di Ugo Bertone
Le traversie dell’euro e le piroette dell’Iva rapita via schede telefoniche hanno monopolizzato le attenzioni dei media al punto che pochi si sono accorti che i soliti noti hanno già messo nel mirino nuove speculazioni.
George Soros, in particolare, ha annunciato il 1° di marzo che Soros Fund Management, che amministra 25 miliardi di dollari, ha accresciuto del 152 per cento la sua esposizione nel più importante Etf specializzato in oro del pianeta, l’Spvd Gold Trust che detiene la bellezza di 1.107 tonnellate ovvero, nota l’agenzia Bloomberg, più delle riserve di Cina o Svizzera.
Non si tratta di una mossa isolata, visto che i quattro più importanti Etf specializzati nel metallo giallo, infatti, controllano ormai 1.583 tonnellate di oro: solo le banche centrali di Usa, Germania, Italia, Francia e il Fondo Monetario dispongono di riserve superiori.
Certo, la scommessa presenta i suoi rischi: il rally dell’oro, che ha toccato il suo massimo il 13 gennaio scorso ad una quotazione di 1.226,56 dollari l’oncia è stato frenato dalla ripresa del dollaro rispetto alle altre valute.
I prezzi sono scesi, infatti, fino a quota 1.117 all’inizio di marzo, senza per questo preoccupare più di troppo lo stesso Soros che, rispetto ai valori d’acquisto, conta comunque una plusvalenza nell’ordine del 21 per cento.
Ma, senza volerci preoccupare troppo del portafoglio di uno degli uomini più ricchi del pianeta, proviamo a chiederci se può aver senso, in questa congiuntura, puntare sull’oro. Può averlo, è la risposta, se si ritiene che le banche centrali, a partire dalla Fed e dalla Bce, saranno obbligate a mantenere basso il costo del denaro per molti mesi ancora.
In questo caso, il ragionamento di Soros fila: i tassi a livello zero o poco più favoriscono la creazione di nuove bolle finanziarie.
E dopo aver investito, in pratica, ogni tipo di asset, dal mattone alle azioni al petrolio fino alle commodities alimentari (vedi lo zucchero), lo tsunami finanziario non può che arrivare all’ultima spiaggia: “l’ultima bolla – spiega il finanziere filosofo che piegò la lira e la sterlina – non può che essere l’oro”, destinato secondo il consensus degli analisti, a superare quota 1.300 dollari l’oncia nel corso dell’anno, anche se non manca chi scommette addirittura su quota 2.000. Anzi, una volta tanto sembrano tutti d’accordo: Goldman Sachs, Barclays, Morgan Stanley prevedono nuovi massimi al rialzo per le quotazioni dell’oro, proprio sulla spinta dell’accumulo degli Etf, a loro svolta trainati dalla domanda dei privati, e dalla ripresa della domanda industriale, dopo un biennio di crisi.
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