2010, Brasile in pole position

di Ugo Bertone

Se i mercati finanziari non hanno perso la capacità di saper anticipare i grandi trend dell’economia, i segnali giunti dal 2009 anticipano una svolta storica. A giudicare dall’andamento dei listini, infatti, spicca la capacità dei Paesi Emergenti di emanciparsi per la prima volta dalle grandi piazze occidentali: i listini di Brasile, Cina e Russia hanno chiuso l’anno con una crescita borsistica a tre cifre mentre l’India, cresciuta “solo” dell’80% abbondante, ha comunque registrato un’ascesa tre volte superiore a quella dei listini dell’Ovest. Ma non è solo questione di performance.
Nel corso dell’anno è cresciuto il peso delle piazze asiatiche a scapito di Londra, cui non ha certo giovato l’atteggiamento dell’Unione Europea nei confronti degli hedge fund. I grandi creditori degli Usa, poi, hanno limitato lo shopping negli States, a differenza di quanto fecero i giapponesi negli anni Ottanta, ma hanno sviluppato relazioni tra di loro “saltando” il partner americano, come dimostra lo stretto legame tra Brasile e Cina piuttosto che i primi, timidi, tentativi di emancipare le transazioni sul greggio dalla moneta Usa.
Anche l’India ha svolto un ruolo da protagonista, grazie ad un acquisto “storico” di oro dal Fondo Monetario che ha contribuito a proiettare stabilmente sopra quota mille le quotazioni del metallo giallo.
La Cina può ora vantare una serie di primati quasi impensabili solo pochi mesi fa: quattro tra le prime dieci banche del pianeta; Petrochina ha superato, per capitalizzazione, ogni altra corporation; le Borse di Hong Kong, Shangai e Shenzhen hanno ospitato più Ipo, per importo e numero di matricole, dell’intero mercato europeo. Colossi come Hsbc hanno già annunciato l’intenzione di traslocare da Londra per trasferirsi nella piazza di Hong Kong. Negli ultimi dodici mesi, poi, la frana del dollaro ha provocato fenomeni nuovi, per certi versi sorprendenti.
È stato il Brasile di Lula a introdurre per primo misure valutarie per frenare l’afflusso di capitali dall’estero: l’esatto opposto di quanto, a scadenza periodica, i ministri delle finanze carioca hanno dovuto fare per più di mezzo secolo per frenare l’emorragia di ricchezza verso gli Usa o i paradisi fiscali.
Ora, misure del genere sono allo studio in altre Paesi, a partire dalla Cina impegnata in un aspro braccio di ferro per non rivalutare la moneta. Ma adesso? Certo, il passaggio del testimone da Ovest ad Est (oltre a quello, non meno importante, tra Nord e Sud) non è un fenomeno che possa esaurirsi nel giro di una stagione: non costa grossa fatica, perciò, consigliare di accrescere la percentuale di investimenti da destinare verso le aree emergenti.
Ma, si sa, in Borsa non esistono trend lineari, immuni da crisi o correzioni. In particolare, la Cina merita qualche precauzione: dietro il boom c’è un eccesso di liquidità che ha già investito il mercato finanziario.
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