Consulenza: incentivi e ipocrisie

Circola per l’Europa la proposta di abolire le cosiddette “retrocessioni”. La proposta non nasce dal Parlamento, né dall’industria ma da qualche commissario. Prima osservazione: perché intervenire su un mercato che funziona imponendone dall’alto i modelli di business? Seconda domanda: è democratico un processo legislativo che esclude quasi totalmente la volontà popolare? Qualcuno in alto loco scopre che non è vero quanto affermato dall’economia classica che il produttore fa l’interesse del cliente al fine di conservarlo. Al contrario, l’analisi empirica ci dice che il cliente dell’intermediario paga più di quanto potrebbe e riceve un cattivo servizio. Per ovviare a questa “innaturale” situazione si propone di eliminare le retrocessioni e consentire esclusivamente la consulenza a parcella. Così facendo si è sicuri che consulente/impresa d’investimento facciano l’interesse del cliente, perché è la loro fonte di reddito. Ma già la Mifid e il Tuf prevedono che l’intermediario deve fare l’interesse del cliente. Se questo non è avvenuto, la Mifid, o chi per essa, ha fallito il suo obiettivo. Un intervento drastico come quello proposto rischia di fare più danni che benefici. Meglio pensare a interventi agevolativi della consulenza, quali per esempio l’esenzione dall’Iva. Ma soprattutto finiamola con l’ipocrisia dell’intermediario pagato dal produttore che fa l’interesse del cliente ed evitiamo altre imposizioni di documenti, calcoli, informazioni (che il cliente non legge mai) con costi inutili per tutti.

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