Consulenti, perché la deontologia da sola non basta

L’interesse pubblico è un concetto presente nei codici etici delle professioni con la dichiarazione di “porre l’interesse pubblico al di sopra del proprio interesse”.

Visioni differentiGaetano Megale

Ciò sembra chiaro e rassicurante ma, purtroppo, così non è in quanto vi possono essere diverse interpretazioni. La prima è politica in quanto solo il legislatore avrebbe il diritto di decidere quale sia l’interesse pubblico e ciò si traduce nella conformità alle leggi. Tuttavia, questo approccio, neutrale e amorale, non assicura che il professionista operi nel perseguire gli interessi sia dell’utente che della comunità. La seconda intende l’interesse pubblico come risultante dei comportamenti egoistici di ciascun professionista che si traducono nel bene collettivo di tutti, come teorizzato dalla “mano invisibile” di Adam Smith. Una posizione né etica e né socialmente tranquillizzante: sembra una giustificazione per favorire i propri interessi. La terza si basa sulla sintesi delle preferenze individuali dei gruppi sociali interessati. Il professionista sarebbe un “esegeta” di ciò che è bene o male per loro. Questa posizione sembra irrealistica e rappresenta finanche un “delirio di onnipotenza”.

Rispetto della dignità

Infine, la quarta è fondata sul rispetto della dignità della persona e la tutela dei diritti fondamentali. Ciò che è eticamente rilevante è valutare l’attività professionale come giusta, in sé, indipendentemente dai suoi effetti, concretizzando così l’interesse pubblico nel rispetto di ciascuna persona. L’assunzione di una o dell’altra accezione determina il valore etico, professionale e sociale dell’attività del consulente.

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