La trappola dei "consulenti bancari"

Ha ragione Arrigo Nano quando sostiene che si  possono “stabilire differenze tra promotori e consulenti  anche senza ricorrere ai conflitti di interesse.” Infatti il consulente, rispetto al promotore, ha l’obbligo della competenza senza la quale viene meno la ragione del suo esistere.

Ha ragione anche quando afferma che “i promotori e i consulenti indipendenti non vengono percepiti dall’utenza in modo contrapposto.” Ha ragione in quanto i risparmiatori italiani devono ancora compiere il percorso culturale necessario alla corretta distinzione tra “chi vende” e “chi consiglia”. Tuttavia, c’è da aggiungere che l’utenza che abbia, concretamente, sperimentato la Consulenza, diviene assolutamente capace di distinguere e comprendere quale sia il valore aggiunto del Consulente. Pertanto, ci vorrà del tempo, come per ogni fenomeno nuovo in fase di affermazione. Il fenomeno consulenza si sta affermando dimostrando di essere inesorabile.

Nano parla del “decollo” della consulenza finanziaria definendolo impossibile “se le banche non fanno la loro parte.” La nostra visione è quella anzidetta. Sappiamo che le banche e tutte le SIM di collocamento hanno già previsto, nell’elenco delle loro attività, l’attività di consulenza. Riteniamo che sarà impossibile, in capo al soggetto promotore, la convivenza dell’attività di collocamento e dell’attività di consulenza.

Noto è il fatto che, per il promotore, la consulenza sarà ridotta al rango di prodotto da vendere poiché la consulenza, come attività intellettuale, sarà accentrata negli uffici studi delle mandanti. In ciò sarà la trappola di questo nuovo ramo d’industria in ambito bancario: si passerà dalla fase euforica del promotore galvanizzato dalla consulenza, alla fase depressiva del promotore che realizzerà di essere, ancora, solo venditore di un valore intellettuale masticato da altri. A quel punto il “ramo” si spezzerà.

Vero è che la Banca D’Italia ha attribuito “un ruolo notevole alle banche nella diffusione della consulenza.” E’ vero e ne prendiamo atto. Deciderà il mercato se servirsi più spesso dei Consulenti puri o dei Consulenti bancari. Luca Mainò ha ragione e saranno i risparmiatori, nel tempo, a dimostrare che i conflitti di interesse non si superano se non alla condizione di eliminarli effettuando scelte di campo nette.

Riguardo alle “pretese di onnipotenza di ogni consulente”, di cui Nano parla c’è da osservare che, come noto, il Consulente esercita una professione di tipo meramente intellettuale; cosa vuol dire? Vuol dire che l’attività principale del Consulente è lo studio. Chi Studia, e studia spesso, al fine di acquisire competenze finanziarie da riversare sul cliente come valore, inevitabilmente, apprende e/o ricorda ciò che disse, molti secoli fa, l’immenso Socrate: “so di non sapere”.
La presunzione è degli ignoranti e, per definizione, i consulenti sanno.

Giannina Puddu
Presidente AssoFinance

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