Consulenti, dagli USA il futuro della professione

La consulenza in materia di investimenti finanziari, dalla pianificazione finanziaria agli aspetti previdenziali, si è evoluta notevolmente, raggiungendo alti livelli di competenze e conoscenze, necessarie per offrire un servizio superiore, per qualità e quantità, rispetto al passato, adeguato alle nuove esigenze. Il passaggio da promotore finanziario, una figura legata prevalentemente ai prodotti di investimento, a consulente finanziario non è solo un cambio di nome ma è dettato proprio dal cambiamento di ruolo: sempre più un professionista centrale per l’investitore, per affiancarlo in tutto il suo percorso di pianificazione.

I cambiamenti in atto sono un chiaro segno della variazione della domanda del servizio di consulenza, con investitori sempre più informati, attenti ai costi, che giudicano le proposte ricevute. Questi temi sono stati oggetto della conferenza L’evoluzione del consulente finanziario in Italia e negli USA. Condivisione delle best practices e degli approcci vincenti nei due mercati, all’interno del recente Salone del Risparmio.

Questi gli spunti più interessanti che BLUERATING ha tratto dal confronto tra Mario Ruta, vice direttore generale di Allianz Bank Financial Advisors e James Adams, responsabile reti consulenti finanziari US di MFS Investment Management, sui modelli di consulenza in Italia e Stati Uniti.

Si rilevano diverse analogie tra il mercato degli USA e quello italiano. Siamo in uno scenario in cui il vantaggio competitivo dura poco e la differenza tra gli operatori la fanno i servizi. L’obiettivo è di rendere il cliente meno sensibile al prezzo, ampliando l’oggetto della consulenza. Si pensi ad esempio alla clientela affluent e alla gestione inefficiente della liquidità: invece di accumulare denaro sui conti correnti per la gestione dei rischi, l’utilizzo di una opportuna copertura assicurativa permette di liberare risorse da investire in equity.

Per poter fornire un servizio completo si possono creare team eterogenei di financial advisor, in grado di gestire le singole esigenze, oppure stringere accordi di collaborazioni con terzi per una consulenza olistica. Lo sviluppo successivo sarà costituito da una clusterizzazione della clientela sulla base delle esigenze per così proporre soluzioni omogenee a determinati segmenti.

La segmentazione è un processo già sperimentato negli USA. I robo-advisor hanno avuto l’effetto di abbassare i costi, soprattutto nei settori in cui, in assenza di un effettivo valore aggiunto per i clienti, è fondamentale il prezzo. Grazie al processo di segmentazione è possibile automatizzare il servizio di consulenza per i clienti di minore dimensione, garantendo comunque un risultato soddisfacente, liberando così tempo da dedicare a quelli più facoltosi, con i quali si può così istaurare un rapporto più personalizzato.

Anche negli USA si assiste a un problema di ricambio generazionale dei consulenti finanziari, che presentano un’età media di 58 anni, poiché i giovani manifestano poco interesse per un lavoro nel settore finanziario. In genere si intraprende la professione con l’inserimento in un team con esperienza. Il passaggio non è però per nulla scontato a causa della resistenza dei consulenti nell’aprire i propri portafogli ad altri colleghi, senza vederne i vantaggi. Le ricerche dicono che il gestito di un team cresce di 2/3 punti percentuali in più rispetto a quello dei singoli. Nel team è più facile sviluppare i clienti piccoli grazie ai giovani che possono dedicare loro più tempo e coltivare i singoli rapporti.

Mario Ruta riprende il concetto di lavoro in team sottolineando la sua importanza per la crescita professionale dei consulenti, con i consulenti senior che hanno un ruolo fondamentale nell’insegnare, tra l’altro, come gestire nel team i tempi di crisi. Come attrarre però i giovani a entrare in un team di consulenti? Come gestire il ricambio? Esiste un problema di sistema che offre poche possibilità per i giovani, con scarsa propensione in genere a offrire opportunità, a cui si aggiunge poca consapevolezza del mestiere di consulente finanziario da parte degli stessi giovani. Esiste poi un problema delle reti nel selezionare persone sul territorio. L’approccio top down non funziona, serve un inserimento graduale e programmato.

Uno sguardo attento è rivolto anche al ruolo che le donne potrebbero assumere per la professione. Nel mondo bancario le donne sono il 47% dei gestori affluent. L’ideale sarebbe replicare la composizione anche nelle reti dove le donne sono presenti in una percentuale ben inferiore. La ragione non è semplice parificazione numerica ma risiede nella capacità delle donne di gestire i clienti: i portafogli gestite dalle donne infatti, in media, crescono di più. Negli USA la percentuale di donne in finanza è più alta e sono più ricercate degli uomini perché più empatiche e dotate di una migliore abilità di ascolto.

Infine uno sguardo allo sviluppo della professione e al ruolo dei gestori. In merito al mercato italiano, si pone l’accento sul passaggio generazionale e sulla necessità di conoscere il nucleo famigliare per avere prodotti dedicati ai figli collegati a quelli dei padri. Rispetto al passato si presenta inoltre l’esigenza di generare reddito dai patrimoni ereditati per poter vivere meglio. I consulenti finanziari avranno la responsabilità di preservare questo passaggio. Gli asset manager devono considerare questi fattori nello studio di nuovi prodotti, anche in considerazione che, con il ricambio generazionale, l’holding period medio dei clienti, attualmente pari a 5 anni, è destinato ad allungarsi. Un quadro analogo viene dipinto per il mercato d’oltreoceano, rilevando sempre la necessità che gli asset manager cambino le loro politiche per seguire le nuove esigenze dei consulenti finanziari che, essendo sempre più impegnati nella gestione di patrimoni, devono rivedere le proprie strategie e trovare il giusto partner.

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