Mediobanca-Generali, l’incertezza per il dopo Del Vecchio

La scomparsa di Leonardo Del Vecchio sconvolge il mondo della finanza italiana. Il patron di Luxottica aveva 87 anni ma era operativo come ne avesse molti di meno, al punto da essere impegnato in prima persona nella scalata del santuario della finanza nazionale, Mediobanca, di cui la sua holding, la lussemburghese Delfin, detiene il 19,9% del capitale, oltre al 9,9% di Generali, il colosso finanziario italiano di cui la stessa Mediobanca è primo azionista con il 12,8 per cento.

Come scrivono tutte le maggiori testate nazionali, in Mediobanca Del Vecchio era pronto a crescere ancora: era allo studio un’operazione per chiedere a Bce l’autorizzazione a salire fino al 25%, soglia ultima prima del lancio di un’offerta pubblica (Opa). Ma l’operazione richiedeva un diverso assetto della holding, non essendo Delfin un soggetto idoneo alla vigilanza Bce. Si stava ragionando sul coinvolgimento di una banca. Su questo punto si fermano le ultime indiscrezioni, precedenti la breve e fulminante polmonite che ha colpito Del Vecchio meno di due mesi fa. Di sicuro un ruolo lo aveva avuto l’esito dell’assemblea di Generali del 29 aprile scorso, quando Delfin aveva votato per la lista di Francesco Gaetano Caltagirone – presentata contro quella del cda uscente appoggiata da Mediobanca – ma uscita sconfitta. Per questo, dal fronte che vuole un nuovo assetto per Mediobanca e Generali ci si aspettava una contromossa in tempi brevi. E si guardava proprio a Del Vecchio. Così ora ci si chiede che succederà.

L’età di Del Vecchio era un elemento che rendeva inusuale la scalata a Mediobanca. Ma la sua scomparsa è stata così improvvisa che servirà del tempo per capire se l’offensiva andrà avanti o se ci saranno cambiamenti. Anche perché, al di là della governance della successione, una personalità di pari forza e carisma non esiste. Non a caso ieri mattina, poco dopo la diffusione della notizia, mani forti hanno venduto sia Mediobanca, sia Generali: i due titoli hanno chiuso lasciando sul terreno rispettivamente il 2,1 e il 3%. Sia le fonti vicine alla famiglia sia quelle coinvolte a vario titolo nella battaglia finanziaria non erano ieri disponibili a commentare. Salvo lasciar filtrare che «ci sarà tempo per parlarne». Mentre Caltagirone ha detto che «se n’è andato un grande italiano. Ne sentirò la mancanza come amico, come imprenditore e come uomo di principi».

Ora le questioni sono due. La prima è la governance di Delfin in caso di successione. La holding controlla il 32,2% di EssilorLuxottica, le quote in Generali e Mediobanca, il 27,2% di Covivio e l’1,9% di Unicredit. Lo statuto prevede che Del Vecchio venga «automaticamente sostituito dalla persona eventualmente da lui designata in una dichiarazione scritta indirizzata al consiglio di amministrazione della società». Tuttavia «in assenza di tale designazione» il nuovo statuto prevede che sia sostituito «dal più alto in grado» dei tre osservatori previsti dallo statuto (una sorta di garanti), oppure, «in assenza di tale osservatore, dalla persona che sarà designata con delibera dell’assemblea generale degli azionisti con la maggioranza» dell’88%. La persona designata secondo quanto circola da tempo negli ambienti milanesi, sarebbe Francesco Milleri, attuale ceo di Essilux, il manager che più ha goduto della stima e fiducia di Del Vecchio negli ultimi 20 anni. Sergio Erede, il noto avvocato d’affari che segue le vicende dell’imprenditore e del suo gruppo, starebbe lavorando alle procedure per la successione e Milleri entrerebbe nel board di Delfin come primus inter pares, a fianco Mario Notari, Romolo Bardin, Aloyse May e Giovanni Giallombardo. Probabile che Milleri debba però lasciare la guida di Essilux. E sulle sue prossime mosse sul fronte di Piazzetta Cuccia bisognerà attendere. Ma in ambienti finanziari circola anche l’ipotesi opposta a quella del disimpegno indicata ieri dai mercati: un passaggio delle quote di Mediobanca e Generali a un istituto interessato a portare avanti una clamorosa operazione di take over. E sarebbe tutta un’altra storia.

La seconda questione riguarda il controllo di Delfin: Del Vecchio deteneva direttamente il 25% e possedeva diritto di usufrutto e quindi di voto per il restante 75% del capitale, la cui proprietà è divisa fra i sei figli, tutti con il 12,5%: Claudio, Marisa, Paola, Leonardo Maria, Luca e Clemente. Un accordo raggiunto nel 2016 prevedeva poi che, in caso di scomparsa, il 25% detenuto dall’industriale passasse all’ultima moglie Nicoletta Zampillo. In base a questo assetto, il capitale di Delfin risulterà diviso a blocchi familiari: il 25% di Zampillo con il 12,5% del figlio Leonardo Maria; un altro 37,5% dei tre figli avuti con la prima moglie Claudio, Marisa e Paola; e un 25% dei due figli avuti con Sabina Grossi, Luca e Clemente. Una frammentazione che rende sicuramente forte il management. Ma che nel lungo periodo potrebbe aprire scenari nuovi e, al momento, imprevedibili.

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