Consulenti, ecco come aiutare le “nuove leve” nelle reti di financial advisory

A cura di Luciano Liccardo

Sono cresciuto nella professione di consulente finanziario un po’ studiando e molto imparando. L’esperienza che ho maturato nel settore è infatti frutto di tante iniziative formative organizzate dalle mandanti con cui ho collaborato e di tantissime visite ai clienti. Ho appreso le basi della finanza comportamentale quando ancora non se ne parlava e mi sono dedicato a una pluriennale attività associativa con grande passione e partecipazione. Grazie alla fortuna di avere avuto un osservatorio così particolare e privilegiato ritengo la consulenza finanziaria una delle attività più belle del mondo e proprio per questo vorrei proporre qualche spunto di riflessione sul contesto in cui ci troviamo e sul trend che intravedo all’orizzonte. La nostra è una professione giovane, ma… vecchia: se è vero che non ha moltissimi anni di vita, soprattutto nel nostro paese e nel nostro continente, è altrettanto vero che per lo più è praticata e gestita da individui con un’età media superiore ai 50 anni, caratteristica comune peraltro anche ad altre professioni essendo l’Italia stessa un paese che, nonostante flussi migratori robusti in entrata, sta invecchiando. Come per tutte le attività con questo tipo di composizione anagrafica, la consulenza finanziaria ha quindi un problema di base, strutturale: quello del passaggio generazionale, in questo senso assimilabile a quello che devono affrontare i nostri clienti relativamente al loro patrimonio. Solo che il nostro patrimonio è costituito da quanto ci hanno affidato i nostri stessi clienti, che negli anni abbiamo saputo conquistare e fidelizzare grazie a un’assistenza continua e di qualità. Giovani leve e soprattutto donne, che hanno abbracciato la consulenza finanziaria ce ne sono, ma non bastano a rovesciare la tendenza all’invecchiamento.

A caccia di bancari
Il problema è noto alle società mandanti, cioè alle reti di consulenza che per anni si sono prodigate soprattutto a “pescare” nel bacino dei bancari, contribuendo così a una sorta di assottigliamento programmato di questa categoria, spiazzata dagli esuberi dovuti all’avvento delle nuove tecnologie. Anche la banca però sta cambiando pelle e al suo interno sta specializzandosi ed evolvendo pure l’attività consulenziale. Tendenzialmente sarà sempre meno un bacino in cui pescare facilmente e con continuità. Tra i consulenti che si preparano al ritiro, solo pochi hanno la possibilità (e la fortuna) di aprire la successione a propri discendenti; quindi, il problema del passaggio non rappresenta una soluzione su questo versante. Le singole società stanno adottando ognuna una propria strategia, affinando il recruitment, ma non sembra esserci un’azione coordinata comune, tra le organizzazioni di settore, coerente con la dimensione del problema. Né ci sono, alle viste, novità normative di rilievo. Il cambiamento più forte e dirompente è tuttavia, secondo me, quello che deriva dal nuovo contesto economico. Come l’inflazione non è affatto un fenomeno passeggero e dovremo conviverci per anni, anche il quadro che si sta determinando a livello sociale non potrà più essere l’isola felice che era. È sempre stato difficile programmare e pianificare entrate e uscite della vita dei clienti, tramite la consulenza e la pianificazione finanziaria, solo che oggi la nuova parola d’ordine è “precarietà”.

Società che cambia
Vite lavorative che si accorciano, scelte di spesa dovute a cambiamenti climatici sconvolgenti, scelte d’investimento anche immobiliari condizionate molto più di prima dal posizionamento e dalla tipologia delle strutture reperibili sul mercato, una composizione della popolazione che sta vedendo acquistare sempre più peso da parte dei nuovi immigrati e assistendo invece a un calo inesorabile dei nuovi nati italiani, priorità individuali e a livello di famiglia che non sono più quelle di una volta. Tutto ciò richiederà che quelle competenze faticosamente raggiunte dai baby boomers come me che lentamente stanno lasciando la scena, non solo sono difficilmente trasmissibili, per il processo di frizione naturale che esiste quando i giovani devono prendere il posto degli anziani, ma rischiano di diventare sempre più inutili. Non resta quindi che buttare il bimbo con l’acqua sporca? O rimane qualcosa da salvare? La mia tesi è che vi sia ancora un elemento importante di cui tenere conto, in possesso quasi esclusivo della generazione uscente, che (se opportunamente trattato e sfruttato) può essere estremamente utile alla nuova: l’esperienza. Ma se abbiamo appena detto che sta cambiando tutto, che esperienza vogliamo passare a coloro che prenderanno il nostro posto? Noi andavamo in giro con la valigetta, oggi invece un tablet manovrato con destrezza è in grado di generare grafici e video incomparabilmente più accattivanti ed efficaci. Inoltre, noi non parliamo il linguaggio di Tik Tok, e con i social molti di noi, si sa, non hanno un rapporto idilliaco. Certo non è quell’esperienza ormai storica, se non preistorica, che va tramandata, non servirebbe a nulla. Ma noi, della old generation, conosciamo i processi e la natura umana, che non cambia allo stesso ritmo della tecnologia, perché è più lenta. Inoltre, i nostri clienti, di età inesorabilmente simile alla nostra, sono loro che possiedono e dispongono ancora dei capitali. Dobbiamo saltare il fosso e cambiare paradigma: occorre un mix di esperienza e sperimentazione guidata e coordinata dai consulenti più maturi, in cui le energie siano quelle dei giovani. Occorre un gigantesco progetto di educazione finanziaria applicata, in un paese dalle enormi capacità di risparmio, che rischia di venire compromesso in poco tempo, se la liquidità continuerà a farla da padrone in tempi di inflazione sostenuta. Penso a webinar, workshop e iniziative che coinvolgano un gran numero di famiglie, con attenzione al giusto mix tra giovani e meno giovani, sia clienti che consulenti.

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