Assicurazioni: cosa imparare dal caso Eurovita

A cura di Maria Anna Pinturo, consulente presso Credem con la qualifica di Wealth Planner e fondatrice del blog diversamentefinanza.com. 

È il caso di dirlo. Oggi la scelta di un’assicurazione non sembra così… rassicurante.

Quello noto in questi giorni come “il caso Eurovita”, semplificando (dei dettagli si è scritto diffusamente sui media), la Compagnia Assicurativa che ha rischiato il worst case con la liquidazione coatta, ha rappresentato il momento di massima messa in discussione del motivo per cui si pensa di assicurarsi.

O forse doveva succedere un fatto come questo per tornare a comprendere perché non si può evitare di avere un’assicurazione? Cerchiamo di capire.

La differenza tra investimenti e polizze

Siamo stati abituati, giustamente, a discernere tra investire e sottoscrivere una polizza. Nel primo caso, abbiamo sempre pensato si trattasse di accettare un rischio, più o meno consapevolmente; nel secondo il vantaggio, anche qui più o meno consapevolmente, pensavamo fosse quello di “spostare” un rischio su una compagnia incaricata, dietro pagamento di un premio, proteggendoci così da quel rischio, non assumendocene direttamente il peso. Tuttavia nel tempo, da una generazione all’altra, cosa è successo? Si è venuta a creare una sorta di sospensione di giudizio, se non una vera e propria reticenza o addirittura sospetto, proprio nei riguardi delle polizze assicurative, relegate a prodotto che nascondeva, sotto l’apparente copertura, una solenne… fregatura.

Sto generalizzando, lo so. Non si dovrebbe assimilare il caso delle polizze assicurative legate alla copertura di danni a quelle più simili a un vero e proprio investimento: le prime sono sottoscrivibili con il pagamento di un premio annuo, le seconde mettendo del capitale proprio. Ma negli anni, nei discorsi con i clienti negli appuntamenti di consulenza, si è sviluppata una sorta di obiezione se non avversione alla sola pronuncia del nome “polizza”. Considerata alla stregua di una “scatola” senza reali garanzie, un prodotto molto caro che non mantiene ciò che promette o, peggio, nato per sottrarre denaro ai sottoscrittori con ritorni per le compagnie, non certo per loro stessi. E questa avversione si è manifestata non solo a riguardo delle varianti legate alla protezione, con la conseguente mancanza di fiducia sulle coperture incluse nel prezzo, ma anche verso le alternative all’investimento, tra cui le Ramo I con capitale garantito e le Ramo III senza nessuna garanzia.

Un pregiudizio duro a morire

Nel caso delle “polizze investimento”, chi fa il mio lavoro sa bene che non risulta mai semplice proporle. Perché anche in questo caso il pregiudizio nei riguardi delle assicurazioni è rimasto lo stesso, e vengono messe tutte sullo stesso piano, accusate di non essere così rassicuranti nelle loro assunzioni di rischio, nelle promesse di adempiere a coperture di danni (quelli nominati nei contratti) o nelle dichiarazioni di tutela nei confronti del cliente. A fronte, va detto, di costi non indifferenti.

Ebbene, sembrerebbe che il caso Eurovita non abbia fatto altro che peggiorare la situazione. Una Compagnia assicurativa infatti è arrivata a non poter più garantire i rimborsi dei capitali investiti nelle sue polizze. Cioè a non poter più… assicurare. Ma come? Non eravamo rimasti allo scegliere tra investire e sottoscrivere una polizza? E la scelta di una polizza non avrebbe dovuto alleggerirci dal pensiero di un rischio di cose o persone, nel caso della protezione dai danni, o a un rischio di mancato rimborso di capitale (con o senza minimo garantito), nel caso delle polizze investimento?  L’obiettivo non era evitare le vicissitudini tipiche non solo di azioni ma anche di titoli governativi, il cui rischio – è chiaro – è ormai simile, e per ragioni attinenti ai fondamentali?

Basta con le scelte “da catalogo”

Ora possiamo dirlo con certezza. Il caso Eurovita ha dato benzina all’obiezione a sottoscrivere un’assicurazione. Nello stesso tempo, tuttavia, come capita quando si tocca il fondo, ha dato la possibilità di tornare ai motivi per cui oggi più che mai non ci si può non assicurare. Nel mettere sul tavolo la crisi di una Compagnia, ha reso ancora più evidente quanto sia necessaria per avere non solo una assicurazione, ma una rassicurazione nel vivere quotidiano. Ma sottolineando la necessità di essere assicurati e rassicurati, protetti insomma, ha altresì aperto una domanda su quali potranno essere le Compagnie veramente in grado di farlo. Senza chiudere o minimizzare il discorso, proprio dopo il caso Eurovita, assumendo semplicemente che una Compagnia assicurativa non possa fallire.

Mettiamola così, per concludere. Se prima individuare una Compagnia era una scelta quasi “da catalogo”, dove le uniche differenze sembravano quelle di prezzo, forse è arrivato il momento di farne una differenza di “rischio”, di capacità di copertura del rischio. Allora proprio su questa capacità le Compagnie assicurative saranno messe davanti a un vero banco di prova. Io dico finalmente, dopo essersi tenute in disparte dal mondo degli investimenti puri e semplici, come se fosse solo lì il vero rischio. Abbiamo visto come è andata.

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