Io, consulente gay, mi sento un pesce fuor d’acqua

Pubblichiamo una mail inviataci da un nostro lettore che si concentra su un tema delicato e personale. Vi ricordiamo che potete scriverci inviando le vostre storie e le vostre riflessioni a [email protected].

Buongiorno, vi scrivo con preghiera di pubblicazione, perché desidero parlare di un tema personale ma la cui condivisione penso possa aiutare altri professionisti come me, che però magari hanno più difficoltà nell’esprimersi pubblicamente. Vi scrivo come consulente, ma in questo caso anche come uomo omosessuale. Questo non dovrebbe essere neanche un argomento di interesse per una testata come la vostra se non fosse per il fatto che, in virtù della mia esperienza personale (che purtroppo so non essere un caso isolato), posso dirvi che ritengo il nostro settore ancora piuttosto legato a un certo “machismo” di base.
Io ho deciso di non fare outing al lavoro, al di là della privacy personale, anche perché vedo un certo cameratismo diffuso tra i colleghi; diciamocelo senza ipocrisie, nel mondo della consulenza finanziaria vive ancora il mito dello “yuppie”, quello che per farsi bello deve avere la segretaria carina, la moglie avvenente, altrimenti vale di meno. Quello che mentre parla si bulla spesso delle conquiste fatte con i colleghi. Quello che se non parli di certi argomenti o non commenti la ragazza di turno che è passata in ufficio, magari fa la battutina discriminatoria che non mi va di ripetere e che potete facilmente intuire. Un settore dove anche il mondo femminile, laddove riesca con fatica a imporsi, sembra alle volte quasi voglia scimmiottare lo stereotipo del manager maschio affermato, quello in stile “uomo che non deve chiedere mai”. Un mondo dove ci si riempie la bocca della parola diversity e inclusion, ma poi se non vai in giro sempre vestito in giacca e cravatta sono guai. A me non importa nulla degli asterischi, non sono quelli che determinano la capacità di accettare l’altro. Non amo certo generalizzare e per fortuna tanti colleghi hanno un modo di vedere la vita e l’altro che si apre al “diverso” (altra parola che odio). Però vi confesso che mi sento spesso un pesce fuor d’acqua e ho come la sensazione che se raccontassi ai colleghi anche il mio orientamento sessuale (come tutti gli etero fanno, senza porsi problemi di sorta), un certo imbarazzo lo percepirei intorno a me. Sicuramente non ci sarebbero più certe parole e magari in mia presenza si cercherebbe meno di parlare dei soliti argomenti, ma in realtà sarebbe proprio un atteggiamento del genere che mi farebbe sentire un escluso. Perché il problema non sono le battutine, il problema è che ci sono dei requisiti essenziali per sentirsi “uno di loro” e tra questi vi è quello di essere etero. Io non vorrei avere bisogno di scrivere una mail del genere, ecco tutto. Mi farebbe piacere che ci fosse semplicemente un pochino più di cultura, di sensibilità, senza slogan, perché l’accettazione del prossimo non è una merce che si può acquistare o esporre in vetrina. Vi ringrazio, sperando che queste parole possano trovare condivisione tra i vostri lettori.

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