Consulenti, il training su misura nell’era digitale

A cura di Joe Capobianco. manager di Banca Euromobiliare e docente Business School Bologna,

Con l’approssimarsi del terzo millennio il filosofo Zygmunt Bauman postulava la società in movimento: una zona di transito ancora incompiuta dove le modalità consolidate di azione (nonché l’essere stesso) non sono più sufficienti e le nuove modalità non sono ancora né individuate compiutamente né accessibili a tutti.

In sostanza Bauman aveva previsto che ci saremmo trovati nella “modernizzazione liquida”, così definita affinché risulti chiaro come “l’unica sua costante sia il cambiamento e l’unica certezza sia l’incertezza”.

Profetico, non c’è che dire. Se aggiungiamo la pandemia, le conseguenze socio-economiche, la digitalizzazione e il passaggio generazionale più imponente di sempre, il quadro è ancora più … liquido.

In questo contesto di incertezza, il coraggio (e la possibilità) di investire nella crescita personale è una risorsa chiave. Ma navigare in questi mari non è semplice, tantomeno per chi in azienda si occupa di sviluppare il capitale umano, definire le esigenze formative e orientare gli interventi verso i punti di approdo comunque definiti, intermedi o finali che siano.

In generale nel settore bancario e finanziario, la spinta alla riduzione dei costi rischia di condurre alla polarizzazione verso un modello top down. L’eliminazione degli assessment, la semplificazione nella progettazione dei corsi, la suddivisione dei trainee su classi omogenee in funzione di parametri generici (la residenza, il ruolo o l’appartenenza allo stessa struttura manageriale) rappresentano il goffo tentativo di innestare, a prezzi scontati, nuove competenze prescindendo dal livello di quelle già possedute.

Il modello formativo nell’era digitale

Al tempo della modernizzazione, la vera innovazione è la personalizzazione. Questa implica un rigoroso processo bottom up che richiede un impegno di mappatura delle singole risorse per redigere piani personalizzati di formazione. Il percorso è più lungo ma l’intervento didattico è chirurgico e, soprattutto, consente di sviluppare sia le competenze tecnico-specialistiche sia le soft skill. Come è facile immaginare, i costi iniziali possono essere superiori (sempre meno grazie al digitale) ma il ROI dell’iniziativa formativa e la soddisfazione dei partecipanti ripagano ampiamente lo sforzo.

Nel private banking non si dovrebbe prescindere dalla personalizzazione dell’intervento formativo che consente al consulente finanziario di partecipare consapevolmente e attivamente alla trasformazione in atto del proprio ruolo che si evolve per includere nuove competenze finanziarie come le componenti passive e di finanziamento del cliente, la consulenza patrimoniale (family governance, corporate finance, asset protection, real estate, fiscalità, …), la gestione di nuove dinamiche relazionali legate alla crescente emotività dei clienti e alla disruption generazionale, le componenti tecnologiche.

Un focus a parte merita proprio l’incremento delle abilità digitali. Queste ultime sono fondamentali per consentire al consulente finanziario di ottenere tre tipologie di vantaggi:

  • operativi:
  • riduzione lavoro routinario e di back-office,
  • aggiornamento professionale,
  • maggiore qualità del lavoro,
  • economici:
  • più tempo da dedicare all’attività di relazione e sviluppo,
  • mitigazione degli effetti della disruption generazionale,
  • mantenimento del portafoglio nei passaggi generazionali,
  • e di sostenibilità:
  • trasparenza e rispondenza alla compliance,
  • no carta (inclusa quella chimica)
  • no spostamenti.

In ogni caso, oltre alla formazione sui contenuti digitali è altrettanto importante la digitalizzazione dei contenuti formativi. Senza la possibilità di utilizzare strumenti digitali non sarebbe efficiente il ricorso ai processi bottom up di formazione, sia in termini economici sia rispetto alle tempistiche di progetto.

Una delle esperienze recenti più interessanti in questa direzione l’ha sviluppata Banca Euromobiliare, dunque all’interno del mondo private del Gruppo Credem: più di 450 professionisti del private banking (CF agenti e dipendenti) sono coinvolti in una iniziativa di training personalizzato finalizzata a intervenire in modo distintivo sulle loro professionalità, qualità dell’operato e preparazione tecnica cogliendo le opportunità del digitale. Il progetto di formazione si sostanzia in un master aziendale di private banking su misura per ogni singolo partecipante.

I 3 fattori che danno valore all’esperienza formativa

Il reale valore di una iniziativa di questo tipo non si esaurisce nella pur importante caratteristica della personalizzazione. Sono fondamentali altri 2 fattori che trovano piena espressione nel caso di Banca Euromobiliare:

  • un disegno strategico più ampio, finalizzato a rendere sempre più distintivo ed eccellente il modello di private banking. L’esperienza formativa quindi è un ingranaggio, per quanto fondamentale, di una nuova rappresentazione più ampia. Si integra infatti con la proposta di una gamma prodotti dedicata, di una struttura di marketing e comunicazione a supporto diretto della rete, di una cultura aziendale che risponde sia al cliente finale sia al cliente interno (consulenti finanziari agenti e dipendenti);
  • il forte commitment aziendale: il progetto è stato lanciato dal vice direttore generale del Gruppo Credem, Stefano Pilastri, presentato dal direttore generale di Banca Euromobiliare e responsabile della Business Unit Private Banking, Matteo Benetti, illustrato dal responsabile formazione del Polo Private Banking, Fabio Tozzi.

I passaggi operativi del processo formativo

Per formare e allenare singolarmente i talenti private si rendono necessari 4 step, dei quali i primi due sono stati conclusi, il terzo è in corso di completamento e presto si potrà assistere alla messa a terra con il rilascio della quarta e ultima fase:

1 Identificazione delle conoscenze e delle capacità fondamentali per essere un professionista del private banking: è stato tracciato il profilo ideale sulla base dei clienti, del modello e delle caratteristiche della Banca e del Gruppo Credem. Sono 4 le aree di competenze identificate:

  • Finanziarie
  • Patrimoniali
  • Digitali
  • Soft skill, con particolare riguardo al bagaglio di qualità personali, di atteggiamento e di abilità relazionali indispensabili per la relazione con la clientela.

2 Mappatura delle competenze e dei bisogni del consulente private banker: l’assessment è il pilastro fondamentale per la progettazione di percorsi formativi personalizzati ed efficaci. Condiviso con il superesperto Fabrizio Fornezza e condotto con il partner specializzato Eumetra, l’assessment si è realizzato online attraverso la somministrazione libera di 473 questionari nominativi ai quali ha risposto la quasi totalità dei soggetti coinvolti. Il questionario è stato suddiviso per ciascuna area di competenze (finanziarie, patrimoniali, tecnologiche, soft skills) in 3 parti:

  • test verifica competenze (eterovalutazione) con 12 domande a risposta chiusa
  • questionario di autovalutazione con 4 domande di autopercezione
  • domanda aperta sui bisogni formativi percepiti dal CF/private banker.

3 Individuazione del training su misura per ciascun private banker (sulla base degli esiti dell’assessment)

4 Definizione del piano operativo complessivo di formazione (con priorità di interventi per ciascuna delle persone coinvolte nel processo formativo).

Conclusioni

Nei processi formativi caratterizzati da un forte digitalizzazione:

  • uno dei pilastri è l’individuazione delle potenzialità di ogni singolo consulente finanziario per accrescerne e valorizzarne i punti di forza;
  • è importante per i trainee la consapevolezza che non si tratta di valutazione sulla persona bensì sulle competenze. Non è un esame, non ci sono dunque punteggi minimi o massimi da conseguire, bensì solo il potenziamento delle proprie competenze e la capacità di esprimere al massimo il proprio talento;
  • per quanto virtuosa possa essere l’iniziativa, questa ha valore, nel senso sia dell’efficacia che della misurabilità, solo se parte essenziale di un disegno strategico più generale, sostenuta dai vertici aziendali, ed erogata in un contesto di fiducia da parte dei destinatari verso la società e il proprio management.

 

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