dell’investimento in diamanti, presentato alla clientela quale investimento in un “bene rifugio” in grado di conservare ed accrescere il suo valore nel tempo, di agevole liquidabilità e alienabilità; 2) delle modalità di determinazione del prezzo(sia in caso di acquisto che in caso di rivendita) prospettato come quotazione di mercato; 3) dell’andamento del mercato dei diamanti; 4) della qualifica di Leader di mercato.”

Giova sul punto sottolineare che siamo di fronte ad una circoscrizione ben delimitata del perimetro di responsabilità.

A fronte del quale si legge, quale ulteriore precisazione dovuta proprio e in conseguenza delle specifiche indagini compiute sugli Istituti di credito che: “la suddetta pratica, che ha riguardato la prospettazione complessiva dell’investimento attraverso il sito e il materiale diffuso anche e soprattutto attraverso BANCA e BANCA, che costituivano i principali canali di vendita dei diamanti SOCIETA’ è imputabile alle società SOCIETA’ e SOCIETA’ Intermediazioni e agli stessi Istituti di credito”.

Una chiarezza voluta e ricercata. Che ha un suo peso specifico. Tanto è vero che successivamente al capoverso V2 della Decisione denominato: “Imputabilità della pratica commerciale scorretta agli istituti bancari”, nei paragrafi che seguono, troviamo una lunga e ben argomentata serie di puntuali constatazioni e addebiti a carico della banca.

Difatti leggiamo che “le risultanze istruttorie mostrano una responsabilità concorrente degli istituti di credito nella realizzazione della pratica concernente la vendita dei diamanti da investimento, rappresentando le banche, per espressa ammissione di SOCIETA’ il principale canale attraverso il quale i diamanti di SOCIETA’ venivano offerti ai consumatori finali” (par. 179). E scendendo nello specifico: “hanno interessato l’operatività di tutta la rete agenziale degli Istituti di credito e prevedevano un ritorno economico per le Banche parametrato al volume di vendita” (par. 180). Come pure che: “i funzionari bancari ai quali normalmente i clienti si rivolgevano per la consulenza sui propri investimenti proponevano alla propria clientela, qualora ricorressero alcuni requisiti patrimoniali e un’inclinazione ad investire, l’acquisto dei diamanti come forma di investimento alternativa” (par. 181). E ancora: “I funzionari della banca utilizzavano il materiale divulgativo predisposto da SOCIETA’ per illustrare l’investimento. In tale materiale l’acquisto di diamanti veniva proposto per diversificare il patrimonio del cliente, come un bene rifugio idoneo a conservare il valore dei risparmi e di cui era agevole controllare l’andamento” (par. 181).

Orbene è del tutto inevitabile, in questo clima di apparente disinteresse per i diritti dei consumatori e dei risparmiatori leggere successivamente a chiare lettere che: “Emerge, dunque, un coinvolgimento degli istituti bancari che hanno di fatto permesso la realizzazione della pratica oggetto di odierno disamine, proprio attraverso la messa a disposizione delle sedi e in considerazione delle modalità con le quali si realizzava l’offerta di prodotti ai consumatori e si svolgevano i successivi adempimenti finalizzati all’acquisto” (par. 182).

Come pure, in modo altrettanto lapidario: “Gli istituti bancari hanno in conclusione permesso in concreto l’attuarsi della condotta scorretta traendone uno specifico interesse economico e commerciale che ne qualifica il coinvolgimento e la responsabilità”

Volgendo poi lo sguardo al materiale illustrativo l’Autorità chiarisce in modo inequivoco come quest’ultimo: “divulgato agli Istituti di credito nonché da quest’ultimi utilizzato al fine di offrire una prima informativa al cliente sull’investimento, presenta i prezzi dei diamanti come quotazioni lasciando intendere che trattasi di rilevazioni oggettive di mercato raccolte dal professionista a beneficio del consumatore”.

E per effetto: “la rappresentazione dei propri prezzi alla stregua di quotazioni è dunque un elemento idoneo ad indurre un fraintendimento nei consumatori.” Difatti queste “quotazioni/prezzi dei diamanti elaborate da SOCIETA’ sono state, da un lato, il riferimento per la determinazione dell’importo delle transazioni e dall’altro, la base sulla quale veniva costruito l’andamento del mercato riportato in un grafico di comparazione con gli andamenti dell’inflazione e dell’indice EuroStoxx50” (par. 184).

In buona sostanza, stante il tenore dei contenuti della Decisione AGCM si può ipotizzare che si sia preso l’andamento di una vendita privata organizzata sulla base di un sistema piramidale, ormai assai noto nella prassi, tale per cui per ogni persona che entra ce ne vuole una che esce (una classica catena di uscite-ingressi laddove la Società stessa non ha mai riacquistato i diamanti ma semplicemente li rimpiazzava dando “il cambio” a chi se li era tenuti con altri che subentravano) suggerendo che si trattasse di un vero e proprio mercato regolamentato.

Ed è sempre per questo che si legge nella Decisione dell’Autorità: “le modalità di pricing adottate da SOCIETA’, che comportavano uno scostamento tra il valore di mercato della pietra e il prezzo corrisposto per il suo acquisto, rendevano assai difficile, se non impossibile, la vendita del diamante sul mercato al di fuori del circuito SOCIETA’ a un prezzo che potesse almeno conservare il valore dell’investimento iniziale” (Par. 205) come pure: “vale inoltre sottolineare che il ricollocamento offerto da SOCIETA’ Intermediazioni – l’assunzione di un mandato a vendere eventualmente rinnovabile – non si sostanzia in un riacquisto da parte di SOCIETA’ ma soltanto nell’impegno a ricercare altri investitori disposti ad acquistare i diamanti alle quotazioni elaborate da SOCIETA’”.

Giova osservare che tale impegno in realtà avrebbe ben potuto nascondere l’accordo con la Banca esteriorizzato forse nella formula della meno coinvolgente convenzione. In pratica Tizio che è caduto nella vendita piramidale dava il cambio a Caio che a sua volta ci era rimasto invischiato prima, ed entrambi sollecitati, convinti e gestiti dalla Banca (magari addirittura per assurdo nella stessa filiale).

Ormai tutti sappiamo che le vendite piramidali prima o poi sono destinate a saltare per via del fatto che più la base della piramide si allarga più c’è bisogno di nuove persone da convincere.

Tanto è vero questo che la stessa Banca ne sarebbe stata consapevole ai massimi livelli, e addirittura lo riportava nelle sue circolari interne, secondo l’Autorità, destinate ai dipendenti che dovevano intercettare i risparmiatori la qual cosa, sempre l’Autorità, l’avrebbe anche ampiamente scoperto motivo per cui leggiamo: “la consapevolezza della scarsa liquidità di questo investimento emerge nelle linee guida di Banca, dove si raccomanda di non superare tale soglia in quanto la liquidabilità è bassa e sono previste delle commissioni di disinvestimento”. (par. 209).

Per quanto riguarda i dati sul valore di questi diamanti venivano esaltati nel paragone con indici più noti, come l’inflazione e poi pubblicati su alcuni famosi quotidiani d’informazione finanziaria dando l’impressione che fossero dati ufficiali come quelli dei principali listini per esempio dei titoli o dei prodotti finanziari quotati in mercati regolamentati. E difatti l’AGCM è categorica sul punto e a dir poco intransigente quando scrive: “la pubblicazione periodica di tali quotazioni su un quotidiano economico finanziario di larga diffusione e reputazione quali il Sole 24 Ore, e successivamente, Milano Finanza contribuiva ad avvalorarne l’autorevolezza inducendo nei consumatori l’erronea percezione che si trattasse di oggettive “quotazione dei diamanti sul mercato”.

E che questo materiale non avrebbe mai e poi mai nemmeno dovuto mettere piede nelle filiali di una Banca è evidente, e ancora una volta puntualmente sottolineato al paragrafo 188 quando si precisa che “ad alimentare l’equivoco dato dalla impropria definizione del prezzo come quotazioni dei diamanti concorrevano.. la circostanza che l’acquisto veniva proposto nelle filiali bancarie dagli stessi soggetti usualmente deputati ad offrire consulenza sugli investimenti finanziari tradizionali”.

Ulteriore elemento di criticità era quello di far credere al risparmiatore che questi diamanti fossero un rendimento sicuro nel tempo.

E infatti l’AGCM ha ben cura di scrivere: “proprio i ricordati elementi di prospettazione della pratica (quotazioni, pubblicazione sui giornali economici, rappresentazione con grafico, confronto indici internazionali e finanche l’indicazione dei rendimenti percentuali ottenuti nel tempo dai precedenti acquirenti) erano volti a far credere al consumatore che il diamante che veniva acquistato era un bene rifugio in ogni caso e in qualsiasi momento agevolmente monetizzabile in tutto il mondo, che avrebbe potuto preservare il valore dei risparmi investiti.

Il quadro che emerge pertanto lascia ipotizzare che vi siano state delle prassi molto consolidate, forse addirittura seriali o rituali, basate su di una serie di procedure che consentivano non soltanto il primo avvicinamento ma anche una vera e propria attività persuasiva a tratti sconfinante in una manipolazione degli intendimenti e della consapevolezza, tale da ingenerare nel risparmiatore una falsa rappresentazione di contenuti la qual cosa è avvenuta con l’opera e l’apporto essenziale dell’attività bancaria.

Per usare le stesse parole dell’AGCM: “le informazioni acquisite mostrano, infatti, come il coinvolgimento delle banche nella realizzazione della pratica fosse tutt’altro che marginale, essendo la loro attività necessaria e funzionale alla vendita del diamante”. Non solo ma: “in particolare, sulla base del materiale di cui disponevano, gli istituti di presentavano l’investimento in diamanti in termini di bene rifugio per diversificare il proprio patrimonio con quotazioni pubblicate periodicamente e destinate ad aumentare per la progressiva riduzione della produzione di diamanti, liquidabile in tutto il mondo, ricollocabile alle quotazioni in corso in qualsiasi momento” (par. 220 e ss). Inoltre, è emerso dalle testimonianze, dai reclami, dalle segnalazioni e dall’indagine portata avanti dall’Autorità che: “i consulenti bancari non si limitassero ad un asettica prospettazione della possibilità di acquisto dell’investimento ma ne ponessero in rilievo la convenienza l’attitudine a conservare il valore del patrimonio investito”. E certo non per caso: “Le banche fornivano assistenza al cliente nella compilazione del modulo d’ordine di cui curavano l’invio a SOCIETA’, e nel quale una parte era riservata alla filiale, gestivano la comunicazione al cliente dell’accettazione della proposta di acquisto da parte di SOCIETA’ e i flussi finanziari necessari al perfezionamento dell’acquisto, organizzavano e presenziavano agli incontri in sede tra SOCIETA’ e il cliente”. Quindi, verosimilmente e in modo del tutto lineare: “E’ indubbio che il cliente al momento dell’acquisto fosse persuaso del fatto che l’operazione nel suo complesso e le informazioni rese sull’investimento fossero verificate e quindi “garantite” dalla Banca”. Conseguentemente: “Il comportamento delle banche nella prospettazione dell’investimento in diamanti ha tradito l’affidamento risposto dai clienti sulla loro competenza riguardo alla diversa rischiosità e convenienza di varie forme di impiego del risparmio” e più nello specifico: “come rilevato anche da Consob, proprio la circostanza che l’investimento fosse proposto dai propri consulenti/referenti bancari può aver indotto i consumatori a ritenere veritiere le informazioni pur gravemente decettive ricevute e quindi a giudicare superfluo effettuare ulteriori approfondimenti diversamente da quanto sarebbero stati naturalmente portati a fare se avessero acquisito quelle stesse informazioni attraverso canali differenti”.

Definitivamente, conclude quindi l’Autorità: “la fiducia riposta nella serietà e nella reputazione della banca siano stati elementi determinanti nella decisione finale di acquisto, avendo generato in essi un legittimo affidamento verso quelle informazioni veicolate dagli impiegati” (Par. 226).

3) Il valore di prova civile delle decisioni dell’Autorità Garante nei procedimenti civili.

Uno dei primi argomenti con cui gli interpreti del diritto si sono dovuti confrontare, a seguito di questa importante decisione è stata la sua utilizzabilità nei giudizi civili che in tutta Italia stavano cominciando

Orbene, occorre anzitutto precisare che l’AGCM sul caso dei diamanti non ha preso una decisione a caso: ha raccolto “prove” che sono confluite nel fascicolo ispettivo allegato alla decisione.

Non esiste il documento separato dalla decisione: è uno e viene sempre richiamato in calce e nelle note della decisione AGCM.

E’ il fascicolo ispettivo che racchiude le prove.

Se per esempio ci fosse una Circolare, in questo fascicolo, che riguarda quello che una società suggeriva di fare ai dipendenti di una Banca per convincere i propri clienti a comprare questi diamanti allora quest’ultima si troverebbe nel fascicolo in questione.

Vale inoltre la pena ricordare che c’è anche il documento “Studio Consob” nel fascicolo ispettivo che solleva non poche perplessità relativamente alla vendita dei diamanti in questione.

Il fascicolo ispettivo contiene quindi le prove. Sulla base delle quali l’AGCM ha deciso. E il giudice amministrativo in persona del Tar Lazio ha confermato nelle sue sentenze pubblicate il 14 novembre 2018 che la raccolta di prove, cioè il fascicolo ispettivo è stata compiuta in modo esemplare quindi senza alcun vizio. La qual cosa ha trovato ulteriore conferma definitiva con il Consiglio di Stato con la sentenza dell’11 marzo 2021 (vedremo i passaggi più importanti in ragione del presente articolo nei paragrafi seguenti).

Non è quindi la sola decisione dell’AGCM che entra nel giudizio ma il contenuto del fascicolo cui la decisione è inscindibilmente legata.

Tutto questo è già noto perchè a dircelo è fra l’altro la Corte di Cassazione che si è occupata di come e quando le decisioni dell’AGCM possono entrare nel procedimento civile e lo ha fatto fra l’altro con la sentenza 17972/2014: “la finalizzazione dell’attività di accertamento dei fatti compiuta dall’Autorità Garante integra in piena applicazione delle elaborazioni di teoria generale del processo in punto di rilevanza delle prove cosiddette atipiche o raccolte in processo separato ma anche solo in parte connesso una sorta di stato avanzato o preliminare di quelle devolute istituzionalmente al singolo giudice civile, investito delle ordinarie azioni risarcitorie fondate sui medesimi fatti. Sicchè la prova acquisita in quella sede è in grado di esonerare ove questi se ne voglia avvalere il danneggiato dalla reiterazione degli accertamenti di fatto o della valutazione degli elementi già operata in sede di procedimento amministrativo e di giudizio avverso il provvedimento di accertamento dell’infrazione ed irrogazione della sanzione: ed in tal senso può parlarsi allora di prova privilegiata (se non di vera e propria presunzione iuris tantum o comunque di elementi di prova fondato come accennato, sulla teoria della c.d. prova atipica) benchè non già di prova legale, essendo chiuso il numero dei casi in cui il giudice è vincolato alla valenza probatoria di un particolare elemento”.

Non solo ma a onor del vero, dopo la conferma da parte del Giudice amministrativo la parte destinataria dell’infrazione in un diverso procedimento, per esempio civile, può contestare gli elementi di prova dell’Autorità solo ed unicamente deducendo fatti nuovi sui quali non ci sia già stato il vaglio del Giudice amministrativo.

Lo scrivente ritiene che già di per sè questo aspetto sarebbe dirimente per chiudere la questione.

Anche questo è già andato a giudizio di primo grado, infatti il Giudice di Lucca ha correttamente individuato questo presupposto, nella sentenza 750/2020 dove leggiamo il riferimento ad un altra Suprema Corte che si è già occupata dell’argomento: “La rappresentazione del contenuto del provvedimento dell’Autorità è utile per comprendere la natura del rapporto e le violazioni alle regole di condotta contrattuali. E’ peraltro necessario, in questa sede, accertare se, nella filiale di Piazza S. della banca “BANCA” oggi convenuta, siano state effettivamente poste in essere le attività’ descritte in via generale nel rapporto dell’Autorità’ Garante, poiche’ non si puo’ prescindere dall’accertamento concreto della fattispecie di violazione rappresentata da parte attrice, accertamento che potra’ svolgersi anche in modo presuntivo, essendo la fattispecie esaminata e sanzionata dall’Autorità Garante ed essendo statuito dalla S.C., con sentenza del 28 maggio 2014, n. 11904, che il consumatore che promuova azione per il risarcimento del danno assolve l’onere probatorio a suo carico con la produzione del provvedimento sanzionatorio” (sottolineatura dello scrivente).

E anche il Giudice di Genova, nella recente sentenza 711/2021 ribadisce il concetto quando, avuto riguardo alla Decisione AGCM correttamente precisa: “Si deve infatti rammentare che in ordine ai fatti accertati la pronuncia suddetta è dotata di forza probatoria (Cass. 18176/2019)”.

Del resto poi questo paradigma è già molto noto e applicato basti considerare ad esempio, fra i tanti, il filone assicurativo: “il provvedimento sanzionatorio adottato dall’Autorità Garante per la Concorrenza ha una elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale, quanto l’astratta idoneità della stessa a procurare un danno ai consumatori e consente di presumere, senza violazione del principio praesumptum de praesumpto non admittitur, che dalla condotta anticoncorrenziale sia scaturito un danno per la generalità degli assicurati, nel quale è ricompreso, come essenziale componente, il pregiudizio subito dal singolo assicurato” Così Cass. 13846/2019, Cass. 28 maggio 2014, n. 11904; cfr. pure, in tema, ad es. Cass. 23 aprile 2014, n. 9116Cass. 22 maggio 2013, n. 12551Cass. 9 maggio 2012, n. 7039Cass. 20 giugno 2011, n. 13486).

Per non parlare poi in sede europea laddove il criterio è il medesimo e quindi come già osservato volendo anche solo concepire l’idea, di una sorta di inutilizzabilità come prova delle decisioni AGCM (ma anche a questo punto delle analoghe rese dall’Autorità Europea) finiremmo per dover mettere le mani in un numero impressionante di decisioni già assunte e di giudicati già formatisi.

Inoltre, per tabulas va aggiunto che avuto riguardo ai contenuti del ricorso al Tar Lazio il problema nemmeno si porrebbe.

Perchè in sede amministrativa, quando cioè la decisione dell’AGCM è stata impugnata, la Banca pare avere messo per iscritto la propria responsabilità.

Si legge infatti nella Sentenza del Tar Lazio che la Banca (cioè la ricorrente nel procedimento amministrativo per il quale è sentenza da parte del Tar): “nel caso in esame la ricorrente stessa ammette di non aver operato alcuna verifica sul contenuto dell’offerta, comportamento questo che sicuramente non risponde alla diligenza professionale che ci si attende dalle banche laddove esse decidano di fornire ai propri clienti un servizio di consulenza su investimenti”, come pure che “ne vale invocare l’esistenza del parere Consob, che riguardava la liceità dell’attività in astratto e non le concrete modalità con le quali veniva prospettata l’offerta” (grassetto e sottolineatura dello scrivente).

Queste sono le parole del Tar Lazio

Devesi sottolineare che siffatta ammissione di responsabilità è un fatto giuridicamente rilevante in sede civile.

Chiarito quindi che la decisione dell’AGCM costituisce prova in un procedimento civile (addirittura anche, se volessimo, privilegiata) procediamo con ordine esaminando i passaggi più rilevanti della decisione del Tar Lazio (di cui abbiamo poco sopra riportato un importante passaggio) e del Consiglio di Stato Sentenza 11 marzo 2021

4) La decisione del TAR e l’ammissione di responsabilità della Banca.

Avverso alla Decisione dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato la Banca ha ritenuto di proporre ricorso al Tar Lazio nel tentativo di riformarne i contenuti.

Il Giudice Amministrativo però è stato ancora più categorico dell’AGCM e, per esempio leggiamo, nella Sentenza Tar Lazio n. 10967/2018 avente quale destinataria una delle Banche coinvolte che: “la Banca conseguiva una provvigione pari ad una percentuale dell’operazione conclusa (tra il 10% e il 20% ben lontana dalla misura di un ipotetico indennizzo)” e anche “come la stessa si prefiggesse, in forza dell’accordo con SOCIETA’, di conseguire un aumento delle vendite di servizi bancari aggiuntivi e un effetto di fidelizzazione del cliente”.

Motivo per cui “in forza dell’accordo di collaborazione sottoscritto tra SOCIETA’ e BANCA la banca fosse tenuta a mettere a disposizione dei clienti, nei propri locali, il materiale divulgativo predisposto da SOCIETA’, provvedendo anche i funzionari dell’istituto a inoltrare alla SOCIETA’ le disposizioni di acquisto sottoscritto dall’acquirente”.

Inoltre dall’esame delle linee guida operative ad uso interno dei dipendenti della banca e delle circolari interne vigenti fino al 28 dicembre 2016 (già citate nella Decisione AGCM): “rileva poi come fosse espressamente previsto che alla raccolta della proposta di acquisto era deputato un c.d. referente investimenti e come pure fosse descritto nel dettaglio il processo da seguire per proporre l’investimento in diamanti e nell’assistere il cliente nell’eventuale acquisto” (grassetto e sottolineatura dello scrivente).

Il Tar Lazio da subito quindi non solo conferma e promuove l’operato dell’AGCM che ha ben svolto il proprio ruolo di raccolta prove ma nel contempo usa un linguaggio di sintesi volutamente perentorio quasi per mandare il chiaro messaggio di voler chiudere l’argomento a qualsivoglia diversa interpretazione.

Per questo motivo il Giudice Amministrativo concordando con l’istruttoria dell’AGCM afferma che “già tali evidenze dimostrano come l’attività di segnalazione di BANCA al di là della sua formale definizione comportasse un ruolo attivo nella dinamica contrattuale complessiva in cui il consumatore era coinvolto”, come pure, e con maggior forza, utilizzando le stesse identiche parole dell’Autorità Garante che “la pratica commerciale sanzionata si è realizzata ed è stata favorita proprio dal canali di vendita di cui la società si è avvalsa costituito dalla rete bancaria e che il quadro probatorio complessivamente raccolto faceva emergere il fatto che i funzionari bancari ai quali normalmente i clienti si rivolgevano per la consulenza sui propri investimenti proponevano alla propria clientela.. l’acquisto dei diamanti come forma di investimento alternativa”.

Quindi e correttamente il Tar Lazio non solo confermando gli atti dell’Istruttoria compiuti dall’AGCM ma altresì valutando gli stessi elementi probatori, respingendo le eccezioni formulate proprio dalla Banca nel ricorso, torna a ribadire il consolidato indirizzo tale per cui “al fine di valutare la ricorrenza di una pratica commerciale scorretta le espressioni contenuti nelle singole clausole vanno valutate alla luce del complesso degli accordi negoziali esistenti e ancor di più della pratica attuazione degli stessi”, pertanto e in maniera del tutto logica: “appare chiara l’attività di promozione e consiglio svolta dai funzionari della ricorrente”.

Come se tutto ciò non bastasse prosegue il Giudice significando come “la responsabilità della ricorrente per i fatti oggetto del provvedimento risulta poi puntualmente correlata anche al significativo ritorno economico da questa conseguito a seguito dell’attività di promozione dei diamanti da investimento (i cui importi ammontano a oltre 100 milioni di euro nel periodo 2011 – 2016) nonché al dichiaratamente perseguito effetto di vendita di servizi bancari di custodia e di fidelizzazione della clientela che aveva la sensazione di avere a disposizione un più ampio servizio consulenziale in materia di investimenti”. Trattasi di un passaggio di non poco momento quello che il Giudicante ha voluto introdurre nella Sentenza in questione laddove non solo conferma ulteriormente l’impianto probatorio raccolto dall’AGCM ma ricorda come di per sé sussista già una pratica commerciale scorretta nel momento in cui è dimostrato, come nel caso della vendita di diamanti, la rilevanza del ritorno economico del professionista e tutto ciò a prescindere dall’estraneità del prodotto offerto rispetto alla gamma di servizi forniti (così, fra gli altri, Consiglio di Stato n. 1820 del 21 marzo 2018).

A tal proposito, in relazione al fondamento della responsabilità della Banca appare utile ricordare come il Codice del consumo, all’art. 2 comma 2, lett. c), prevede il diritto dei consumatori ad essere correttamente informati, stabilendo espressamente che essi hanno il diritto ad “un adeguata informazione e ad una corretta pubblicità” ed ancora, alla lettera e): “alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali”, specificando, all’art. 5 comma 3°, che “le informazioni al consumatore, da chiunque provengano devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto conto anche delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”.

A scopo di mera completezza ritiene lo scrivente di dover riproporre il consolidato orientamento secondo il quale la nozione di professionista rinveniente dal codice del consumo deve essere intesa in senso ampio, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di un’attività finalizzata alla promozione e/o alla commercializzazione di un prodotto o un servizio. In tal senso, integra la nozione di professionista autore (o co-autore) della pratica commerciale “chiunque abbia una oggettiva cointeressenza diretta ed immediata alla realizzazione della pratica commerciale medesima” (fra le tante: Tar Lazio 311/2017, 312/2017, 5039/2015, 41/2015, 4579/2015).

Il che pare essere proprio quello che è accaduto.

Difatti “ai fini dell’imputabilità dell’illecito ai sensi del Codice del Consumo, ciò che rileva è che il professionista abbia con il suo contegno contribuito, in qualità di co-autore, alla realizzazione dell’illecito, non solo ove il suo contributo abbia avuto efficacia causale, ponendosi come condizione indefettibile alla realizzazione della violazione ma anche allorquando il contributo abbai sostanziato un agevolazione della condotta, traendone un diretto vantaggio economico, pur se il professionista non abbia direttamente interagito con il consumatore” (Consiglio di Stato n. 3763 del 22 giugno 2011).

Sul punto in diritto giova sottolineare che, come assai noto, la disciplina consumeristica nel presupporre l’attribuibilità psicologica del fatto al soggetto, non postula necessariamente la presenza del dolo (specifico o generico), sicchè la configurabilità della fattispecie prescinde dalla sussistenza di un elemento volitivo costitutivo dal preordinato proposito di porre in essere una condotta antigiuridica, dimostrandosi, per l’effetto sufficiente la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa, vale a dire di un difetto di diligenza rilevabile dal complessivo atteggiarsi del comportamento posto in essere dall’operatore commerciale e infatti “è sufficiente che pur sussistendo le obiettive condizioni per scongiurare il verificarsi, quest’ultimo abbia omesso di modellare il proprio comportamento ai canoni dell’ordinaria diligenza” (fra le tante, sempre la stessa Tar Lazio Roma n. 61 del 3 gennaio 2017).

Ed è questo il motivo per cui al fine di valutare la ricorrenza di una pratica commerciale scorretta le espressioni contenute nelle singole clausole vanno valutate alla luce del complesso degli accordi negoziali esistenti e ancor di più, della pratica attuazione degli stessi.

Del resto: “è necessaria e sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa” (Consiglio di Stato n. 1897 del 29 marzo 2011, Tar Lazio n. 12081 del 22 ottobre 2015 e n. 3503 del 18 aprile 2012).

Infatti, lo riportiamo una seconda volta, scrive il Tar Lazio:“nel caso in esame la ricorrente stessa ammette di non aver operato alcuna verifica sul contenuto dell’offerta, comportamento questo che sicuramente non risponde alla diligenza professionale che ci si attende dalle banche laddove esse decidano di fornire ai propri clienti un servizio di consulenza su investimenti”, come pure che “ne vale invocare l’esistenza del parere Consob, che riguardava la liceità dell’attività in astratto e non le concrete modalità con le quali veniva prospettata l’offerta” (grassetto e sottolineatura dello scrivente).

E il risultato non può che essere: istruttoria dell’AGCM corretta, sanzioni corrette, ricorso al Tar respinto, sanzioni confermate. Conseguenza: violazione articoli del codice del consumo 20, 21, 22 e 23.

5) La decisione del Consiglio di Stato 11 marzo 2021

Anche la decisione del Tar Lazio, come già prima quella dell’AGCM è stata impugnata dalla Banca con un ricorso al Consiglio di Stato allo scopo, ancora, di riformarne i contenuti o quantomeno di contenere il regime di responsabilità che si delineava in maniera problematica posto che nel mentre numerose erano le controversie iniziate in sede civile.

Conseguentemente, la decisione del Consiglio di Stato, pare corretto rilevarlo, non è solo diritto amministrativo poichè quando il CdS l’ha scritta era ben consapevole del dibattito in corso nei giudizi di primo grado pendenti a proposito del valore “civilistico” della decisione AGCM come elemento di prova e dalla lettura del testo della sentenza definitiva (non più ricorribile o appellabile) il Consiglio di Stato sembra abbia voluto smontare passo dopo passo tutto l’apparato difensivo o meglio il principale impianto della difesa della Banca. Pure andando ad affrontare la figura del mero segnalatore: insussistente.

Non a caso quindi il Consiglio di Stato, proprio per non lasciare spazio a equivoci, dedica ben due paragrafi segnatamente i 5 e il 6 della sentenza a confermare:

  1. L’attività svolta dall’AGCM nell’aver formato il fascicolo ispettivo è stata condotta in modo perfetto.

  2. La completa insussistenza di qualsivoglia ruolo di “mero segnalatore”. A tal riguardo basta riportare quanto previsto in apertura del punto 5.1 della sentenza Consiglio di Stato: “La censura è infondata, muovendo da una premessa errata, ovvero che l’attività dell’Istituto bancario si sia limitata a quella di mero “segnalatore”. Deve, invero, escludersi che il ruolo della Banca nella realizzazione della pratica in oggetto si sia limitato semplicemente a trasmettere alla clientela un prodotto e un materiale divulgativo interamente predisposto da altri.”

  3. La piena e concreta responsabilità proprio della Banca in particolare per il palese coinvolgimento dovuto alle commissioni e ritorni economici. E quindi leggiamo: “Al riguardo, deve anche osservarsi che ciò che rileva è che il professionista abbia con il suo contegno contribuito, in qualità di coautore, alla realizzazione dell’illecito, non solo ove il suo contributo abbia avuto efficacia causale, ponendosi come condizione indefettibile alla realizzazione della violazione, ma anche allorquando il contributo abbia sostanziato una agevolazione dell’altrui condotta, traendone un diretto vantaggio economico (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3763)”. Come pure ad ulteriore rafforzamento: “Non può, inoltre, trascurarsi che la responsabilità della ricorrente per i fatti oggetto del provvedimento risulta correlata anche al ritorno economico da questa conseguito a seguito dell’attività di promozione dei diamanti di investimento (sulla rilevanza del ritorno economico del professionista al fine di fondare la sua responsabilità per pratica commerciale scorretta, a prescindere dalla estraneità del prodotto offerto rispetto alla gamma tipica di servizi forniti vedasi Consiglio di Stato, sez. VI, 21 marzo 2018, n. 1820).

Il paragrafo 6 della Sentenza del Consiglio di Stato si focalizza fra l’altro sull’aspetto piramidale della rivendita dei diamanti di cui i Clienti erano completamente all’oscuro: “Al riguardo, l’indagine dell’Autorità ha, invece, appurato che la rivendibilità e redditività del bene erano subordinate alla permanenza di condizioni del tutto particolari, tra cui la scelta di ricollocare i diamanti utilizzando il medesimo canale di acquisto e la circostanza di chiedere il disinvestimento in un momento nel quale vi fosse una scarsa domanda di smobilizzo, la cui necessaria ricorrenza non era in alcun modo resa nota al consumatore.” E infatti: “l’istruttoria procedimentale ha permesso di appurare che la possibilità di recuperare il capitale investito dipendeva da diversi fattori quali, principalmente, il prezzo al quale si rivende il diamante sul mercato e la facilità di trovare una controparte disposta ad acquistare il diamante stesso. L’alea del ricollocamento, verosimilmente possibile solo all’interno del circuito nel quale operava lo stesso professionista (SOCIETA’ e SOCIETA’ Intermediazioni), non veniva in alcun modo chiaramente esplicitata al consumatore”.

Conseguentemente e in maniera che si può tranquillamente definire tombale il Consiglio di Stato richiama, per la responsabilità della Banca, la più recente e consolidata giurisprudenza sul tema della responsabilità del professionista anche in veste di co-autore, di facilitatore, insomma qualsivoglia sia il ruolo dietro al quale si sviluppano le difese. Come pure al c.d. obbligo di estrema chiarezza. E non caso parlando anche di semplice pericolo. Vedasi come richiamate in sentenza: Cons. St., sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4976; sez. VI, 23 maggio 2019, n. 3347; sez. VI, 10 dicembre 2014, n. 6050, Consiglio di Stato, sez. VI, 16 marzo 2018, n. 1670, Consiglio di Stato, 4 luglio 2018, n. 4110; Consiglio di Stato, 11 maggio 2017, n. 2178, Cons. Stato, Sez. VI, 15 luglio 2019.

A questo punto quindi abbiamo una panoramica molto esaustiva dalla quale ricaviamo alcuni elementi in diritto di fondamentale importanza per una miglior composizione del prosieguo.

6) La responsabilità della Banca: il contrasto tra orientamenti in diritto.

La questione in diritto sui diamanti è già nota e andata a giudizio nel corso degli ultimi anni tale per cui è corretto affermare che sussistono due orientamenti.

Un primo, forse, nato dall’entusiasmo mediatico che ha portato non pochi risparmiatori a sollevare questioni in diritto obiettivamente difficili da spendere in questo contesto (ad esempio perchè riferite all’applicazione del Testo Unico Finanziario o alla nullità, annullabilità o invalidità del contratto). Per effetto, come buona dottrina ha già rilevato, tali prospettazioni difensive si sono risolte, inevitabilmente, in un certo numero di sconfitte per i risparmiatori ma attenzione perchè in non pochi di questi casi sono i giudici stessi di primo grado che, pur non potendo accogliere le pretese dei ricorrenti o degli attori contro la Banca hanno tracciato profili, anche a mò di spiegazione già nei loro dispositivi (ordinanze o sentenze) nei quali spiegano ai risparmiatori come avrebbero dovuto procedere per avere ragione.

Pertanto è corretto affermare che in questi casi tali decisioni non sono effettivamente favorevoli alle banche. Lo sono state solo per il risultato ottenuto però unicamente perchè o non sono state sollevate le dovute eccezioni o non sono state sviluppate nel modo opportuno e i Giudici hanno dovuto prendere i provvedimenti del caso.

In diritto bancario e degli investimenti non è inusuale che si venga a creare una situazione del genere. E’ già accaduto in passato in alcuni celebri filoni come l’anatocismo o il calcolo degli interessi trimestrali. Del resto accade anche oggi pure in ambiti non legati ai diamanti da investimenti. E’ frequente che vi sia un iniziale serie di risultati favorevoli alle Banche che inevitabilmente orientano la difesa di queste sulla base del metodo dei precedenti cioè citandoli nei giudizi onde trasmettere la sensazione che siano tanti e quindi bypassando i reali contenuti con la quantità, raggruppando il tutto nel minimo comune denominatore dell’oggetto della controversia.

Vale la pena ricordare che una siffatta condotta difensiva è tipica dei paesi di common law come gli USA e potrà forse avere un suo significato per esempio a New York, tuttavia in Italia, come tutte le facoltà di Giurisprudenza insegnano (siamo la patria del diritto di civil law dai tempi dei grandi giuristi dell’antica Roma) tutto ciò non ha alcun significato vincolante (a meno che non si tratti di Cassazioni per l’ovvia e nota funzione che la Suprema Corte esercita ma che tuttavia al momento della stesura di questo articolo non sono pervenute su questo argomento).

Ciò posto e doverosamente chiarito sussiste poi un secondo orientamento che ha reiteratamente sancito la responsabilità della Banca per le stesse identiche motivazioni cui il Cliente ha aderito. Un orientamento che si sta inevitabilmente rafforzando perchè terminata la coda di cause iniziate sull’onda dello scandalo mediatico tutte quelle che sono arrivate dopo confermano i presupposti di questo orientamento espresso fra l’altro dai primi Appelli: Corte Appello di Venezia 2720/2021, Corte d’Appello di Milano 510/2021, Tribunale di Milano 5876/2021, Tribunale di Modena 196/2021, 352/2020, 1357/2020, 604/2020, 3998/2020, Tribunale di Genova 714/2021, 711/2021, 712/2021, 713/2021, 2170/2021, 2273/2020, 2172/2021, Tribunale di Firenze 2252/2021, Tribunale di Cremona 645/2021, Tribunale di Parma 1097/2021, 1096/2021, Tribunale di Perugia 3694/2021, Tribunale di Venezia Ord. 8 Feb 2021, Trib di Verona 5251/2018, Tribunale di Lucca 64/2021, 65/2021, 1674/2019, 750/2020, Tribunale di Siena 596/2021 e non poche altre (va sottolineato non sempre nei confronti dello stesso Istituto di credito) alcune delle quali in corso di studio e approfondimento al momento della stesura di questo articolo come tali non al momento non riportate.

Questo orientamento che fa applicazione del contatto qualificato di cui diremo nell’apposito paragrafo viene usualmente riferito alla decisione del Tribunale di Verona (di cui sopra) oggi già confermata in Appello tuttavia la stessa non è una costruzione giurisprudenziale e si vedrà nel proseguo che il Giudice di primo grado, promosso meritatamente anche in Appello, ha fatto ottima applicazione di un principio già ampiamente noto al diritto bancario.

Nel prosieguo di questo articolo per esigenze espositive si farà riferimento a questo secondo orientamento come all’orientamento più recente e maggioritario essendo che peraltro è in costante divenire e si amplia tante più sentenze/ordinanze vengono pubblicate.

In questa sede però si ritiene necessario suggerire al lettore e in particolare all’interprete del diritto che la prima cosa da fare è analizzare bene i contenuti dei precedenti che vengono qualificati come favorevoli alle Banche proprio perchè con ottima approssimazione il 90% non riguardano i contenuti in diritto dell’orientamento più recente di cui sopra.

Per meglio chiarire gli assai noti limiti del metodo dei precedenti ci soffermiamo brevemente su due precedenti che hanno visto vittoriosa la Banca e che appartengano al Tribunale di Bologna.

Nella decisione di Bologna 20 gennaio 2021, della 4° sezione il Giudice si pronuncia sul Testo unico finanziario. Leggiamo infatti nelle conclusioni chieste dal ricorrente e che vengono riprodotte dal Giudice di Bologna, che non a caso è della quarta sezione demandata cioè agli intermediari finanziari: “accertare la violazione da parte di Banca Aletti dell’art. 21 del TUF e corredato Regolamento Consob con l’assenza di consegna del prospetto informativo circa il rischio di investimento, la profilatura del MIFID del cliente con mancanza della valutazione di congruità dell’investimento.” E’ un precedente che non c’entra niente con l’orientamento più recente. Ma non solo. Per trovare una menzione dei contenuti che invece hanno fondato le decisioni dell’orientamento più recente e che non compaiono nelle conclusioni, dobbiamo procedere nella lettura del dispositivo, forse per via del fatto che le stesse sono state introdotte strada facendo essendo che arrivavano risultati positivi tuttavia non essendo stata organizzata la controversia sulla base di questo orientamento la parte attrice è risultata soccombente perchè e ce lo dice il Giudice di Bologna, l’attrice: “sul punto si è limitata a svolgere allegazioni ad origine generiche nonchè successive capitolazioni istruttorie non ammissibili in quanto vertenti su circostanze altrettanto indeterminate e prive del requisito di specificità nonchè connotate da contenuto valutativo”.

Per meglio capire quanto sia rilevante un attenta lettura dei precedenti onde appunto distinguere quelli pertinenti all’orientamento più recente da quelli che non c’entrano si può leggere la decisione, ancora di Bologna, del 16 luglio 2020 che non a caso proviene stavolta dalla sezione seconda del Tribunale di Bologna che è specializzata non in intermediari finanziari bensì nella contrattualistica. E infatti è vero che respinge il ricorso ma attenzione (!!) perchè nel farlo precisa alcune note motivazioni che non consentono di accoglierlo per motivi diversi dal merito. Infatti leggiamo riguardo alle carenze della ricorrente: “Quest’ultima, va sottolineato, si è, infatti, limitata a prospettare la circostanza della proposta di acquisto da parte della funzionaria della banca senza nulla ulteriormente specificare su come, quando e con quali modalità detta proposizione si sarebbe estrinsecata – e senza articolare alcun mezzo istruttorio al riguardo – e ad allegare una prospettazione omissiva e ingannevole, richiamando in gran parte le risultanze emerse in via generale a carico degli istituti di credito coinvolti dal provvedimento sanzionatorio dell’AGCM – senza peraltro indicarne o citarne espressamente le parti di rilievo – senza che sia dato comprendere pienamente se questo corrisponda anche all’inadempimento in concreto attribuito alla Banca resistente (non è chiaro, ad esempio, se la funzionaria in questione, abbia anche mostrato alla ricorrente i grafici sull’andamento dei prezzi di vendita presentati come “quotazioni” poste a confronto con indici ufficiali e quotazioni stabilite in mercati regolamentati. Giustamente il Giudice di Bologna ha quindi cura di precisare: “Né può ritenersi idoneo a dare prova del ruolo e del coinvolgimento dell’istituto, da cui la ricorrente fa derivare un affidamento qualificato sulla veridicità e correttezza delle condizioni riportate, la produzione di articoli di stampa (con riferimento ai risvolti penali della vicenda) o il generico richiamo a quanto emerso in altra sede processuale (nello specifico avanti al Tribunale di Verona in sede di emissione dell’ordinanza del 23.5.2019 depositata sub doc. 10 di parte ricorrente), ove era stato fornito ulteriore materiale probatorio che, per poter essere utilizzato in questa sede doveva essere riprodotto o – quantomeno – specificamente richiamato e riportato”.

In buona sostanza , se analizzate le decisioni favorevoli alle banche riveleranno o che si è trattato di argomenti effettivamente non premianti per il risparmiatore ricorrente (come appunto Tuf, o invalidità, nullità o annullamento del contratto) oppure che le prospettazioni e le eccezioni formulate sono state elaborate in modo tale che il Giudice ha dovuto valutarle in modo sfavorevole.

Tutto ciò senza nulla togliere al fatto che ci sono anche delle decisioni di primo grado (poche a onor del vero) che sembrano aver penalizzato il risparmiatore e promosso la Banca per motivazioni ben poco condivisibili se non addirittura sulla base di valutazioni in diritto che non paiono persuasive e si prestano a fondate censure.

Più di recente anche anche le prime Corti d’Appello investite dell’onere di decidere sul punto in diritto si sono espresse.

Prima di tutto la recentissima Corte d’Appello di Venezia 2720/2021, che ha confermato l’impianto di primo grado del Giudice di Verona che pare corretto e ha promosso il concetto di contatto sociale qualificato per la Banca anche nel caso dei diamanti riproponendo quello che sembra, perchè a tutti gli effetti lo è, il principio in diritto “Del resto, conforta tale ricostruzione anche il Consiglio di Stato, pronunciatosi con la sentenza 2081/2021 in merito alla sanzione irrogata dalla AGCM a diverse banche tra le quali BANCA s.p.a., accertando che SOCIETA’ S.p.a. rappresentava in modo ingannevole ed omissivo: a) il prezzo di vendita dei diamanti, fissato in maniera autonoma dal professionista e tale da comprendere costi e margini di importo complessivamente superiore al valore della pietra, ma presentato come quotazione di mercato, l’.andamento dei quali veniva pubblicato, a pagamento, su giornali economici; b) l’.aspettativa di apprezzamento del valore futuro dei diamanti, attraverso grafici costruiti sull’.andamento dei propri prezzi di vendita presentati come “quotazioni” e messe a confronto con indici ufficiali e quotazioni di titoli stabilite in mercati regolamentati; c) la facile liquidabilità e rivendibilità del diamante, quando invece l’.unico canale di rivendita attraverso il quale avrebbero potuto essere realizzati i guadagni prospettati è rappresentato dagli stessi professionisti; d) la qualifica di leader di mercato, impiegata senza ulteriori precisazioni al fine di conferire un maggiore affidamento alla propria offerta. Ciò posto, sebbene la Banca non fosse il soggetto offerente dei diamanti, è risultato pacificamente che: 1) la banca ha messo a disposizione della propria clientela, all’interno delle proprie filiali, materiale divulgativo ed informativo di SOCIETA’ S.p.a.; 2) la sig.ra Ma., già cliente di BANCA, apprendeva da parte della propria consulente finanziaria dell’Istituto di credito della possibilità di acquistare i diamanti, prendendo visione del suddetto materiale informativo 3) la funzionaria ha inoltrato l’ordine d’.acquisto della sig.ra Ma., mettendola così in contatto con SOCIETA’ S.p.a. 4) la funzionaria ha raccolto la sottoscrizione della sig.ra Ma. recandosi personalmente presso la sua abitazione, stante le difficoltà di deambulazione dell’anziana signora. Risulta inoltre comprovato, sulla base della stessa documentazione prodotta dalla banca, che quest’ultima percepiva per tale attività un corrispettivo rapportato “al volume degli ordini di acquisto inoltrati dalla Banca stessa e condotti a buon fine” (cfr. doc. 6 – contratto tra BANCA e SOCIETA’). Ebbene, ritiene questa Corte che tali elementi siano sufficienti a fondare la responsabilità di BANCA S.p.a. per la violazione degli obblighi informativi e protettivi nei confronti della propria cliente, odierna attrice, nascenti da un contatto sociale qualificato”.

Non solo ma la Corte d’Appello di Venezia ha promosso anche e soprattutto il modo di introdurre il valore dei diamanti nel procedimento di primo grado che sarebbe di per sè sufficiente a provare il danno e a giustificare il risarcimento, e infatti leggiamo: “In relazione al quarto e settimo motivo di appello principale, nonché al terzo motivo di appello incidentale che attengono alla critica circa la determinazione del danno patito dall’.appellato, ed all’.assenza di CTU estimativa, deve rilevarsi come il ricorrente in primo grado, oggi appellato abbia documentato, mediante il raffronto con il valore per carato di diamanti della stessa purezza e dello stesso colore di quelli acquistati indicato nel noto listino Ra., che il valore presumibile degli stessi si aggira al massimo ad euro 14.015,74 a fronte di un corrispettivo versato pari ad euro 46.220,40. Il pregiudizio derivante dal notevole minor valore dei diamanti può pertanto ritenersi provato, tanto più che sul punto controparte si è limitata a contestazioni di natura generica, 3 (Così ex multis, Cass. sez. 3, Sentenza n. 18783 del 28/08/2009 (Rv. 609210 – 01)”.

E anche la Corte d’Appello di Milano (510/2021) ha già avuto modo di mettere per iscritto importanti osservazioni circa gli elementi in diritto di questa fattispecie.

Vero è che la Corte ha respinto il ricorso del ricorrente già soccombente in primo grado (sempre per ragioni in diritto diverse rispetto all’orientamento più recente, e quindi ancora su eccezioni che riguardavano in prevalenza Tuf, Regolamento Intermediari, ecc.) ma la Corte d’Appello precisa nelle conclusioni: “sebbene gli appellanti introducano la questione di un ulteriore autonoma responsabilità della quale è titolare esclusiva la Banca che si è fatta gravemente inadempiente al proprio dovere di trasparenza, diligenza e correttezza, tale allegazione non solo non è provata ma neppure risulta prodromica alla formulazione di una specifica domanda. Invero, le conclusioni rassegnate dagli appellanti hanno ad oggetto la dichiarazione di invalidità o inefficacia del contratto e ciò anche nella arte in cui gli appellanti domandano l’accertamento dell’inadempimento della Banca in quanto esso è funzionale a far dichiarare la risoluzione di ogni atto negoziale avente ad oggetto l’acquisto di diamanti. Pertanto come correttamente evidenziato dall’appellata anche la domanda risarcitoria per come congegnata e concretamente svolta dagli appellanti è stata infondatamente diretta nei confronti di un soggetto che non è parte del contratto ci compravendita di diamanti” (sottolineatura dello scrivente). Non solo ma la Cda aggiunge: “da ultimo, gli appellanti hanno poi dichiarato di voler formulare una nuova domanda di risarcimento per fatto illecito scoperto successivamente alla scoperta della sentenza, domanda basata sull’assunto che sia AGCM che il Tar Lazio avrebbero accertato che la Banca ha esercitato una pratica commerciale scorretta. Tale domanda deve ritenersi inammissibile in quanto, come espressamente dichiarato dagli appellanti, trattasi di domanda nuova” (sottolineatura dello scrivente).

La Corte d’Appello di Milano, in buona sostanza ha chiarito che così argomentate le domande in questione non possono essere accolte quindi non pare aver effettivamente deciso sui contenuti di cui all’orientamento più recente favorevole ai risparmiatori ma esattamente come il Giudice di Bologna ha indicato la via.

Del resto occorrerebbe sottolineare che Corti d’Appello come ad esempio quella di Milano, di Bologna e di Roma usualmente stante la storia del loro prestigio e il peso che sono in grado di rappresentare di frequente in materie come il diritto bancario e dei mercati finanziari tracciano una rotta.

E infatti, poco tempo dopo la decisione della CdA di Milano è arrivata la decisione del Tribunale di Milano 5876/2021 del 5 luglio 2021 che è in linea e ha pienamente accolto l’orientamento recente e maggioritario con il pieno riconoscimento delle ragioni del risparmiatori.

Sul punto in diritto merita quindi riprodurre alcuni passaggi del Giudice di Milano che sono del resto in buona parte gli stessi di multiple decisioni di altri Giudici di primo grado“Del resto, come oramai noto, anche il Consiglio di Stato, pronunciatosi con la sentenza 2081/2021 in merito alla sanzione irrogata dalla AGCM a diverse banche tra le quali BANCA s.p.a., ha avuto modo di accertare che SOCIETA’ S.p.a. rappresentava in modo ingannevole ed omissivo: a) il prezzo di vendita dei diamanti, fissato in maniera autonoma dal professionista e tale da comprendere costi e margini di importo complessivamente superiore al valore della pietra, ma presentato come quotazione di mercato, l’.andamento dei quali veniva pubblicato, a pagamento, su giornali economici; b) l’.aspettativa di apprezzamento del valore futuro dei diamanti, attraverso grafici costruiti sull’andamento dei propri prezzi di vendita presentati come “quotazioni” e messe a confronto con indici ufficiali e quotazioni di titoli stabilite in mercati regolamentati; c) la facile liquidabilità e rivendibilità del diamante, quando invece l’.unico canale di rivendita attraverso il quale avrebbero potuto essere realizzati i guadagni prospettati è rappresentato dagli stessi professionisti; d) la qualifica di leader di mercato, impiegata senza ulteriori precisazioni al fine di conferire un maggiore affidamento alla propria offerta. Ciò posto, sebbene la Banca convenuta non fosse il soggetto offerente dei diamanti, la stessa riconosceva espressamente: 1) di aver messo a disposizione della propria clientela, all’interno delle filiali della banca, materiale divulgativo ed informativo di SOCIETA’ S.p.a. (cfr. pag. 10); 2) che la Paginte Lazio S.r.l., già cliente del BANCA, apprendeva da parte del personale dell’Istituto di credito della possibilità di acquistare i diamanti, prendendo visione del suddetto materiale informativo (cfr. pag. 12); 3) di aver inoltrato l’ordine d’acquisto dell’odierna attrice, mettendola così in contatto con SOCIETA’ S.p.a. (cfr. pag. 14); 4) di aver ospitato le suddette parti presso i propri locali, in data 9 agosto 2011, per il perfezionamento del contratto e la consegna dei diamanti (cfr. pag. 14). Risulta inoltre comprovato, sulla base della stessa documentazione prodotta dalla convenuta, che quest’.ultima percepiva per tale attività un corrispettivo rapportato “al volume degli ordini di acquisto inoltrati dalla Banca stessa e condotti a buon fine” (cfr. doc. 4 – contratto tra Banca Popolare di Lodi e). Ebbene, ritiene questo Tribunale che tali elementi siano sufficienti a fondare la responsabilità di SOCIETA e BANCA. per la violazione degli obblighi informativi e protettivi nei confronti della propria cliente, odierna attrice, nascenti da un contatto sociale qualificato”.

E non solo perchè il Giudice di Milano, dimostrando di voler far proprie le indicazioni della Corte d’Appello, aggiunge: “A tale proposito giova rammentare che, secondo l’elaborazione giurisprudenziale oggi prevalente, si ha un contatto sociale qualificato, idoneo ex art. 1173 c.c. a produrre obbligazioni, laddove sia ravvisabile una relazione, volontariamente instauratasi, tra due soggetti determinati che, in ragione della speciale qualità di uno di essi, sia idonea ad ingenerare nell’.altro un affidamento circa l’.adempimento di obblighi di protezione ed informazione, in ossequio al dovere di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. Da tale relazione, come più volte chiarito dalla Corte di Cassazione, derivano, a carico del soggetto qualificato, non già obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c., bensì obblighi di buona fede, di protezione e di informazione (ex multis, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24071 del 13/10/2017). Definitivamente concludendo: “Venendo al caso di specie, non v’è dubbio che la Banca sia un soggetto qualificato e che, pertanto, fosse tenuta a conformare la propria condotta in modo tale da non ledere l’affidamento legittimamente risposto dal proprio cliente nella serietà e trasparenza della stessa (sottolineatura dello scrivente).

E il resto della sentenza è una perentoria serie di addebiti alla Banca che viene condannata al risarcimento di circa il 70% di quanto investito, più le pietre che restano di prorietà del risparmiatore.

7) La responsabilità della Banca da contatto sociale qualificato, l’insussistenza del ruolo di mero segnalatore, ininfluenza del rapporto fiduciario con la Banca di c.d. vecchia data, violazione art. 1173, 1218, 1337, 1375, 1175, 1176 c.c.

A questo punto, pur nella necessità di sintetizzare al meglio l’argomento che andrebbe certamente sviluppato in maniera più esaustiva, si dispone di sufficienti elementi per andare a evidenziare quale sia l’orientamento più recente e più favorevole ai risparmiatori che pare anche essere il solo, al momento, in grado di persuadere i Giudici a risultati premianti per i ricorrenti (posto che l’atto introduttivo è quasi sempre il ricorso ex. 702 bis cpc).

Lo introdurremo partendo però dall’illustrare prima che la figura del mero segnalatore per una Banca non esiste.

Infatti, sempre leggendo il compendio di giudizi di primo grado favorevoli agli istituti di crediti ci si accorge che in non pochi casi la Banca avrebbe giustificato la propria condotta, il proprio agire sulla base di un ruolo, cioè quello del mero segnalatore.

Ebbene, semplicemente non c’è per un istituto di credito.

Lo scrivente reputa opportuno definire questa particolarità anche se sul punto sono già stati ben chiari sia il Consiglio di Stato che giudici dell’Appello di Venezia confermando la insussistenza di questo ruolo.

Ad ogni buon conto lasciamo che a parlare sia la scienza del diritto bancario che è dirimente per la questione del “mero segnalatore”.

Quella del segnalatore è una figura introdotta nel settore assicurativo a seguito del recepimento della direttiva sull’intermediazione assicurativa UE/2016/97 ed è stato modificato l’art. 107, comma 3°, del D.lgs del 9 settembre 2005 n. 209 (codice delle assicurazioni private).

Devesi sottolineare pertanto che fu voluta 17 anni fa e per la figura del promotore finanziario, in uso all’epoca. E’ stato un adeguamento relativo soprattutto alle offerte fuori sede che il promotore era chiamato a svolgere tra le sue mansioni. In un periodo in cui, alcuni certamente lo ricorderanno, si operava molto nel settore della c.d. banca-assicurazione.

Questo non è affatto inusuale in diritto bancario e ripercorrendo la storia ci accorgeremo che spesso la legiferazione ha assecondato o seguito certune impostazioni che nella prassi si erano già andate affermando. Per consentirle da un lato e nel contempo disciplinarle. Ed ecco il motivo del perchè infatti l’introduzione riguarda il codice delle assicurazioni. In sintesi: si è cercato di attribuire al promotore finanziario la possibilità di segnalare prodotti finanziari di società, a volte terze, nei confronti delle quali il promotore agiva come mero segnalatore.

Ma nulla che abbia a che vedere con i diamanti!

Nel frattempo dal 2005 ad oggi il sistema di banca-assicurazione non è praticamente più in essere, le sinergie oggi non vengono più perpetrate e la figura del promotore è stata sostituita da ben altre. Sia chiaro: i Regolamenti Consob, ESMA, persino alcune Circolari della Banca d’Italia non rendono possibile per una Banca (e nemmeno più per i singoli consulenti finanziari) operare come meri segnalatori.

Non a caso solo nel 2020 la figura del mero segnalatore è stata affrontata in Cassazione civile sez. III, 17/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 17/01/2020), n. 857 dove fra l’altro leggiamo avuto riguardo a: “M. – sebbene non avesse la qualifica di agente, nè di dipendente della società di assicurazioni – operasse tuttavia pur sempre nell’interesse di questa quale “segnalatore di clienti” sulla base di una “lettera di autorizzazione” che “Il che è quanto basta, alla luce della richiamata giurisprudenza, a configurare la responsabilità oggettiva e indiretta della società ex art. 2049 c.c., la quale, giova ribadire, trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi, secondo l’antica regola cuius commoda eius et incommoda; per altro verso, e in termini più specifici, nell’esigenza di offrire una adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte per il tramite del promotore, giacchè appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti può più facilmente esserne sorpresa e aggirata”. Sul punto in diritto ad abundantiam vedasi Cass. Sez. U. n. 13246 del 2019, in motivazione p. 24; ma v. già, ex multis, Cass. n. 1741 del 2011Cass. 07/04/2006, n. 8229”.

E, tanto per chiarire tale figura non è consentita nemmeno dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea.

Il criterio interpretativo storico in diritto bancario è sempre rimasto quello cui molteplice giurisprudenza, si è più volte ispirata e cioè basato sulla certezza e sul realismo finalizzati a garantire quella più elevata funzione delle Banche intesa come stabilità ed efficienza del sistema economico.

Una funzione che risulterebbe certamente minata e molto più difficile se potessero essere tollerate figure che non hanno ragion d’esistere in questo ambito e anzi che finirebbero per alimentare una zona grigia e indefinita della responsabilità.

Nel contesto dei diamanti è pertanto del tutto improbabile giustificare il fatto che un risparmiatore non abbia mai saputo che il prezzo di questi preziosi fosse molto al di sopra della media di mercato (addirittura fino a oltre 3 volte in non pochi casi con un aumento anche di oltre il 300%) in ragione di un presunto ruolo di mero segnalatore.

Del resto un’informazione del genere è impossibile che non abbia un peso in una qualsiasi operazione di compravendita e significa minare la stabilità e l’efficienza del sistema ipotizzare che la Banca potesse ometterla dietro lo schermo del mero segnalatore.

Vale la pena di sottolineare che questo vale in qualunque momento della storia del rapporto risparmiatore – Banca. Purtroppo in alcune decisioni di primo grado (un numero veramente esiguo a ben guardare) sembra essersi voluto dare un inopportuno risalto alla storia del rapporto fiduciario.

In pratica se il Cliente è nuovo presso la Banca allora non essendoci quella storica fiducia consolidata nel tempo lo stesso non potrebbe lamentarsi di aver ricevuto la proposta dei diamanti in vendita e di averci suo malgrado creduto, se invece all’opposto il Cliente è portatore di un rapporto di lunga durata allora sussisterebbe una responsabilità della Banca in virtù di questa capacità persuasiva basata proprio sulla fiducia.

Tutto questo è assolutamente irrilevante in diritto bancario. Dare torto al risparmiatore sulla base di un siffatto assunto non è solo poco condivisibile ma anche molto pericoloso proprio perchè finisce per minare la certezza dei rapporti, la perequazione e il concetto fortemente voluto (o meglio costruito) in ambito europeo e armonizzato in tutti i Paesi membri, della professionalità di ogni operatore bancario. Un siffatto ragionamento, che sembra una costruzione giurisprudenziale utile solo per attribuire ragione alla Banca, nega proprio quel sistema di regole teso a garantire la stabilità e l’efficienza del mercato.

Inoltre, chiunque potrebbe agevolmente supporre che se esistesse un alea di tolleranza tale per cui al nuovo Cliente della Banca possano essere proposti o venduti prodotti o beni come i diamanti, siccome è appena arrivato, questo sarebbe ingiusto e ingiustificato, prima ancora che in diritto, per una questione di buon senso.

A tal proposito devesi sottolineare che ogni Cliente di una Banca acquisisce i suoi diritti per il semplice fatto di esserlo e in ragione della contrattualistica che secondo le regole del TUB, all’occorrenza del TUF, e dei Regolamenti, regolano ogni tipo di rapporto che sia di nuova o vecchia data. La Legge è uguale per tutti. Anche per i nuovi arrivati. Inoltre il meccanismo di vendita di questi preziosi, da quanto si è dato di evincere era standard e veniva proposto in ogni caso alla Clientela, a prescindere dall’anzianità dei rapporti.

Tutto ciò chiarito possiamo richiamarci all’elaborazione giurisprudenziale dell’art. 1173 c.c. come la giurisprudenza maggioritaria e favorevole ai risparmiatori ha già ribadito perchè: “idoneo a produrre obbligazioni, laddove sia ravvisabile una relazione, volontariamente instauratasi, tra due soggetti determinati che, in ragione della speciale qualità di uno di essi, sia idonea ad ingenerare nell’altro un affidamento circa l’adempimento di obblighi di protezione ed informazione, in ossequio al dovere di solidarietà sociale di cui all’a.rt 2 della Cost. Da tale relazione, come più volte chiarito dalla Corte di Cassazione, derivano, a carico del soggetto qualificato, non già obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c. bensì obblighi di buona fede, di protezione e di informazione” (ex. multis. Cass. 24071/2017).

E, come più volte ribadito negli atti di primo grado la Banca può liberarsi da responsabilità unicamente dimostrando: “di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 c.c. dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in forma lieve” (Fra le numerose, Cass. Sez. Unite 12477/2018)

Nel caso di specie: “non v’è dubbio che la Banca sia un soggetto qualificato e che, pertanto, fosse tenuta a conformare la propria condotta in modo tale da non ledere l’affidamento legittimamente risposto dal proprio cliente nella serietà e trasparenza della stessa”. (Corte d’Appello di Venezia 2720/2021)

A tal proposito è interessante riprodurre, tra le numerose decisioni di primo grado, quella del Tribunale di Genova, perchè il Giudice svolge un apprezzabilissima e ben condivisibile digressione che dimostra l’assoluta non necessità che la Banca sia parte del contratto nella sua tipicità avuto riguardo al combinato delle norme che interessano in questa sede (civile) e di quelle, codice del consumo, affinchè sia condannata e ciò a prescindere pure dal concetto di contatto sociale; infatti leggiamo: “Vi sono però un settori in cui un certo “contatto sociale” è espressamente considerato dalla legge come fonte di obblighi con una tecnica che supera chiaramente la figura del mero dovere ed individua chiaramente anche il titolare della pretesa corrispettiva all’obbligo. Tale è ad esempio il settore della responsabilità precontrattuale, ove l’obbligo di correttezza nelle trattative è espressamente sancito, anche come diritto della controparte, dall’art. 1337 del cc e dalla specificazione dello stesso recata dall’art. 1338. In questi settori il contatto sociale è evocato non come una sorgente atipica di obbligazioni, ma, semplicemente come una fattispecie legale”. E correttamente il Giudice di Genova prosegue: “Trasponendo il concetto sul terreno di causa ben si può dire che anche l’art. 5 del Decreto legislativo del 6 settembre 2005 n. 206 (codice del consumo), che reca in effetti la rubrica “obblighi generali” al suo terzo comma, nella misura in cui impone a chiunque informi il consumatore di attenersi ai canoni di chiarezza, adeguatezza e, quindi di veridicità, individua una fattispecie legale in cui vi è un beneficiario della disposizione (il consumatore) e vi sono degli obbligati che, a dispetto dell’espressione velleitaria “chiunque”, non possono che essere gli intervenienti qualificati all’atto contrattuale del consumatore, ovvero, la controparte, mediatori ed intermediari vari, i pubblici ufficiali roganti, le agenzie informative”.

Il Giudice di Genova prima ha cura di osservare: “Come tale la banca doveva fornire informazioni in forma corretta ed era espressamente obbligata a ciò dovendo perseguire l’adempimento di tale obbligo con la dovuta diligenza”. E poi aggiunge: “Si tratta di responsabilità contrattuale posto che la difettosa informazione viola un obbligo gravante ex lege sulla banca, e non certo perchè la banca sia, a qualsiasi titolo parte del contratto. Si tratta di una responsabilità fondata sulla violazione della legge e non derivante da un obbligo da contatto sociale di creazione giurisprudenziale”.

E volendo tornare, più nello specifico sempre al diritto bancario, il concetto di contatto sociale come esposto e come adottato già in plurime decisioni (e da tutti gli altri del medesimo orientamento) non è nuovo, anzi, ha trovato applicazione proprio con riguardo ai canoni del diritto di informazione e protezione in termini di responsabilità precontrattuale a proposito del quale: “la Banca ha difatti un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto) operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione” (Così Cass. Sez. un. 14712/07, Cass. 7618/10, 10534/15). Più di recente proprio nell’ambito contrattuale il concetto di protezione è uscito rafforzato in Cass. con la 26525/2020: “E’ pacifico che gli obblighi di correttezza e buona fede che permeano la vita del contratto (ai sensi degli artt. 1175, 1337 e 1375 c.c.) impongono a ciascuna parte di “agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicchè dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile” (in linea con: Cass. Sez. Un. 28056/2008, 23273/2006, 21250/2008, 1618/2009, 22819/2010). Concetto che in diritto bancario continua ad essere applicato e si consolida ogni anno proprio con riferimento alle banche, vedasi di recente Corte di Appello di Milano 1929/2020 e Corte di Appello di Napoli 2591/2020

Ma non solo perchè la responsabilità da contatto qualificato della Banca è ormai utilizzata in molteplici ambiti, da ultimo anche nella concessione di credito a chi versi in uno stato di insolvenza e pure su questo è chiarissima la Cassazione con la recente decisione 18610/2021.

Questa decisione ci è utile anche perchè torna a ribadire la genesi e l’origine della responsabilità della Banca da contatto sociale partendo dall’art. 1173 c.c. e infatti secondo detta pronuncia, i principi sistematici alla base dell’art. 1173 c.c. hanno l’ambizione di disegnare l’intero perimetro del diritto delle obbligazioni nel determinare le fonti delle obbligazioni. A questo riguardo, accanto alle fonti tipiche costituite dal contratto e dal fatto illecito, è prevista la possibilità di fonti atipiche delle obbligazioni che derivino da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità con l’ordinamento giuridico.

Pertanto come eminente dottrina ha già avuto modo di commentare sul punto in diritto di quanto stabilito dalla Cassazione la responsabilità della banca si declina quindi attraverso il generale riferimento alle regole che sovraintendono l’obbligo della diligenza ed in particolare l’obbligo di diligenza professionale di cui al secondo comma dell’art. 1176 c.c.. Questa, secondo la più adeguata e moderna interpretazione consiste nella osservanza delle regole tecniche dettate o comunque riconosciute nell’esercizio della specifica attività professionale.

Tale principio viene ormai applicato regolarmente in casi che coinvolgono Banche / Intermediari, basti pensare alla recentissima Cass. 3562/2021 che ha ricondotto il profilo di responsabilità di Poste Italiane S.p.a. nell’alveo della responsabilità contrattuale da cd. contatto sociale (!!).

E ancora di recente, facendo propri gli evidenziati principi secondo la Cass. 24952/2020 la cosiddetta responsabilità da contatto sociale, viene individuata quando: “il danno sia derivato dalla violazione di una precisa regola di condotta, imposta dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell’attività svolta dal danneggiante, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità si individui nel riferimento dell’art. 1173 c.c. agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico” (Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 11642 del 11/07/2012).

Devesi quindi sottolineare come non possa che sussistere una violazione della buona fede precontrattuale e vale la pena, ad abundantiam di sottolineare che la stessa ben opera: “anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto. Tale fattispecie può venire in rilievo laddove, all’esito di un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, alla parte sia imputabile l’omissione, nel corso delle trattative di informazioni rilevanti le quali avrebbero, con un giudizio probabilistico, indotto la controparte ad una diversa conformazione del contratto stesso” (Cass. 5762/2016).

Principio ribadito ex multis in numerosissime decisioni della Suprema Corte fra le tante Cass. 34108/2019 e 3562/2021 oltre che per i principi già evidenziati e perchè recenti ma in virtù del fatto che si apprezza e si ribadisce che l’unico modo per liberarsi è dimostrare, fra l’altro proprio a carico di una Banca, di avere agito con l’ordinaria diligenza la qual cosa nel caso specifico dei diamanti è impossibile laddove, come già visto in precedenza, la Banca ha già ammesso le proprie responsabilità nel procedimento avanti al Tar Lazio (poi confermato anche avanti al Consiglio di Stato).

E quindi, in ordine al regime probatorio, non può che ribadirsi lo storico principio che pare trovare casa anche in questo frangente tale per cui: “il danneggiato deve dimostrare, oltre al danno sofferto, solo la condotta antigiuridica e non anche la colpa, sicché deve ritenersi che l’attore, il quale intenda far valere tale responsabilità, abbia l’onere di provare solo l’antigiuridicità del comportamento (la violazione della buona fede) e il danno ma non anche l’elemento soggettivo dell’autore dell’illecito” (Cass. 14188/2016; Cass. 27648/2011; Cass. Sez. un. 14712/2007; Cass. 589/1999).

8) Conclusioni e consigli operativi.

Come accennato in apertura del presente articolo si è cercato di fare sintesi affrontando alcune dei principali argomenti che in questi ultimi anni stanno popolando il dibattito attorno ai c.d. diamanti da investimento.

Chiaramente quindi, questa voluta e ricercata sintesi non ha l’aspettativa di essere esaustiva sotto ogni profilo e il suggerimento che viene dato a chiunque abbia dei dubbi su questo argomento è quello di rivolgersi al proprio Avvocato di fiducia o ad uno che abbia una competenza maturata in diritto bancario e degli investimenti per ottenere tutte le delucidazioni necessarie.

Per tutti coloro che scelgono l’opzione del contenzioso avanti al Giudice competente occorre certamente stabilire se la stessa è una decisione per andare a sentenza / ordinanza o viceversa per alimentare di più e meglio le trattative beneficiando della presenza del Giudice e quindi dello Stato di diritto. Opzione questa che il sottoscritto si sente di suggerire in quanto si ricorda che l’accordo è definitivo mentre le decisioni di primo grado sono appellabili.

Anche in ragione del fatto che la vicenda dei diamanti ha portato una drammatica realtà nelle Famiglie di moltissimi consumatori – risparmiatori quindi lo scopo principale dovrebbe essere quello di riuscire a recuperare il massimo possibile da quello che usualmente viene ancora oggi chiamato (perchè in effetti lo era per la stragrande maggioranza degli interessati), un investimento.

Si consiglia pertanto di procedere in modo meticoloso e con attenta pianificazione.

Ecco alcuni suggerimenti, sempre in estrema sintesi, offerti per mera consultazione e in ragione dell’esperienza maturata dallo scrivente in numerosi contenziosi sul punto in diritto:

1) La ricostruzione in “fatto” dev’essere molto ben sviluppata; occorre evitare qualunque forma di genericità perchè non è possibile fare affidamento solo sull’allegazione della decisione AGCM, occorre sviluppare i singoli passaggi e spiegare il motivo del perchè la condotta censurata dall’Autorità si è ricamata e ritagliata sul caso in concreto. Essendo un meccanismo standard certamente alcuni passaggi narrativi saranno gli stessi in comune con tantissimi risparmiatori ma occorre anche scendere nello specifico (ivi comprese con le allegazioni).

2) La richiesta della CTU è utile nell’ottica di arrivare ad una mediazione demandata al CTU, dopo le operazioni peritali, in quanto il quesito che verrà richiesto è quello di raffrontare il valore di mercato (ben inteso non quello commerciale che è un altra cosa) all’epoca dell’acquisto dei preziosi e anche quello attuale. Tale valore è il Rapaport che ovviamente chiunque può consultare. Se viceversa non sussistono i presupposti per transare la CTU è anche rinunciabile perchè del resto il valore di queste vendite è ormai acclarato e verificabile proprio dall’Indice Rapaport. Lo scrivente consiglia però di domandarla e poi semmai verificherà il Giudice i presupposti.

3) Il tentativo di transazione post CTU (ma anche senza) viene fatto dal Giudice con espressa richiesta ex. 185 bis cpc e può chiudere la controversia. Il che può essere una valida strategia per il risparmiatore.

4) Come sempre in diritto bancario e più in generale degli investimenti l’atto dev’essere concepito “guardando” avanti esattamente come accade negli scacchi. Più mosse possibili. In quanto si tratta di anticipare le difese della Banca o di traghettarle verso una determinata impostazione riducendo il campo di probabilità andando quindi a favore del ricorrente / attore.

In conclusione l’auspicio è che da tutta questa vicenda si tragga il beneficio, per i consumatori e i risparmiatori, di evitare categoricamente il ripetersi di siffatte situazioni. Gli investimenti sono un aspetto molto serio del risparmio e necessitano di essere predisposti e sviluppati in maniera professionale e responsabile.

Sappiamo che negli investimenti esiste, senza ombra di dubbio, una selva che non ha nulla da invidiare a quella del Sommo Poeta che propone soluzioni plurime e fa procacciamento di clientela al solo scopo di vendere ma proprio per questa ragione occorre essere prudenti. E anche avere paura. Perchè la paura è saggezza verso il pericolo.

In ogni caso è buona prassi chiedere consiglio, mai fidarsi solo dei guadagni attesi, specie quando sono facili, scontati, oltremodo semplici.

Con l’attenzione di tutti si può fare la differenza e colmare a volte il gap di cultura finanziaria di cui non pochi risparmiatori sembrano soffrire.

A volte è inoltre meglio e più opportuno avvalersi di una consulenza (magari proprio dall’Avv. di fiducia) che avrà certamente un costo ma se svolta in maniera professionale e diligente può essere una vera e propria salvezza per risparmiarsi impegnative disavventure.

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