Riforma dall'alto o vera autoriforma?

L’intervento del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi dello scorso 15 luglio di fronte alle Commisioni Affari Istituzionali e Giustizia del Senato non lascia dubbi. E’ arrivato il momento di attuare una riforma che regoli lo svolgimento dell’attività dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria. Dopo i tanti moniti al sistema, agli operatori, alle associazioni di categoria, ora il governatore ha preso in mano la sitazione chiedendo espressamente l’adozione di misure normative opportune. E ne ha dettato le linee guide (per chi fosse interessato a leggere l’intervento completo del governatore può trovarlo sul sito internet www.bancaditalia.it sotto la voce interventi, ndr). 

In particolare il governatore ha precisato che le linee di riforma dovrebbero essere volte a introdurre dei livelli più elevati di capitalizzazione, che scoraggino l’avvio di iniziative cui non corrisponda un effettivo e legittimo progetto imprenditoriale; prevedere specifici requisiti di onorabilità e professionalità, che concorrano a selezionare i professionisti più affidabili e disciplinare ulteriormente e in modo più efficace le forme di controllo facendo leva sull’autoregolamentazione. Il modello da seguire, per Draghi, è quello della promozione finanziaria con l’istituzione di organismi che controllini l’accesso all’attività. 
E le associazioni di categoria come hanno interpretato l’intervento di Draghi? «La necessità di una riforma del settore della mediazione creditizia in Italia» afferma Giancarlo Cupane, presidente di ASSOCRED «come sottolineato con forza dal governatore Draghi, è un’esigenza che condividiamo appieno. L’accesso alla professione prevede requisiti troppo bassi e la vigilanza è totalmente inadeguata in un mercato così complesso» prosegue Cupane, il quale riconosce che esistano zone grigie nella categoria, e che sia necessaria una riforma legislativa del settore della distribuzione di prodotti creditizi.

Consapevolezza condivisa anche dagli altri esponenti e rappresentati delle associazioni di categoria, ossia ASSOMEA e FIMEC. «Condividiamo il pensiero del governatore, che in parte è in linea con il disegno di legge Pinza, ma non siamo d’accordo sull’aspetto che riguarda il livello di capitalizzazione» chiarisce Maurizio Del Vecchio, presidente di FIMEC. Per il governatore infatti si dovrebbe innalzare il capitale sociale minimo da cinque a dieci volte quello stabilito per le società di azioni, oppure fissare un importo superiore in relazione alla rischiosità dell’attività svolta dall’intermediario. 
 

«Il limite della capitalizzazione non fa giustizia nei confronti dei piccoli mediatori. Li obbligerebbe a passare inevitabilmente a collaborare con una società» precisa Del Vecchio, «Non è giusto ridurre a pochi gruppi i 90.000 soggetti che oggi svolgono la professione» gli fa eco Paolo Righi, esperto di mediazione creditizia di FIAIP «Per noi è opportuno favorire delle forme cooperative o consortili, ma non limitare il modo di fare impresa soltanto a quello del network. Noi vogliamo mantenere l’unicità del singolo. La discriminante non può essere soltanto il capitale della società» continua l’esperto, il quale presenterà un progetto che mira proprio a tutelare la categoria dei mediatori il 1° settembre prossima alla prima assemblea della Consulta Interassociativa FIMAA-FIAIP-ANAMA. Il progetto di cui Righi è il portavoce ambisce a far sì che la Consulta accolga al proprio interno anche la tutela degli interessi della categoria dei mediatori creditizi. 


Quello che sicuramente è certo è che anche le associazioni hanno preso consapevolezza che il sistema non può più reggersi su basi così poco solide. Per questo molte di loro si sono attivate prima che l’esecutivo metta ordine il sistema, elaborando dei codici di deontologia o autodisciplina. ASSOCRED, ad esempio, ha recentemente aperto un tavolo di lavoro con ASSOMEA per la condivisione di un codice di autodisciplina. «Crediamo che dotarci di un codice comune sia un segnale importante per accreditarci e per offrirci quali interlocutori qualificati e rappresentativi» ha dichiarato Eustacchio Allegretti, presidente di ASSOMEA.

E i principali punti del codice che le due associazioni stanno condividendo riguardano innalzamento dello standing professionale, la correttezza e trasparenza dei rapporti con i clienti, la formazione costante dei dipendenti, agenti e collaboratori della società di mediazione creditizia e anche la creazione di un organismo di conciliazione coi clienti in collaborazione con le associazioni dei consumatori e gli organi di vigilanza e un organismo indipendente per il controllo del rispetto del codice. «Al momento stiamo dialogando con la Casa del Consumatore e con l’Adiconsum» precisa Cupane.

Ma l’idea è quella di discutere anche con ABI, ASSOFIN e Banca d’Italia. Quello del rapporto con l’Authority è un aspetto che è ben presente anche nel codice dentologico del mediatore creditizio elaborato da FIMEC. «Nella nuova versione abbiamo aggiunto la quinta e la sesta sezione che si riferiscono rispettivamente ai rapporti con le banche e con le autorità di vigilanza» spiega Del Vecchio. «Anche negli articoli di queste sezioni è ribadito che gli intermediari devono comportarsi correttamente e in particolare che devono operare nell’interesse del cliente e quindi devono rifiutare dei comportamenti in contrasto con le esigenze della clientela» continua il presidente, come a sottolineare che spesso nella realtà dei fatti l’ago della bilancia sia più spostato verso il rapporto con le banche, piuttosto che verso i clienti. 
 

E anche nei confronti delle autorità di vigilanza il mediatore deve assumere un comportamento collaborativo. «Il buon funzionamento di queste istituzioni corrisponde all’interesse di tutta la categoria professionale» continua Del Vecchio. E le istituzioni sono state chiare. Non c’è più tempo. Molti sperano infatti che questo esecutivo prenda in mano la situazione e metta finalmente ordine al sistema, coinvolgendo chi da sempre si è mosso per migliorare la categoria.

«Auspichiamo vivamente che ci sia un tavolo di concertazione con la commissione che si occuperà di regolare l’attività» conclude Del Vecchio. Sentimento che accomuna anche gli altri presidenti delle associazioni, che ritengono di aver svolto un ruolo importante in questi anni, e che sia arrivato il momento di superare le contrapposizioni di parte. «Ci vorebbe un codice unico condiviso da tutte le associazioni, perché anche l’eccessiva frammentazione del Codice non è proficua» conclude Cupane. 

*articolo tratto dal numero di agosto del mensile ADVISOR

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