Social housing per tutti

Il tema della casa è diventato una priorità dell’agenda governativa e non solo. Il Governo ha dato vita al piano nazionale di edilizia abitativa, sottolineando che è necessario “superare in maniera organica il degrado urbano derivante dai fenomeni di alta tensione abitativa” e che il piano ha la finalità di aumentare il patrimonio immobiliare abitativo, in particolare gli alloggi di edilizia residenziale.

La risposta al bisogno di casa degli italiani, quindi nel prossimo futuro avrà un nuovo nome: housing sociale. E’ questa la parola che rieccheggia nella bocca di tutti: operatori, player del mercato, associazioni di categoria. Tutti sembrano essersi accorti che l’edilizia residenziale ha bisogno di nuovi investimenti e nuove risorse.

L’Italia tra le grandi nazioni europee è quella con la più bassa percentuale di alloggi in “affitto sociale”, almeno secondo i dati della Commissione Europea, che evidenzia che soltanto il 4% dello stock abitativo è destinato all’affitto sociale, ma è anche il paese con il maggior numero di proprietari di immobili. Circa l’80%. Una grande contraddizione a prima vista, che necessità una riflessione.

Verrebbe da pensare che l’essere proprietari di casa, in Italia, possa rappresentare uno status. Che negli anni passati la maggiorparte delle famiglie abbia optato per l’acquisto dell’abitazione perché favorita da diversi fattori, prezzi degli immobili competitivi, tassi di interesse appettibili, facilità di accesso al mutuo per chi avesse delle buone garanzie. Tutti elementi che hanno irrobustito il mercato residenziale della compravendita e penalizzato quello dell’affitto.

Bisogna precisare inoltre che la liberalizzazione del mercato degli affitti che avrebbe dovuto sbloccare un mercato immobiliare troppo ingessato in realtà non ha sortito gli effetti sperati. Infatti non si è sviluppata dagli anni 90 in poi un’offerta consistente di abitazioni a canone concordato. Questo perché si è verificato una progressiva diminuzione dell’offerta locativa. I costruttori, in particolare, hanno privilegiato negli ultimi anni la realizzazione di immobili da destinare alla vendita visto che la situazione congiunturale caratterizzata da affitti elevati e tassi di interesse bassi ha favorito il mercato della compravendita. Tanto che, secondo lo studio elaborato da Scenari Immobiliari, la percentuale di inquilini privati diminuisce dell’1% circa all’anno.


E ora invece che le condizioni congiunturali sono differenti l’affitto sembra essere tornato di moda. Vuoi perché le rate dei mutui continuano a crescere, vuoi perché le esigenze abitative sono differenti, maggiore mobilità urbana, immigrazione, nuovi nuclei famigliari ecc. Allora a questo punto si rende necessario realizzare una politica della casa seria. Ricordandosi che il social housing è uno strumento che se utlizzato correttamente può stabilizzare il mercato immobiliare residenziale nel suo complesso.

Sarebbe interessante dare vita a delle collaborazioni tra pubblico e privato che incentivino anche l’industria immobiliare a investire nel settore residenziale. In questo modo non ci sarebbe nessun ulteriore aggravvio a danno del bilancio pubblico e si rilancierebbe il mercato residenziale sotto altri punti di vista.

[s]Assoimmobiliare[/s], ad esempio, ha studiato un modello interessante. Grazie ai veicoli di investimento immobiliare già disponibili, ossia fondi immobiliari e SIIQ, si prevede che, dopo 25 anni, le case vengano vendute ad inquilini prima casa (per rispettare il vincolo della fiscalità prima casa) o vengano rilevate da un altro investitore istituzionale in blocco e sempre con un predeterminato rendimento. “Questo modello – ha precisato [p]Gualtiero Tamburini[/p], presidente di Assoimmobiliare – è volto a ricreare le condizioni perché gli investitori istituzionali possano tornare ad investire in abitazioni. Oggi, infatti, tali soggetti (assicurazioni, casse di previdenza, fondi pensione, fondi immobiliari, property company, ecc.) sono del tutto assenti dal settore.

Un buon suggerimento.

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