Risparmio gestito – Inflazione? No grazie

Nel corso dei prossimi anni, la crescita del deficit pubblico porterà ad un incremento del debito globale ad un ritmo che raramente si è riscontrato durante in “periodi di pace”. Il prezzo dei salvataggi finanziari può anche essere sommato al costo dei piani di stimolo adottati similmente dalla gran parte dei Paesi e all’effetto meccanico connesso al deterioramento delle condizioni economiche della salute delle finanze pubbliche. Nella zona euro, entro il 2010 il debito pubblico potrebbe incrementarsi di circa 12 punti sul PIL, e le previsioni raddoppiano per quanto riguarda la situazione negli USA. Inoltre, c’è solo una modesta probabilità di ripresa economica: ogni speranza di un ritorno ad una costante crescita economica potrebbe essere stroncato da un prematuro ribilanciamento dei bilanci.

Tentazioni inflazionistiche I piani implementati dai vari Governi, nel tentativo di sfuggire alla spirale del debito, potrebbero non generare un rischio inflazionistico? Questa classica soluzione è basata su una logica alquanto semplice. A condizione che le finanze pubbliche, esclusi gli interessi passivi, siano in equilibrio, le fluttuazioni nel livello di debito pubblico dipendono dal differenziale tra il tasso di crescita economica e i tassi di interesse. Il debito si alimenta con gli interessi ma diminuisce naturalmente con la crescita economica, in quanto il gettito fiscale è direttamente connesso alla creazione di ricchezza. Se la crescita deriva da un effettivo incremento dell’attività economica reale o da un effetto inflattivo, non c’è alcuna differenza. In mancanza della capacità di “riaccendere” una crescita sostenibile, i governi potrebbero cedere a tentazioni inflazionistiche. Alcuni osservatori credono che tali tentazioni siano già state superate e che le stiamo già testando In effetti la Fed ha attuato un politica monetaria espansiva mai sperimentata prima, quasi triplicando la dimensione del proprio stato patrimoniale nel corso di un singolo anno. Ha infatti pianificato di acquistare 2.500 miliardi di USD di securitized loan nei prossimi mesi finanziato grazie ad un’ulteriore nuova emissione monetaria. Inoltre l’annuncio a fine marzo dell’intenzione di acquistare obbligazioni governative per un controvalore pari a 300 milioni di USD è un segnale di un percorso di monetizzazione del debito pubblico.

Le Banche Centrali giocano un ruolo nello stabilire la stabilità dei prezzi In primo luogo, un’iniezione di liquidità non è sufficiente per creare inflazione sebbene sia certamente uno strumento per incrementare la base monetaria, senza alcun diretto riscontro nell’offerta creditizia. In tali condizioni infatti questa rinnovata disponibilità monetaria non ha la capacità di favorire la domanda di beni e servizi. Comunque per creare inflazione, deve aumentare la domanda, ma si deve anche superare la capacità produttiva a disposizione: un rapido incremento del tasso di disoccupazione o una consistente sovracapacità produttiva significherebbero un’elevata probabilità che pressioni inflazionistiche si possano manifestare entro la fine del prossimo anno. Inoltre in molti Paesi, in particolare Europa e USA, le Banche Centrali sono divenute indipendenti con un ruolo fondamentale nell’assicurare la stabilità dei prezzi. Sebbene la Fed abbia deciso di “rastrellare” titoli del debito pubblico, l’intenzione non è certo quella di accelerare velocemente la crescita dei prezzi, quanto piuttosto, quella di allontanare una spirale deflattiva: tagliando i tassi e agendo direttamente sul livello dei tassi di interesse ipotecario, la Fed sta semplicemente cercando di contenere la caduta delle quotazioni del mercato immobiliare e di stabilizzare la crescita. Se l’attività economica dovesse riprendersi negli USA, se le famiglie e le imprese riprendessero ad accedere al debito, c’è una buona probabilità che la Fed ritragga la liquidità in eccesso con la stessa velocità con la quale è stata immessa: innalzando i tassi di interesse contestualmente al non rinnovamento dei prestiti a breve termine e rivendendo tutti i titoli di debito acquistati. La gestione di questo periodo di transizione non è certo semplice, ma la conservazione di una certa credibilità costruita nel corso del tempo dipenderà da questo successo e la sfida consisterà nell’individuazione delle corretta tempistica per revocare gli stimoli monetari evitando in tempo le spinte inflazionistiche.

L’inflazione non è la soluzione. Il ritorno all’inflazione non è un’ipotesi da scartare a priori, anche se una tale situazione potrebbe avere delle conseguenze ancora più catastrofiche di quelle che si sta cercando di evitare. Data l’improbabilità che l’inflazione possa derivare da un’ “accelerazione” dell’economia reale, l’unico rischio attuale deriva da una perdita di fiducia e successiva svalutazione valutaria conseguente alla generale percezione di un’eccessiva monetizzazione del debito in un contesto dove le Banche Centrali, rinunciando all’obiettivo di stabilità dei prezzi, perderebbero la loro indipendenza. Il collasso nella domanda di valuta provocherebbe quindi una crisi inflazionistica e l’opzione di creare “inflazione” in questo modo sarebbe, tuttavia, un suicidio. Il palesarsi di una situazione inflazionistica sarebbe poi accompagnato da un improvviso e repentino inasprimento dei tassi di interesse che velocemente soffocherebbero la crescita, il debito pubblico potrebbe velocemente aggravarsi e le conseguenze economiche di un rallentamento infiammerebbero l’inquietudine sociale. Il ritorno all’inflazione è certamente possibile ma il pericolo sarebbe immaginare che possa fornire ai governi una soluzione pacifica al problema del debito.

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