Banche: dalla AI al ritorno dello sportello. Cosa c’è dietro?

Oggi affronto un tema che tutti i giorni, da un discreto numero di anni, non smette di catturare la mia attenzione. Tutto nasce dalla proposta di rinnovo del contratto collettivo nazionale dei bancari, scaduto già nel 2022, con focus su due aspetti determinanti: aumento di 435 euro lordi al mese e riduzione dell’orario di lavoro di 30 minuti al giorno.

Certo non è poco, e non è da sottovalutare, per un bancario, avere quei soldi in più e lavorare meno. Peccato che, come accade ogni volta che sentiamo parlare di “rinnovi”, il dibattito finisca per essere ridotto a una pura questione formale e non davvero sostanziale, quindi insufficiente a determinare il vero cambiamento di cui il settore bancario, ovvero “la” Banca, avrebbe davvero bisogno. Un cambiamento che, ne sono certa, nessuno dei colleghi bancari che ben conosco (sono libera professionista, ma mi sento partecipe della vicenda) riterrebbe essere di poco conto, anzi. È un cambiamento in assenza del quale si pensa che il punto sia cambiare banca e non cambiare “la” banca.

L’illusione che bastasse automatizzare

Pensiamoci. L’illusione pervasiva è stata quella di pensare che la vera rivoluzione dovesse essere il digitale, e oggi l’AI. E così per anni – il Covid ha fatto la sua parte – si è pensato che il cambiamento, nel settore bancario, avrebbe dovuto essere automatizzare il più possibile il processo, sin nei minimi dettagli, e in tal modo trasmettere al cliente una velocità di risposta dapprima impensabile. Non mi metto qui a elencare le innumerevoli deficienze che, da sole, sarebbero in grado di mettere in discussione la virtuosità di questo cambiamento. È inesorabile, inevitabile e auspicabile, con i tempi che corrono. Tuttavia ho la presunzione di dire che per il cliente dello sportello il punto non è mai stato mettere un robot al posto della persona. Anzi, mi dà l’idea che questo sia il motivo che più lo indispettisce e lo allontana dall’essere collegato alla “sua” banca.

Un rappresentante “che conta” all’interno di una rete bancaria, un manager, mi ha recentemente detto questa frase: «Noi abbiamo deciso, dopo aver chiuso sportelli, di ricominciare ad aprirne nuovamente, soprattutto in zone difficili». Mi è sembrata da un lato una ammissione di colpa, quasi che aver pensato all’inutilità dello sportello fosse un fallimento a livello esperienziale, specie in zone dove la presenza umana conterebbe ancora qualcosa, e dall’altro un annuncio di diversità nel contesto bancario di oggi, l’inaugurazione di un ri-pensamento del già fatto, per capire se davvero è stato colto il punto con il piano che aveva come obiettivo il centro di attenzione del settore bancario (almeno teoricamente): il cliente.

La svolta davvero necessaria

Arriviamo dunque al paradosso che da un lato si dibatte di un rinnovo del contratto collettivo nazionale dei bancari senza avere il minimo orientamento al vero cambiamento necessario per “la” Banca, e dall’altro, dopo aver messo in atto il presunto cambiamento, la svolta, si starebbero facendo timidi tentativi di ri-pensamento e ri-tracciamento. Dietro entrambi questi scenari, l’incapacità di cambiare “la” Banca.

Come si fa a capire allora dove stia la vera questione, il vero cambiamento per “la” Banca? A mio modo di vedere, se c’è un errore che si commette anche nella vita personale è quello di pensare che il cambiamento dipenda da fattori esterni, da cose che devono accadere, e non da noi, da quello che in noi deve cambiare.

Per la “Banca” è la stessa cosa. L’aver creduto che il cambiamento del settore potesse arrivare  da fuori, da fatti esteriori, ha spostato l’attenzione da quello che “la” Banca ha da sempre avuto la presunzione di dimostrare. Una risposta di valore al cliente. Quella a motivo della quale il cliente stesso deciderebbe ogni giorno di rimanere con la sua banca e non penserebbe invece di doverla cambiare. Che poi è lo stesso fenomeno che trova esiti allarmanti nella “catena di montaggio” del lavoro dei colleghi di banca, dove quello che dovrebbe essere un lavoro bello, per le innumerevoli sfaccettature di ricchezza nella relazione e di sviluppo delle competenze, finisce spesso per essere caratterizzato da noia e insofferenza. Le quali non possono che trasmettersi, alla fine, nella relazione con il cliente.

La rivoluzione deve tornare alla persona

In conclusione. L’aver creduto nella rivoluzione digitale come strada per il cambiamento ha portato a far fuori la persona? E quindi la possibilità di creare il vero legame tra il cliente e la “sua” banca? È un tema che nessun dibattito sul rinnovo del contratto ha l’ardire di affrontare, pur mantenendo la presunzione che in quel benedetto rinnovo vi sia davvero la possibilità di ricreare anche una appartenenza del bancario alla “sua” banca. Ma è davvero così?

Ultima osservazione. Si parla spesso di un fenomeno che ha toccato tutti i settori e da cui si può prendere spunto per ri-prendere in considerazione dove stia il vero cambiamento per “la” banca. Sto parlando della  grande dimissione, un movimento “di gregge” determinato anche da temi non affrontati per tempo e questioni non analizzate per quello che erano. Ci sarebbe di che parlarne, prima che sia davvero troppo tardi. Perché non è solo il contratto collettivo a essere scaduto nel 2022, ma qualcosa di più grande che è scaduto da tempo e che occorre riprendere in mano, rendendolo il vero tema del cambiamento. Un qualcosa che ancora non si è sfiorato, e a cui neppure la AI ha mezzi per trovare soluzione. Prova ne sia che quando si interroga una chat automatizzata su questioni personali, molto personali, come può essere una risposta finanziaria, una consulenza, il rimando continua a essere, guarda caso, a confrontarsi con una persona vera, un consulente finanziario. La dimostrazione lampante di quanto la vera rivoluzione de “la” banca non possa mai far fuori la persona.

Alla prossima!
Maria Anna Pinturo

https://diversamentefinanza.com/

https://mariannapinturo.com/

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