Promotori e consulenti al centro delle strategie previdenziali

In materia di pensioni si è soliti considerare con molta attenzione l’aspetto relativo all’accumulo del capitale. In maniera semplicistica si valuta lo stesso in un’ottica di semplice rendita futura. Questo modo di rapportarsi alla problematica è piuttosto erroneo in quanto trascura le specificità delle pensioni complementari rispetto alla pensione di primo pilastro e impone la creazione di una rendita di fonte complementare da sommare a quella già costituita dalla pensione pubblica, con i medesimi limiti e vantaggi. Serve, insomma, più attenzione alla fase dell’erogazione del capitale.

A tal riguardo Efama (European Fund and Asset Management Association) ha presentato uno studio intitolato “Ripensare le strategie previdenziali: come assicurare prospettive migliori per i futuri pensionati”, che analizza le possibili modalità di impiego, al momento del pensionamento, del capitale accumulato durante la propria vita lavorativa. Emerge un interessante dato: a differenza di quanto comunemente consentito dalla normativa che impone la conversione in rendita, la migliore strategia consiste nell’investimento di almeno una porzione del patrimonio previdenziale in azioni all’inizio del periodo di pensionamento, a cui dovrebbe far seguito un graduale trasferimento verso l’investimento obbligazionario e la rendita. Tale strategia, infatti, consentirebbe ai pensionati di raggiungere un più elevato e stabile livello di spesa durante l’intero periodo di decumulo rispetto a quanto si ottenga con la trasformazione in rendita dell’intero capitale al momento del pensionamento. Inoltre una maggiore soddisfazione potrebbe derivare dalla maggiore flessibilità e autonomia nell’utilizzo delle proprie risorse e la possibilità di lasciare una eredità.

Il “paternalismo” è un atteggiamento fin troppo adottato dal regolatore pubblico. Un ripensamento del sistema previdenziale, stando allo studio di Efama non può prescindere dalla valutazione di alcuni punti fondamentali. Innanzi tutto l’obbligo di conversione immeditata e per l’intero capitale in rendita non consente all’individuo la flessibilità per determinare il profilo di rischio rendimento che più si addice alla sua specifica situazione patrimoniale e alle sue preferenze rispetto al rischio. In secondo luogo qualora si decidesse di favorire la conversione obbligatoria in rendita, il limite di età per tale conversione dovrebbe essere prossimo agli 85 anni, in modo da raggiungere un equilibrio tra l’obiettivo di assicurare un livello più elevato di pensione e proteggere i pensionati dal rischio di longevità (ovvero la sopravvivenza ai propri risparmi). Una situazione decisamente poco comoda.

In conclusione per Efama, serve una normativa che consenta la coerenza tra esigenze di massimizzazione del benessere del pensionato e protezione dal rischio di longevità consentirà ai gestori del risparmio di rispondere alla domanda proveniente dal mercato per soluzioni alternative alla trasformazione in rendita dell’intero capitale, integrando al meglio quanto offerto dal sistema di pensione pubblico con il sistema previdenziale complementare. Cose già note, ma vale sempre la pena ricordarle.

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