MiFID, 12 mesi portati male

 
All’attivo metterei l’opportunità che la nuova normativa ha dato agli intermediari per una riconsiderazione degli aspetti procedurali e formali del collocamento: ragionare su come si fa quello che si fa è sempre importante e, nello svolgimento dei servizi finanziari, la parentela tra correttezza della forma ed etica della sostanza è stretta. Non che ritenga sempre utile una disciplina di dettaglio sugli aspetti formali dei rapporti giuridici, anzi. Tuttavia la necessità di rivedere la propria organizzazione e le proprie procedure per adattarle alla nuova normativa ha spinto gli intermediari a riconsiderare (e talvolta a rifondare) aspetti della loro esistenza che venivano dati per scontati. Il problema è che pochi ne hanno approfittato.
 
Sempre all’attivo credo che si dovrebbe iscrivere la nuova disciplina in materia di classificazione della clientela che, soprattutto nel nostro paese, ha avuto effetti benefici; in particolare ha portato alla definitiva cancellazione di quel pessimo articolo 31 (del regolamento intermediari previgente) contro il quale combatto su queste colonne (e non solo) sin dal luglio 2005.
 
Molto più numerose sono le poste passive del nostro rapido bilancio, ma una precisazione preliminare alla loro elencazione, è d’obbligo. Non si tratta in maggioranza, di peccati originali delle norme, ma del frutto di un’incapacità tutta italiana di intervenire davvero modificando le consuetudini e i rapporti di forza del settore per rinnovarlo ed eliminarne le storture. L’introduzione della MiFID, che non è certo un corpus normativo rivoluzionario, è stata l’ennesima occasione mancata per smuovere la terra intorno alle piante del mercato, dell’industria e della cultura finanziaria per dare forza a radici ancora troppo deboli e poter contare su un raccolto maturo e stabile.
 
Per esempio la consulenza in materia di investimenti è, nella declinazione oramai comunemente accettata dal mercato, una specie di burletta, un ombrellino di carta che si regala con il cocktail del prodotto finanziario, una lista di crocette messe su un foglio per poter vendere il prodotto che indica l’ufficio commerciale. Una banca, nemmeno tanto piccola, ancora oggi presenta ai suoi clienti le schede di adeguatezza predatate e precompilate sulla base dei criteri di adeguatezza necessari per l’operazione che essi richiedono, senza alcun tipo di informativa.

Quanto all’occasione di creare un ceto di professionisti della consulenza realmente liberi da conflitti di interesse mi pare che il brillante decollo dell’Albo sia sotto gli occhi di tutti; e così mentre venditori con la maschera girano per le case a “regalare” consulenze posticce, i clienti si chiedono perché pagare qualcuno che li assista dato che il promotore lo fa così bene e gratis.

Un altro aspetto pesantemente negativo è stato l’indecoroso ritardo con il quale tutti hanno reagito all’introduzione della normativa. Nessuno è esente da colpa. Il governo è arrivato all’ultimo momento e le autorità di vigilanza nemmeno ci sono riuscite (il regolamento intermediari – delibera 16190 – è stato pubblicato nel S.O. n. 222 alla Gazzetta Ufficiale n. 255 del 2.11.2007). Banche e intermediari nazionali ci hanno messo mesi a regolarizzare la loro posizione spesso procedendo per tentativi e operando, nel frattempo, in modo irregolare: vi sono banche che fino a maggio hanno ignorato l’obbligo di forma scritta per il contratto di collocamento o che hanno distribuito servizi patentemente non MiFID compliant. A mio modesto avviso non si tratta di un aspetto secondario: si tratta di un chiaro indizio del fatto che la nuova normativa è stata percepita da tutti come un fastidio e non come un’occasione di rinnovamento; proprio come farebbe un paese vecchio e incapace di slanci. Alla fine si perviene a una conclusione non particolarmente positiva. 
 
La MiFID ha cambiato poco nella sostanza, nonostante la carta che ha consumato. Del resto quello che sta accadendo mentre scrivo queste note (ovvero una crisi sistemica di imprevedibili dimensioni e conseguenza) certifica l’inutilità e la tardività di interventi regolatori in un settore che ha perso da tempo quei presidi etici e di buon senso che costituiscono l’antecedente fondamentale di qualsiasi sistema di regole. 


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