“Consulenza, sostantivo femminile” è il titolo dell’evento organizzato da Anasf a chiusura di un articolato percorso di formazione dedicato alle consulenti finanziarie donne, socie e non socie dell’associazione. Un’occasione di incontro e confronto per condividere opinioni, punti di vista e riflessioni sul tema dell’empowerment femminile e dell’inclusione di genere nel mondo finanziario. Ad aprire il convegno è stato il presidente di Anasf, Luigi Conte, che si è concentrato sull’impegno dell’associazione sulle tematiche in questione: “Si tratta di un percorso che ha mosso i suoi primi passi già da qualche anno, quando diverse colleghe hanno dato la loro disponibilità a creare le condizioni per cui il genere venisse rappresentato ai più alti livelli dell’associazione”, ha dichiarato.
Pura meritocrazia
“Questo appuntamento dimostra il percorso che abbiamo fatto in merito a questi argomenti. L’attuale vicepresidente, Alma Foti, è stata la mia antagonista più forte e solida all’ultima tornata elettorale, e la sua nomina è arrivata per pura meritocrazia, non perché sia una donna. Il vero valore è nei meriti, che devono essere evidenziati indipendentemente dalle questioni di genere: i contenuti e le prospettive che portano le donne consentono di poter progettare un futuro tenendo conto anche di altre dinamiche”. L’interesse e la voglia dell’associazione di proseguire su questa strada è stato ulteriormente ribadito con la presentazione della nuova borsa di studio 2023 per neo consulenti finanziarie “Aldo Vittorio Varenna”. Una collaborazione tra Anasf e J.P. Morgan Asset Management, che hanno messo in palio due iscrizioni al corso “Strategic Investment Management” della London Business School per giovani professioniste under 30, con l’obiettivo di contribuire ad innalzare la percentuale di consulenti donne abilitate all’offerta fuori sede, che ad oggi costituiscono solamente il 22,1% del totale degli iscritti all’Albo Ocf. “In occasione del decimo anniversario del concorso abbiamo voluto dare un ulteriore segnale circa il tema delle pari opportunità nel mondo della consulenza finanziaria: Anasf si impegna a ridurre il gender gap tra i professionisti e le professioniste del settore”, ha concluso Conte.
Minoranza di iscritte
Pezzo forte dell’incontro conclusivo è stato senza dubbio l’intervento di Letizia Mencarini, professoressa ordinaria di demografia alla Bocconi, che ha utilizzato vari studi, sia propri, sia internazionali, per dipingere un quadro quanto più completo possibile circa il gender gap nel nostro Paese. Per gender gap si intende il divario di genere maschile e femminile, con particolare riferimento alle differenze sociali e professionali ancora esistenti tra uomini e donne. I principali indicatori per riscontrarlo sono quattro: formativi, lavorativi, retributivi e politici. Per quanto riguarda il mondo della finanza, al 31 dicembre 2022 le consulenti finanziarie donne abilitate all’offerta fuori sede risultavano essere il 22,3% degli iscritti (ovvero 11.496), con un totale di 591 provvedimenti di iscrizione all’Albo (circa il 27,1%) nel corso dell’anno passato. Per la sezione dei consulenti autonomi, i dati dicono che le donne erano solamente l’8,5% degli iscritti con il 6,7% dei provvedimenti di iscrizione, cioè 13 in tutto. Analizzando le prove valutative, risultano 1.905 le candidate iscritte (il 33,7% – con 778 idonee, ovvero il 31%). “Guardando questi numeri, sono tante le domande che potremmo porci: quella della consulente è una professione facilmente accessibile per una donna? Ci sono dei pregiudizi circa una consulente femmina? Le ragazze, in questo settore, ci sono e stanno crescendo. Sono poche ma sono brave, e non è cosa di poco conto visto che in media le ragazze italiane, oltre ad avere un elevato accesso agli studi, ottengono anche risultati scolastici migliori rispetto ai colleghi maschi”, ha sottolineato Mencarini.Per la classifica del World Economic Forum 2023, l’Italia è in peggioramento e al 79° posto per posizione delle donne nella società, addirittura dietro a Kenya e Uganda. La situazione non migliora sbirciando gli altri dati: 16 le posizioni perse in graduatoria, nonostante una premier donna, sul potere politico; un punto in meno in termini di parità di genere, 80° posto per parità salariale, 48° per numero di donne in Parlamento, 93° per partecipazione lavorativa femminile, 104° per partecipazione economica e pari opportunità, 100° nelle professioni elevate. La parità è una questione tutta nordica, con i primi tre gradini del podio occupati rispettivamente da Islanda, Norvegia e Finlandia. “Le classifiche esistenti sul tema sono tante, e in tutte, l’Italia non è mai in cima. Qualcuno potrebbe risentirsi del fatto che paesi come il Kenya e l’Uganda sono davanti a noi: la qualità della vita è sicuramente più bassa, però più equa secondo gli indicatori presi”, ha spiegato la professoressa. Gli ultimi dati Istat sul mercato del lavoro in Italia evidenziano come le donne italiane arrivino a poco più del 50% dell’occupazione, contro il 69,6% degli uomini. Informazioni che vanno lette insieme a un tasso di disoccupazione più alto per le donne rispetto agli uomini (9,1% contro 6,8%) insieme a quello di inattività, anche in questo caso molto più elevato: 43,4% rispetto al 25,2%. “Naturalmente negli anni la situazione è migliorata e, se si spacchettano i dati in base all’età, è evidente come le giovani lavorino molto di più rispetto alle generazioni precedenti. Tuttavia il divario tra i due sessi negli ultimi tempi è rimasto immutato, e la partecipazione femminile al mercato del lavoro del nostro Paese sembra ostaggio di criticità strutturali, come la precarietà e soluzioni poco remunerative, come il part-time: dove si guadagna poco, arrivano le donne”.
La missione del Pnrr
Una situazione che è peggiorata in termini relativi: non è un caso, quindi, che la “Missione 5 del Pnrr (coesione e inclusione)” punti sulla valorizzazione dell’imprenditorialità femminile, oltre all’introduzione e definizione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere. Ma il famoso “tetto di cristallo” sembra ancora non crollare: i dati del 2022 evidenziano come le posizione apicali occupate dalle donne siano ancora molto scarse. Solo il 20% di ceo (contro il 18% del 2021) e il 30% in ruoli di senior management (il 29% nel 2021). Nonostante un generale e leggero aumento nelle posizioni di leadership, il nostro Paese resta in fondo alle 30 maggiori economie mondiali. “Il pay gap si ottiene a parità di mansione, e in Italia non vi è una presenza sufficiente di donne nelle posizioni di vertice per fare in modo di valutare questo divario correttamente. Avere un guadagno uguale va di pari passo con avere la stessa posizione lavorativa”. Ma insieme a tutto questo, per Mencarini uno dei nodi principali resta quello della maternità. “Dopo la pandemia da Covid-19, che nel nostro Paese ha inciso in maniera particolarmente negativa sulle donne, sia a livello professionale sia di salute mentale, si è parlato tanto delle grandi dimissioni, che si è rivelato essere un tema prettamente femminile: infatti, se per gli uomini nel 78% dei casi si è trattato di mobilità lavorativa, per le donne nel 44% delle volte si è parlato di servizi di cura”. Un divario che sembra impossibile da colmare: con i progressi attuali, infatti, secondo alcune stime e proiezioni effettuate, la parità di genere in Italia si potrebbe raggiungere tra oltre 150 anni. Un barlume di speranza, però, sembra arrivare dai giovanissimi: “Le nuove generazioni mostrano comportamenti diversi, soprattutto da parte degli uomini, che appaiono più sensibili alla parità e a varie tematiche sociali, dando così segnale di un cambiamento importante”, ha concluso la docente. “Il tema fondamentale è capire che tipo di uguaglianza vogliamo: se siamo interessati solo ad un mera comparazione di risultati o se invece puntiamo all’equità, dove gli esiti tra uomini e donne possono essere diversi ma comunque considerati accettabili”.