La crisi finanziaria globale del 2007-2009 ha scompaginato il settore bancario in tutto il mondo. Mentre le maggiori istituzioni statunitensi e britanniche sono state costrette a fusioni urgenti, in tutta l’Europa continentale le banche hanno subìto un’ondata di nazionalizzazioni e salvataggi massicci. Le crescenti richieste normative hanno accelerato le fusioni in alcuni dei settori bancari più frammentati, come la Spagna e l’Italia.
In questo contesto, ecco di seguito la view di Jérémie Boudinet, Head of Financials & Subordinated debt di Crédit Mutuel AM.
La corsa a crescere di dimensioni
Fino al 2022 la redditività delle banche è stata gravemente ostacolata da un contesto di bassi tassi di interesse, strutture di costo elevate, ingenti accantonamenti per rischi di credito e contenzioso e notevoli riserve obbligatorie per garantire adeguati coefficienti patrimoniali. La corsa a crescere di dimensioni è quindi diventata un fattore cruciale per garantire economie di scala e risparmi sui costi. In base ai propri vantaggi competitivi molte banche hanno anche rafforzato o ridimensionato specifiche attività.
Tuttavia, la corsa a crescere di dimensioni ha dei limiti, come le acquisizioni ostili di istituzioni sistemiche. Sembrava che le operazioni di consolidamento fossero più facili per banche di secondo livello e a livello nazionale più che internazionale, soprattutto per motivi finanziari: la necessità di mantenere coefficienti di solvibilità e liquidità considerevoli e separati in ciascun Paese, le complessità normative relative all’ambito delle risoluzioni bancarie, l’incompletezza dell’Unione Bancaria Europea sul fondo di garanzia dei depositi e sinergie meno evidenti.
Una nuova ondata di M&A
Lo scorso settembre la banca italiana UniCredit è entrata sulla scena dell’M&A su larga scala acquisendo una partecipazione in Commerzbank. L’opposizione si è fatta rapidamente politica più che finanziaria, evidenziando le tensioni nazionalistiche come un ulteriore ostacolo alle fusioni transnazionali. Ritenendo che il suo progetto di M&A fosse nella migliore delle ipotesi posticipato viste le imminenti elezioni tedesche, a novembre Andrea Orcel ha puntato sulla banca italiana Banco BPM, appena 12 giorni dopo che quest’ultima aveva annunciato un’offerta di acquisto per la società di asset management Anima.
Da novembre, la corsa all’M&A in Italia è decollata: Crédit Agricole ha aumentato la sua partecipazione in Banco BPM. Banco BPM e Anima hanno congiuntamente aumentato la loro partecipazione in Monte dei Paschi di Siena. A gennaio Banca IFIS, specializzata in NPL, ha annunciato un’offerta di acquisto per la rivale italiana Illimity Bank, mentre Monte dei Paschi ha comunicato un’offerta di acquisto su Mediobanca. Quest’ultima è forse la più sorprendente, in quanto MPS è sempre stata un obiettivo sul mercato italiano. L’offerta, prontamente respinta, prevedeva un prezzo di acquisto ora inferiore al prezzo corrente di Mediobanca, inoltre MPS faceva riferimento a risparmi sui costi attraverso sinergie molto ottimistiche.
L’M&A ostile nel settore bancario è passato nel giro di pochi anni da tabù a norma. Negli ultimi dieci anni l’M&A bancario in Europa ha seguito le logiche dell’integrazione, con prezzi di acquisizione ragionevoli tuttavia è da vedere se tale disciplina verrà mantenuta in possibili future operazioni. La posizione attuale di Crédit Agricole con i suoi aumenti di capitale in Banco BPM è difensiva ma, a seconda dell’esito dell’offerta di acquisto di UniCredit, potrebbe toccargli un coinvolgimento maggiore o addirittura un ruolo di salvatore.
Infine, l’M&A può anche coinvolgere gli asset manager (AM), perché una banca può acquisire un AM attraverso la sua controllata assicurativa, il che le consente di ottenere un trattamento normativo favorevole (noto come il Compromesso Danese). Questo è il motivo per cui BNP Paribas sta per fondersi con AXA IM attraverso la sua controllata assicurativa Cardif. Lo stesso vale per Banco BPM e la sua offerta di acquisto per Anima. Se consideriamo anche la costituzione di una joint venture tra Generali e Natixis sulle attività di gestione patrimoniale o il fatto che Allianz sarebbe pronta a vendere tutta o parte di Allianz Global Investors, non c’è dubbio che le attività di asset management saranno al centro dei futuri movimenti di M&A da parte delle banche europee.
Il futuro delle banche e degli obbligazionisti
In un momento in cui la finalizzazione di Basilea III è in stallo e gli Stati europei continuano a ritirarsi dalle banche che hanno dovuto salvare dopo la crisi finanziaria globale, sono in preparazione altre manovre ed è prevedibile che i prezzi di acquisizione saranno più elevati. Il vantaggio del settore bancario è la sua forte regolamentazione e le autorità normative non permetteranno mai un buyout che indebolirebbe sostanzialmente i buffer di capitale in eccesso della banca acquirente.
Il grande rafforzamento degli standard di regolamentazione e vigilanza europei negli ultimi quindici anni ha permesso alle banche di utilizzare l’M&A per sopravvivere. Ora si intende consentire il mantenimento di un livello di redditività più elevato per compensare il previsto graduale calo dei margini di interesse netti in un momento in cui il divario di redditività con le banche statunitensi rimane evidente. I significativi surplus di capitale delle banche offrono maggiore flessibilità per gli obiettivi di acquisizione e potrebbero quindi portare a multipli di acquisizione più elevati. Se l’affidabilità creditizia pro forma delle entità combinate è generalmente facile da valutare, l’impatto a più lungo termine sulla redditività dipende in parte dalle sinergie che sono state sviluppate. Mentre questa questione di redditività riguarda principalmente gli azionisti e meno gli obbligazionisti, la reputazione di un emittente influenza anche il livello dei suoi spread obbligazionari, soprattutto in caso di decisioni finanziarie considerate imprudenti.
In qualità di gestori obbligazionari, le fusioni e acquisizioni hanno generalmente un impatto positivo sui rating finanziari di una società: le società con rating più basso tendono ad avvicinarsi alla società con rating più alto, che è spesso il soggetto acquirente. Le banche più grandi hanno generalmente un accesso più facile al mercato obbligazionario, soprattutto per le emissioni di debito subordinato, una facilità che potrebbe consentire l’emergere di nuovi emittenti. Infine, più grande è il bilancio di un emittente, più titoli additional tier 1 (AT1) sono in circolazione. Tuttavia, è più facile per una banca gestire il rifinanziamento di diversi AT1 su base continuativa piuttosto che averne in circolazione solo uno.
Riteniamo quindi che le banche più grandi tendano ad avere un miglior track record nell’esercizio delle opzioni di call AT1 e Tier 2 rispetto alle banche più piccole.
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