Fondi comuni – A rischio la qualità della gestione

Analizzando il mondo del [a]risparmio gestito[/a], una prima distinzione è data dai prodotti a gestione attiva (fondi comuni, fondi pensione, sicav e polizze) e quelli a gestione passiva (Etf, Etc e certificati). Nonostante il forte sviluppo di Etf ed Etc, per i quali vi sono autorevoli previsioni di ulteriore crescita, i prodotti a gestione attiva continuano a superare abbondantemente quelli a gestione passiva, nella diffusione presso i risparmiatori retail italiani ed europei; le ragioni sono diverse, ma fra tutte quella predominante sembra essere la dipendenza del canale distributivo dalle case prodotto, elemento che porta a privilegiare i prodotti interni al gruppo ad elevate commissioni, anche a fronte di una teorica architettura aperta adottata dall’istituto, che consentirebbe l’individuazione dei migliori strumenti disponibile sul mercato.
 

La logica sottostante la gestione attiva è quella di offrire un prodotto in grado di sovraperformare gli indici, attraverso un’attività di analisi e ricerca dei mercati, che permette di scegliere i titoli migliori, il giusto timing di acquisto e vendita, ed il livello di liquidità di portafoglio più appropriato.
Confrontando le performance registrate sui diversi mercati, possiamo osservare come solo alcuni prodotti a gestione attiva riescano effettivamente a battere quelli a gestione passiva, sfruttando le inefficienze di mercato e generando extra profitti, al netto dei costi sostenuti per l’attività di analisi, tuttavia buona parte dei prodotti a gestione attiva risulta ampiamente sotto il livello del benchmark.
 

La crisi in atto ha colpito non solo le banche ma anche le società di gestione, che a seguito dei crolli dei mercati hanno visto ridursi drasticamente le masse gestite e di conseguenza le commissioni percepite; i titoli delle case indipendenti sono stati oggetto di fortissime vendite, mentre le società legate a gruppi finanziari non sono riuscite a sottrarsi ad una generale ridefinizione dei processi in atto, e per entrambe il rischio potrebbe essere quello di un ridimensionamento dei costi destinati alla ricerca ed in ultima analisi della qualità della gestione.
 

I principali player internazionali sembrano tuttavia aver optato per una ridefinizione della struttura dei costi, senza ripercussioni sull’attività di ricerca;  “Considerando le attuali condizioni del mercato, Legg Mason ha registrato alcune difficoltà con la quotazione del proprio titolo, un problema che molti gestori hanno dovuto affrontare. Riteniamo di avere la necessaria flessibilità per risolvere questi problemi, anche in una situazione di mercato così delicata. Negli ultimi mesi ci siamo mossi aggressivamente per ridurre la nostra base di costi, considerando la volatilità in crescita nei mercati finanziari, e abbiamo la flessibilità finanziaria e operativa per prendere ulteriori provvedimenti qualora le condizioni lo giustificassero. Questi provvedimenti non hanno avuto effetto sulla nostra capacità di servire i clienti, di permettere alle società di gestione del gruppo di fare quello che fanno meglio – gestire il denaro e continuare a lavorare con i partner e competere per  incrementare gli asset in tutto il mondo”, rassicura Maurizio Ceron, Director of business development di Legg Mason per l’Italia, un delle più importanti società di gestione indipendente al mondo.
 

A fronte della solidità dichiarata dalle grandi case di investimento, è probabile che assisteremo nei prossimi mesi ad un processo di fusione tra le società di gestione che hanno perso le masse utili per generare una profittevole attività di asset management, sulla base di quanto sta avvenendo in Francia tra Credit Agricole e Societe Generale.
 

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