Divieto commissioni, consulenti finanziari cornuti e mazziati

Vi proponiamo un interessante post apparso su LinkedIn a firma Beatrice Cicala, esperta in organizzazione del lavoro e gestione del tempo per consulenti finanziari. Questa volta al centro del post vi è il tema del possibile divieto di inducement da parte della Commissione Europea.

Essere pagati a parcella, per ciò che si fa per il cliente, è la forma di libertà meglio espressa per ogni Libero Professionista.

La parcella misura chi sei, quanto valore sai generare per il cliente.

Il resto è un costo accessorio.

“Caro Cliente, per dare seguito alla consulenza abbiamo bisogno del prodotto X e della polizza Y. Questo è il costo”.

[Capisco che non sia semplice affrancarsi come Consulenti – puri – ma è assolutamente possibile].

Oggi invece, oltre al danno, la beffa.

In queste settimane il Consulente Finanziario è messo sul banco degli imputati per far parte di un sistema, in cui lui è quello che ci guadagna di meno e si sbatte di più.

Da anni lavoro all’emancipazione del consulente finanziario, in quanto libero professionista autonomo e indipendente – nella testa, non nel mandato – il quale è al servizio del suo cliente e non al servizio della propria banca.

La banca dovrebbe essere al servizio del consulente.

Eppure, c’è una resistenza pazzesca nel fare tutte quelle attività che lo renderebbero protagonista della propria professione, come se ad organizzare un seminario finanziario in autonomia, aprire un sito web, promuoversi sul territorio senza l’autorizzazione delle più alte cariche della società fosse un tradimento o un reato.

Emancipazione mentale necessaria per far comprendere al cliente, chi sta guidando la relazione, chi è il professionista autorevole, di chi sta veramente curando gli interessi.

(Altrimenti tanto valeva stare in banca, no?)

E invece oggi il CF soffre perché il cliente potrebbe – finalmente – scoprire che il costo complessivo della gestione del suo portafoglio è spropositato rispetto al valore percepito.

Ma non soffre per sé.

Lui è spesso pagato il giusto, in valore assoluto, per ciò che fa per il cliente.

Il Consulente Finanziario soffre perché, con la normativa attuale, gli tocca lavorare anche per giustificare il costo di quella stessa baracca che gli fa pesare ogni giorno quanto lui non valga niente senza il “brand forte” dietro alle spalle.

Non valga niente come professionista unico.
Non valga niente senza le stratosferiche convention per stimolare il senso di appartenenza.
Non valga niente senza manager che gli indicano (non si sa quale) strada.

Come se non fosse un essere senziente capace di gestire in autonomia la propria attività.

Cornuti e mazziati.

Quello che spero, al termine di questa bufera, è che il consulente finanziario si svegli dal coma farmacologico che gli ha imposto la sua banca mandante e possa iniziare a pensare a sé stesso indipendentemente dal logo sul mandato.

Perché la faccia, la reputazione e la fiducia, con il cliente, ce la mette lui.

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