A cura di Janus, consulente strategico del mercato finanziario
La centralità del cliente è uno dei mantra più diffusi e talora stucchevole del mercato finanziario. Ormai è quasi scontato rimarcare che si lavora sulle “esigenze”, si ascolta, si sa essere empatici, sostenibili e così generosi da personalizzare. Questa evoluzione rende lieti e rasserenati. Per amor di precisione, ci sono tuttavia alcuni temi aperti, che piace considerare.
1) Assente dalla formazione Se il cliente è così centrale perché nei programmi della formazione obbligatoria finanziaria e assicurativa quasi non compare? Quale consulente ideale disegnano i regolatori? Un esperto di matematica finanziaria e di attuariato o un professionista che sia preparato sugli eventi di vita e le fasi di transizione delle famiglie alle quali prima o poi gli capiterà di rivolgersi?
2) Deduzione ed esecuzione La grande quantità di dati disponibili e la possibilità di elaborarli in tempo reale rendono possibile una personalizzazione dell’offerta efficiente e “uno a uno”. L’evoluzione tecnologica, infatti, consente di realizzare portafogli che prendono in considerazione ogni genere di obiettivi, tempi, rischi, atteggiamenti. Ne deriva che 5, 7 o anche 50 “portafogli modello” risultano poco rappresentativi di una popolazione di oltre 41 milioni di contribuenti. Teoricamente, il peso e la diffusione dei cosiddetti portafogli modello dovrebbero pian piano svanire ma la tendenza va in direzione opposta. In filosofia i modelli sono definiti come espedienti di conciliazione tra le deduzioni e il mondo reale. Sarebbe interessante, in questa prospettiva, avere trasparenza di quanto pesino oggi, nella costruzione dei portafogli modello, le deduzioni degli asset manager e quanto le singole necessità del mondo reale.
3) Mitologia enfatizzante Se, infine, il cliente è così centrale, perché la gran parte delle discussioni si rivolge alle normative europee, alle modalità di remunerazione, a come etichettare la propria consulenza (a proposito, cosa differenzia quella “base” da quella “evoluta”?) e al passaggio di mano di ingenti somme da clienti vecchi ai loro eredi invece che esaminare quante cose nuove e inattese avvengono durante la vita di un adulto? Oltre che i vecchi “private” e i loro giovani figli, quali modelli di servizio si dedicano specificamente ad adulti, donne, migranti, working poors, genitori separati? E, per fare solo un esempio, non andrebbe analizzata seriamente la differenza tra i boomer, che risparmiano ma non investono, e la generazione Z, che investe ma non risparmia? Insomma, la visione del cliente oscilla tra mitologia e banalizzazione, ma di rado lo rappresenta per quello che è: una persona normale, cangiante, spesso sola, immobilizzata dall’infobesità e spaventata da rischi che non conosce e che forse non vuole nemmeno considerare. Ci sarebbe da ragionare, progettare, creare. Ma finché al centro della città c’è sempre l’offerta, e la domanda viene lasciata girare in tangenziale, un vero e proprio incontro è difficile da ipotizzare.