Reti e risparmio gestito, tra cacciatori e prede

Era il dicembre 2016 quando Unicredit incassò circa 4 miliardi di euro dalla cessione di Pioneer ala francese Amundi. Con i 22 miliardi di asset in gestione italiana, il nuovo gruppo transalpino arrivò a quasi 1300 miliardi di masse amministrate e balzò ai primi posti nel classifica dei gestori mondiali.

Come ricorda L’Economia de Il Corriere della Sera, la transizione comportò il pagamento di 3,5 miliardi e Unicredit incassò anche un dividendo di 315 milioni. Adesso Amundi è il primo asset manager europeo in termini di masse e tra i primi dieci a livello mondiale con asset pari a oltre 2.020 miliardi.

Tornando ai giorni nostri, recentemente il colosso transalpino ha incrementato la sua partecipazione nell’azionariato di Anima, fino a raggiungere il 5,16%, diventando il terzo azionista dietro a Banco Bpm (20,6%) e Poste Italiane (10,3%), seguito a ruota da Caltagirone (3,2%). Ci troviamo di fronte all’ennesima avanzata francese nel mondo del risparmi italiano? Staremo a vedere.

In tutto ciò, Anima ha sempre puntato su realtà medio-piccole, vale a dire puntare su banche che da un lato sono fuori dai radar dei grandi colossi del risparmio gestito e dall’altra possono garantire l’offerta non solo di prodotti legati al risparmio ma anche un set di servizi.

In queste settimane, il cda di Mps ha iniziato a lavorare sul nuovo aumento di capitale, e l’operazione da almeno 2,5 miliardi sarebbe già finita nel radar di alcuni partner storici di Siena, a partire da Anima, alleato della banca  senese sul fronte del risparmio, che potrebbe comunque diventare una preda privilegiata per Amundi. Ma le opzioni sul futuro di Anima sono molte, e vedono coinvolte anche società italiane come le Poste.

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