Bnp Paribas Ip: reflazione di fine ciclo, effetti positivi per le azioni?

SCETTICISMO IN AUMENTO – I mercati azionari hanno tirato il fiato, forse in attesa di nuove conferme dell’avvio della fase di reflazione che dovrebbe caratterizzare i prossimi mesi. In ogni caso i mercati obbligazionari hanno mostrato maggior scetticismo, spiega Joost van Leenders, chief economist del team Multi asset solutions di Bnp Paribas Ip. Infatti, dopo dicembre i rendimenti decennali sono rimasti sostanzialmente invariati e negli ultimi tempi hanno fatto segnare una lieve flessione. In questo contesto incerto, le obbligazioni societarie si sono comportate bene registrando un calo dei rendimenti e una complessiva riduzione degli spread.

ASPETTANDO NUOVE CONFERME SULLA REFLAZIONE – I primi segnali di reflazione possono essere chiaramente ravvisati in una serie di indicatori. I prezzi alla produzione in Cina sono aumentati, da una contrazione del -5,9% su base annua registrata nel dicembre 2015 al +6,9% del gennaio di quest’anno, riflettendo in parte la correlazione tradizionale con gli andamenti dei prezzi delle materie prime. Tuttavia adesso pare che in Cina i prezzi alla produzione siano saliti oltre i livelli suggeriti dalle quotazioni delle materie prime, sottolinea van Leenders. Tale andamento potrebbe essere riconducibile sia a effetti base (bassa inflazione di un anno fa) sia all’inflazione elevatissima nei settori che fanno ampio uso di materie prime, ma crediamo si tratti di segnali di reflazione. In Corea del Sud, i prezzi alla produzione e all’esportazione – meno sensibili ai rincari delle materie prime – sono passati dalla deflazione all’inflazione, mentre nella zona euro e negli USA i prezzi alla produzione hanno iniziato a salire. In teoria, l’aumento dell’inflazione è positivo per i titoli azionari poiché consente alle aziende di alzare i prezzi di vendita, i margini e quindi i profitti. Invece, il rialzo dei rendimenti obbligazionari potrebbe avere un effetto frenante sulle azioni rendendole meno appetibili. Riteniamo però che, in base alle serie storiche di tale correlazione, al momento i rendimenti obbligazionari siano troppo bassi, riflettendo le elevate incertezze relative a geopolitica, crescita e inflazione.

REFLATION TRADE: SCOMMESSA GIÀ SCONTATA DAI MERCATI  – Nei mesi scorsi i mercati hanno ampiamente scontato il cosiddetto “reflation trade”, consentendo alle azioni di progredire nelle principali aree economiche e facendo crollare gli spread ai livelli più bassi dopo la crisi finanziaria. Tuttavia, val la pena di rilevare che gli spread sulle obbligazioni societarie investment grade europee si sono ampliati a causa dei timori di ridimensionamento degli acquisti di attivi da parte della BCE, aggiunge van Leenders. Riteniamo che il reflation trade dovrà affrontare parecchie turbolenze, a cominciare dal fatto che sia già stato scontato. La seconda incognita è che i prezzi al consumo non sono saliti dappertutto. Negli USA, ad esempio, i prezzi alla produzione core (al netto di beni alimentari ed energia) hanno registrato incrementi modesti, mentre i prezzi al consumo sono rimasti sostanzialmente stabili per oltre un anno. Nell’area euro i prezzi al consumo core sono cresciuti meno dell’1% per dieci mesi consecutivi, mentre la BCE ha lasciato trapelare l’intenzione di ignorare l’impatto temporaneo del rincaro dei prezzi dell’energia sull’inflazione complessiva. I salari stanno appena cominciando a salire negli Stati Uniti, ma gli incrementi sono molto più bassi di quanto potrebbe suggerire la vivacità del mercato del lavoro. Infine, l’accelerazione dei prezzi al consumo che si registra attualmente è riconducibile soprattutto al rincaro delle materie prime, e questo tipo di inflazione non porta vantaggi ma aumenta solo i costi per le imprese e le famiglie.

REFLAZIONE DI FINE CICLO: EFFETTI POSITIVI PER LE AZIONI? – Al netto dell’inflazione, i salari hanno registrato aumenti molto lievi negli USA e in Giappone, mentre a febbraio la fiducia dei consumatori si è indebolita sia negli Stati Uniti sia nell’eurozona (partendo però da livelli elevati), rimarca van Leenders. Ad ogni modo, bisognerà tenere sotto controllo eventuali effetti negativi del rincaro dell’energia sulla spesa al consumo. Il rapporto tra azioni e tassi/rendimenti in questa fase del ciclo potrebbe registrare un andamento diverso dal solito. Generalmente, le azioni salgono quando la Federal Reserve alza i tassi di interesse nelle prime fasi del ciclo economico in quanto l’aumento dei profitti compensa ampiamente la compressione del rapporto prezzo-utili. Tuttavia, al momento il ciclo degli Stati Uniti è in fase avanzata e pertanto dovrebbero esserci margini più ridotti per l’espansione dei profitti. Le incertezze di natura politica sono ancora rilevanti. Negli Stati Uniti, questa settimana il presidente Trump svelerà i suoi piani in materia di spesa pubblica, ma resta da vedere quanti dettagli verranno forniti, se il Congresso approverà un ingente ampliamento del deficit e se saranno annunciate eventuali misure protezionistiche. Per il momento pare che i piani di investimento per le infrastrutture siano stati rinviati al 2018. In Francia, il candidato indipendente alle elezioni presidenziali Emmanuel Macron ha guadagnato consensi aumentando le sue probabilità di arrivare al ballottaggio. Lo spread sui titoli di Stato francesi rispetto a quelli tedeschi si è ridotto, anche se i differenziali in Francia, Italia e Spagna si attestano su livelli ancora lievemente superiori rispetto agli ultimi mesi.

FEDERAL RESERVE: RIALZO DEI TASSI PROBABILE A MARZO? – Nel dicembre scorso, la media delle stime relative ai tassi sui Fed fund dei membri del comitato di politica monetaria – invariata da diversi anni a questa parte – è salita di 25 punti base, attestandosi a quota 1,375% alla fine del 2017, fa sapere van Leenders. L’attuale livello dei tassi sui Fed fund – che si collocano tra lo 0,50% e lo 0,75% – implicherebbe tre rialzi dei tassi nel corso dell’anno.<0} La banca centrale USA non ha comunicato il calendario di questi incrementi ma, alla luce della crescita stabile e del graduale calo della disoccupazione, riteniamo che non avrebbe senso per la Federal Reserve arrestare i rialzi dei tassi nel primo semestre per poi accelerare la stretta nella seconda parte dell’anno. Naturalmente si tratta di previsioni che possono ancora variare. Nell’ultima parte del 2015 la Federal Reserve sembrava intenzionata a effettuare quattro rialzi e alla fine ne fece solo uno. Inoltre, la dispersione delle previsioni tra i membri del FOMC è molto significativa. I due membri più favorevoli a politiche espansive prevedono un solo aumento dei tassi, mentre quello più favorevole a misure di inasprimento prevede che i tassi sui Fed fund saliranno sino al 2,125% entro la fine dell’anno. Le politiche della Federal Reserve restano dipendenti dai dati dell’economia reale, ma di recente la banca centrale ha adottato toni più restrittivi. Il presidente della Federal Reserve Janet Yellen ha dichiarato al Congresso che un’attesa troppo lunga prima di riassorbire le misure espansive sarebbe poco avveduta in quanto potrebbe rendere necessario un brusco rialzo dei tassi con il rischio di perturbare i mercati finanziari e spingere l’economia in recessione. Yellen ha lasciato chiaramente intendere che la tempistica dell’inasprimento sarà esaminata nelle prossime riunioni di politica monetaria. Questo non significa automaticamente nel prossimo appuntamento di marzo ma tale eventualità pare verosimile.

FEDERAL RESERVE: ATTESE PER LA TEMPISTICA DEI RIALZI – In breve, la Federal Reserve sta riscontrando progressi sufficienti in materia di inflazione e disoccupazione tali da giustificare una nuova stretta monetaria. La banca centrale intende inasprire i tassi al fine di recuperare il controllo del tradizionale strumento rappresentato dalla modulazione dei Fed fund e riacquistare la consueta flessibilità monetaria. I prezzi dei future sui Fed fund indicano una probabilità del 40% di un rialzo dei tassi a marzo, spiega van Leenders. Questa percentuale potrebbe sembrare bassa per consentire alla Federal Reserve di operare in tranquillità, ma agli occhi dei mercati la rilevanza della riunione di marzo del FOMC è sicuramente aumentata. È interessante notare che i toni più restrittivi della Federal Reserve non sono riusciti a intimorire i mercati azionari. È vero che il rialzo degli indici ha segnato il passo dopo l’audizione della Yellen davanti al Congresso e la pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione del FOMC ma si è trattato solo di una pausa. Forse i mercati ritengono che ciò sia una riprova del reflation trade e che la correlazione positiva tra i rialzi azionari e i tassi dei Fed fund all’inizio del ciclo di inasprimento troverà conferma anche stavolta. Inoltre, la solidità dei mercati azionari è stata corroborata anche dal ristagno dei rendimenti dei titoli di Stato. Perché i rendimenti non hanno reagito? Gli investitori sono più preoccupati che l’economia non sia in grado di reggere un rialzo dei tassi? In effetti, negli ultimi tempi le banche sono state più caute nel concedere prestiti a famiglie e imprese e di conseguenza l’espansione del credito ha frenato.

ALLOCAZIONE DEGLI ATTIVI: PRUDENZA SULLE AZIONI – Deteniamo una posizione sottopesata nel comparto azionario, poiché riteniamo che le quotazioni siano su livelli leggermente troppo alti, e siamo restii a condividere l’ottimismo dei mercati sulle prospettive reddituali delle imprese. Abbiamo coperto il rischio di un mancato guadagno in caso di un’accelerazione di crescita e inflazione acquisendo una posizione sovrappesata nel settore immobiliare europeo rispetto ai titoli di Stato dell’eurozona. Infine, deteniamo delle posizioni sottopesate nel segmento delle obbligazioni societarie high yield USA, nel debito emergente denominato in USD e nel comparto delle materie prime, conclude van Leenders.

 

 

 

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