Consulenti, tra borse, Covid e Ucraina proviamo a fare ordine

L’anno borsistico internazionale 2022 che già si era avviato all’insegna dell’offerta a causa delle negative ricadute congiunturali dei blocchi produttivi conseguenti alla pandemia, da fine febbraio ha visto un’accelerazione della fase ribassista in seguito all’imprevedibile scoppio delle ostilità ai confini orientali dell’Europa. I principali indici di borsa statunitensi, Dow Jones Ind. e S&P 500, registrano una perdita, rispettivamente di 12% e 16% da inizio anno, mentre in Europa l’indice Eurostoxx 50 sacrifica il 14,5% e lo SMI svizzero il 10 % ed in Asia il Nikkei nipponico perde l’8% e l’Hang Seng di Singapore il 15%. Gli appesantimenti delle piazze occidentali hanno trovato nel conflitto ucraino un ulteriore fattore di incertezza e preoccupazione soprattutto per i gravi riflessi che le conseguenze del conflitto in corso stanno creando in relazione alla dinamica inflazionistica attuale e prospettica. In pratica si è messa benzina sul fuoco, nel senso che già dalla fine dello scorso anno i mercati azionari avevano iniziato a scontare tramite parziali ribassi, il non più prorogabile irrigidimento creditizio che le banche centrali mondiali avrebbero dovuto attuare, in relazione alla doverosa normalizzazione della politica monetaria, eccezionalmente accomodante, attuata dalla primavera 2020 per fronteggiare il raffreddamento congiunturale provocato dai blocchi produttivi legati al fenomeno pandemico. I marcati rincari delle materie prime energetiche e delle derrate alimentari hanno fatto impennare il saggio d’inflazione tendenziale, prendendo alla sprovvista le autorità monetarie internazionali.

In pratica si è creato un divario faticosamente colmabile, tra gli attuali livelli del costo del denaro ed i saggi mensili di rincaro, che costringe le banche centrali ad accelerare ed a sovradimensionare l’aumento del costo del denaro, con negative conseguenze sulle stime congiunturali. Gli appesantimenti borsistici di questi mesi vanno quindi mesi in relazione all’aumento del costo del denaro prospettico, quindi prendendo ad esempio gli indici statunitensi, l’attuale ribasso sembra scontare almeno altri tre incrementi di mezzo punto percentuale del tasso guida, quello relativo ai fondi della Riserva Federale.  Quindi lo stesso entro la fine dell’anno potrebbe superare il 2%, rispetto al livello di 0,25 % che presentava ad inizio anno. Per ora gli investitori nel reddito fisso USA, ritengono che comunque una recessione sia ancora evitabile, visto che la curva dei rendimenti consolidati a lungo termine, continua a presentare un saldo positivo rispetto al breve termine. Una logica conseguenza di questa dinamica dei tassi statunitensi unita alla preferenza per investimenti sicuri visti i venti di guerra, è rappresentata dal forte apprezzamento del dollaro sul mercato dei cambi, ben visto dal Tesoro USA in quanto protegge dall’inflazione importata.  Ma il recente fenomeno del dollaro sugli scudi risente molto di quanto sta accadendo in Asia dove il Tesoro giapponese ha deciso di reiterare la propria politica di rendimenti quasi nulli per il proprio debito sovrano decennale, provocando un forte ribasso dello yen verso il biglietto verde, che ha trascinato al ribasso anche lo yuan cinese, visti le forti relazioni commerciali tra i due paesi. Per il governo del gigante asiatico si tratta di una sorta di tempesta perfetta, in quanto il raffreddamento congiunturale causato dal tentativo di eradicare il Virus Covid, viene ora esacerbato dalla politica monetaria restrittiva che la banca centrale, PBOC, ha dovuto attuare controvoglia per evitare un ulteriore indebolimento della propria moneta. Ancora più significativo il fatto che la decisione giapponese ha fatto saltare gli accordi valutari di Shanghai che dal 2016 avevano garantito una sostanziale stabilità nel rapporti di cambio delle monete asiatiche, tutte legate al dollaro USA. L’impatto sulla strategia economica di lungo termine del governo di Pechino che dal 2020 punta su di una stabilizzazione del cambio anche a dispetto di una crescita economica a due cifre, appare preoccupante sconsigliando l’investimento sulla borsa cinese, e forse in tutta l’Asia, nonostante i forti ribassi registrati negli ultimi 18 mesi e le valutazioni apparentemente convenienti se paragonate ai listini occidentali. Il dollaro forte e l’indebolimento dell’economia cinese, non mancheranno poi di influenzare negativamente la dinamica dei prezzi delle materie prime e più in generale, a deprimere la crescita del PIL mondiale di quest’anno.

A cura di Giacomo La Mosca

Jf JACKFLY THINK TANK,  analisi e ricerche sui mercati finanziari, a difesa della ricchezza nazionale, pubblicate con uno pseudonimo all’interno del progetto sperimentale di educazione finanziaria denominato JACKFLY. Per iscriversi, avere  maggiori informazioni o per cofinanziare il progetto si può scrivere a [email protected] o mandare un sms al +393450224213. No Perditempo. 

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