Consulenza noir: la banda degli intoccabili e il papero zoppo

A volte la consulenza è un racconto dalle tinte scure. Si potrebbe dire un noir. Il nostro narratore è Giacomo La Mosca.

Chi lavora in una banca è come se fosse controllato di continuo dall’occhio di un Grande Fratello. Contratti capestro, clausole vessatorie, penali, la paura di commettere, magari inavvertitamente, qualche minima infrazione che poi verrà pagata a caro prezzo, la necessità di tenere sotto controllo anche i membri della propria famiglia… insomma chi lavora in una banca è continuamente sotto stress, uno stress incessante, che si estende a tutti gli aspetti della vita: gli hobby, gli amori, le conoscenze, le idee, persino le scelte private.
Il sistema, impersonale e meccanico, che ti tritura senza emozioni e che sembra impossibile da modificare, è poi reso ulteriormente più pesante da ciò che fa il management bancario: i presidenti, gli amministratori delegati, i direttori generali delle banche, sembrano spesso preda di un assurdo delirio di onnipotenza, come se la consapevolezza di far parte di un pilastro irrinunciabile della società li inducesse a pensare di poter estendere il loro dominio a tutti i gangli dell’economia, della politica, della vita sociale, culturale e addirittura personale dei cittadini di questo paese.
Il management è scelto dall’azionista solo ed esclusivamente per realizzare profitti, poco di più. Anzi, e ultimamente molti l’hanno sperimentato sulla propria pelle, possono essere completamente antitetici.
Eppure, quando sostenni l’esame di diritto all’università, tra tutti, fu l’articolo 41 della Costituzione a rimanermi impresso più di altri: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana…” Mi pare proprio che, oggi, alcune banche, e gli uomini che le governano, abbiano come unico obiettivo l’arricchimento personale. Ma non bisogna fargliene troppo una colpa: molti dirigenti bancari non hanno avuto la possibilità di studiare la costituzione italiana: alcuni hanno solo un diploma di ragioneria, altri neanche quello. E non si può nemmeno sperare che i loro legali diano loro ripetizioni di diritto. Non gli conviene. Se la gente conoscesse meglio la legge litigherebbe di meno, ma se si litigasse di meno gli avvocati come farebbero ad arrivare a fine mese? Ci sono tante bocche da sfamare in Italia!!!
Un loro modo potrebbe essere (anzi, è) quello di darsi da fare per creare una condizione di quasi assoluta immunità per la banca e per i suoi dirigenti. Non so se sia una condizione o un’illusione, comunque, funziona abbastanza. A proteggere la banca c’è un sistema di norme involuto e farraginoso che nasconde le sue azioni dietro una nebbia quasi impenetrabile. E, a proteggere il management, c’è sempre lui, l’azionista milionario che ha le mani in pasta dappertutto e può influenzare tutto e tutti. “Sii fedele e ricordati che sei lì perché ti ci ho messo io. Il tuo compito è fare profitto, ricordalo. E non perderti in pinzillacchere. Altrimenti, sai cosa succede ai dirigenti che non fanno profitti? Li caccio fuori in ventiquattro ore.”
Ma anche di questa eventualità non c’è molto da preoccuparsi. Perché per licenziare un amministratore delegato, o comunque un alto dirigente bancario, bisogna pagargli anni di stipendio (l’equivalente di quarant’anni di stipendio di un operaio), e poi ci sono le indennità, la buonuscita… insomma, la legge protegge molto i diritti di questa categoria. Tanto di cappello. I diritti acquisiti non si toccano.
Ecco, dunque, un sistema che è stato capace di creare per sé e per i propri dirigenti una botte non solo di ferro ma praticamente indistruttibile contro la quale tutto è destinato a infrangersi senza speranza: la legge, la morale, persino la congiuntura economica.

Il papero zoppo di questo sistema è rappresentato dal cliente, l’impiegato, il quadro intermedio, oppure da chi lavora con un contratto tale che deve scontare una buona possibilità di guadagno con una totale insicurezza riguardo al domani. Facciamo un nome a caso? Il consulente finanziario.
Il consulente finanziario è l’unica figura che ha come azionista il proprio cliente, infatti ne cura gli interessi personali e patrimoniali meglio di chiunque altro.
Chi non è del ramo potrà anche rimanere impressionato dai guadagni che un consulente finanziario bravo riesce a ottenere in un anno di lavoro. Si tratta di quel che si dice soldi positivi e che sono sempre una minima parte rispetto a quanto un consulente finanziario fa guadagnare alla banca e, ci si augura, ai propri clienti. Tuttavia il consulente finanziario è uno che non dorme mai tranquillo. Lasciamo perdere l’incertezza dei mercati finanziari che quelli bravi la sanno domare. Un consulente finanziario può essere licenziato facilmente, in quanto non ha particolari garanzie contrattuali. Quindi se non fa quello che vuole il management sa bene quale destino lo aspetta. La legge non lo tutela, anzi lo dissuade a cercare di difendersi: tali e tante sono le pastoie, gli inghippi, le ambiguità che, se per caso volesse intraprendere una causa di lavoro, sarebbe come controfirmare la sua condanna a morte che il management ha già pronunciato.
Alla banca conviene sempre cacciare il consulente finanziario per tutta una serie di ragioni, anche se lavora bene. Ad esempio, in questo modo riesce a non pagargli nulla, nemmeno quel che gli spetta ma che non ha ancora incassato. Un bel risparmio! Che vale anche la perdita di un buon professionista. Specialmente in tempi di crisi di bilancio come questi. Intanto la banca mette a bilancio il risparmio che viene dal non aver pagato il consulente finanziario. Poi, dopo sette otto o addirittura vent’anni, anche se dovranno dargli qualcosa, si vedrà (o meglio, se la vedrà il management futuro). Inoltre, la banca ha addirittura un vantaggio fiscale nell’affrontare una causa in quanto mette a riserva nel bilancio l’eventuale perdita e non ci paga nemmeno le tasse (si tratta della voce “fondi rischi/oneri futuri”).
L’unica precauzione che la banca deve prendere è rendere impossibile al consulente finanziario defenestrato di “portare con sé” i suoi clienti, e magari anche qualche collega. Ma dissuaderli non è difficile, lusingando i consulenti finanziari con qualche decimo di percentuale di provvigioni in più e minacciandoli con lo spettro di un contenzioso. Le banche più furbe e meno competitive fanno firmare contratti e clausole che prevedono penali pecuniarie in caso di dimissioni e patti onerosissimi per non andare via e non solo, le peggiori banche tardano a trasferire gli asset finanziari dei clienti che vogliono cambiare banca e allo stesso tempo prevedono per i clienti clausole capestro che li bloccano nella banca per sempre, come i loro consulenti finanziari. Il fatto, poi, che queste clausole non siano del tutto legali, o che i contratti siano ambigui e soggetti a interpretazioni contrastanti, non ha molta importanza. L’importante è che abbiano una forza dissuasiva e minatoria indiscutibile. Cosa che, in effetti, hanno.
La dissuasione in che cosa consiste? Nel fatto che, anche di fronte a un contratto evidentemente irregolare, il tempo e i mezzi necessari a far valere le proprie ragioni sono tali e tanti che, al singolo, conviene lasciar perdere. Innanzitutto, le banche possono mettere in campo squadre di avvocati agguerritissimi. Un onesto professionista o un cliente, di solito, a malapena riesce a ingaggiarne uno. Poi una causa dura in media, appunto, otto anni ma può durarne anche fino a venti, se si arriva in Cassazione. Un onesto professionista non ha tanto tempo a disposizione. La lentezza della giustizia lo ucciderà giorno dopo giorno, udienza dopo udienza. L’impegno nella causa lo distrarrà anche dal suo lavoro che non svolgerà più con la stessa dedizione (mentre la sua controparte il direttore generale o l’amministratore delegato, una volta passata la pratica all’ufficio legale, non verrà più disturbato).
In questo modo arriverà il momento in cui il consulente finanziario si accontenterà delle briciole pur di chiudere il contenzioso. E a quel punto la banca avrà un ulteriore guadagno. Ecco perché alle banche non conviene quasi mai negoziare, anche quando hanno torto marcio. Se non gli fai causa, ci guadagnano. Se gli fai causa, pure.

Le banche trovano sempre un pretesto, seppur banale, per licenziare un consulente finanziario ma le più perfide fanno di più. Che cosa fanno? Semplice: se dai le dimissioni per giusta causa, il giorno dopo sei nella nuova mandante, ma devi dimostrarla la giusta causa e non è semplice per nessuno.
Se invece ti dimetti con il preavviso di sei mesi è ancora peggio. In questi casi viene mandato al consulente finanziario un controllino. Non c’è bisogno di scomodare la Consob. Basta mandargli il controllo interno della banca, riescono a fare miracoli. Il controllo interno dovrebbe vigilare sull’operato della banca, dei suoi dirigenti e di tutti i dipendenti e consulenti finanziari, riferendo direttamente al presidente del collegio sindacale che, a sua volta, dovrebbe informare immediatamente la Consob nei casi più gravi. Caspita, c’è da farsi tremare le vene e i polsi. Per fortuna c’è un piccolo particolare: il controllo interno è scelto e pagato dal management della banca… A questo punto, chi si sente di scommettere sulla sua indipendenza?
Non ho mai letto che il controllo interno di una banca abbia fatto estromettere un amministratore delegato. È chiaro il perché?
Inoltre, ci sono banche dove il controllo interno può sospendere la password del consulente e riassegnare il portafoglio al suo manager in modo arbitrario per i motivi più banali e tutto senza nemmeno avere il consenso della Consob. Sembra assurdo ma la banca può accusare un consulente finanziario di qualcosa e, senza nemmeno il consenso degli organi di vigilanza, sospendere l’operatività del consulente finanziario e intanto un collega può contattare i clienti senza che nessuno possa impedirglielo. E tutto questo con il benestare degli organi di vigilanza. Per fare un esempio sarebbe come se un agente di polizia ti fermasse e ti accusasse di qualcosa e tu noi hai il tempo di difenderti che il giorno dopo lo stesso agente di polizia ti condanna senza passare dal giudice. Ci sono banche che fanno queste cose in piena legalità.

Insomma, basta che il management mandi i funzionari del controllo interno dal consulente finanziario che quest’ultimo si rende conto che la sua ultima ora è scoccata. I “controllori” si metteranno a rovistare negli archivi e negli schedari del consulente alla ricerca di elementi utili all’esecuzione della vittima predestinata. E di sicuro ne troveranno, e se non li troveranno… se li inventeranno. Sono pagati anche per questo.
Sulle spoglie del poveretto, dead man walking, cominciano presto ad aleggiare avvoltoi e ad avanzare sciacalli. Un po’ come i capponi di Renzo, si tratta di altri consulenti finanziari, poveretti, che invece di darsi da fare per aiutarsi a vicenda, fanno il gioco dei loro padroni che conoscono bene il detto divide et impera e quindi affidano proprio agli ex colleghi del giubilato il compito di fargli terra bruciata intorno: impedirgli di portarsi via i clienti proponendo nuove offerte dedicate ai clienti dei dimissionari, diffamandolo, ostacolandolo in ogni modo nella ricerca di un nuovo lavoro, ma ciò che ritengo ancora più inaccettabile è che i clienti che vogliono seguire il consulente finanziario rimangono ostaggio delle banche per mesi senza nessun motivo se non quello di ostacolare loro il passaggio attraverso le azioni diffamatorie dei suoi peggiori venditori. È istigazione allo sciacallaggio, ma lo chiamano aziendalismo. Le parole sono potenti: purificano anche le latrine.

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