Sembra facile, ma c’è un fattore che forse non è stato preso in considerazione, ovvero l’emotività, che può spingerci a fare esattamente il contrario. Un comportamento irrazionale, alla base di un gap tra i rendimenti conseguito dagli investitori la performance dei fondi in cui investono. Un divario, quest’ultimo, misurato da numerosi studi come “Mind the gap”, l’analisi che la società Morningstar conduce ogni anno per il mercato Usa, riportata da Affari&Finanza.
Dall’edizione 2023 emerge come, su un arco temporale di dieci anni concluso a dicembre 2022, il rendimento effettivo dei sottoscrittori di fondi comuni ed Etf, calcolato tenendo conto dei flussi di investimento e disinvestimento, sia risultato inferiore di 1,7 punti percentuali annui a quanto ottenuto dai prodotti in cui hanno investito; comprare e vendere facendosi guidare dall’emotività o dalla smania di anticipare il mercato è costato più o meno un quinto della performance realizzata dai fondi. In generale, più un fondo è volatile, più è difficile per gli investitori “catturare” la sua performance, mentre non emerge una evidente relazione tra gap di rendimento e costi del fondo.
Spiva Scorecard, analisi condotta annualmente da S&P Dow Jones Indices, ha decretato come su un arco temporale di 10 anni solo l’8,6% dei gestori azionari Usa Large Cap è riuscito a superare l’indice S&P500. Importante quindi è anche azzeccare il fondo a gestione attiva giusto: J.P.Morgan ha calcolato che 1.000 dollari investiti venti anni fa in fondi azionari Usa generici sono diventati 7.191 dollari scegliendo i gestori che si collocano nel primo decile dei rendimenti e solo 4.893 dollari se la scelta è caduta su gestori che occupano l’ultimo decile; lo scarto è ancora più marcato per i fondi azionari specializzati, come quelli con stile growth o che investono nelle borse dei Paesi emergenti.