Siamo Bond(s), Corporate Bonds

di Giuseppe G. Santorsola

I fenomeno di punta di questi ultimi mesi nei mercati finanziari risultano essere le obbligazioni delle società per azioni (corporate bonds). La loro emissione, il relativo collocamento, la negoziazione sui mercati secondari e la valutazione del rischio-rendimento esprimono combinazioni ricche di interesse. Merita attenzione anche il fatto che la domanda moltiplichi il valore dell’offerta, come nel caso Enel, in una congiuntura come quella attuale. Esperienza particolare poiché rivolta al pubblico e non al consueto mercato degli istituzionali come suggerito nel recente passato dalle normative introdotte dalla Legge 262/2005. Tale contesto si contrappone a quello di anni precedenti, nei quali le corporate bonds hanno offerto situazioni difficili con default che avrebbero potuto influenzare negativamente la valutazione dello strumento. Al contrario, il basso livello dei tassi di interesse benchmark dei titoli di Stato ha reso appetibili le corporate bonds emesse anche da grandi e reputate aziende con spread che hanno riproposto cedole dal valore un tempo abituale, ma oggi introvabili se non su vecchi titoli a prezzi di mercato elevati. È bene ricordare inoltre che le obbligazioni sono strumento di copertura del fabbisogno abituale nel mercato anglosassone, ma assai poco frequente nel passato dei mercati italiani. Il dialogo in materia non è quindi abituale e si riconduce addirittura agli anni ‘60 quando molte imprese pubbliche sollecitaranno il risparmio popolare (Enel, Eni, Crediop, Autostrade, Opere Pubbliche e FF.SS.). L’Enel fu anche la prima nel 1974 ad offrire un tasso variabile, costoso per lei ma vantaggioso per il mercato. Nel contempo peraltro le imprese private erano quasi assenti, oppure offerenti strumenti rischiosi, mentre alle banche commerciali lo strumento restò vietato fino al 1994 (ovviamente con la eccezione delle banche di mediocredito e delle sezioni speciali invece ben presenti). Teniamo conto che molti soggetti un tempo pubblici sono oggi emittenti corporate anche se nel settore delle utilities. Se poi consideriamo che gli italiani sono invero un caso anomalo in quanto a propensione verso i bond, strumento altrove riservato quasi esclusivamente ai fondi ed agli istituzionali, il contesto è peculiare e non replicato donando rarità alla recente offerta Enel in Eurolandia. Ma analizziamo alcuni profili:
– il bond è un titolo con obbligo di restituzione del capitale, il tempo quindi fa maturare tale attesa, mentre la frequenza e l’ammontare delle cedole diminuisce la duration finanziaria e la potenziale volatilità;
– non è più tempo di emissioni a lungo termine (20/30 anni) il che accentua la natura protettiva degli investimenti e ne limita l’ambito di volatilità potenziale. Il nuovo orizzonte medio si configura tra i 5 e i 10 anni ben gradito al risparmio popolare, meno a debitori impegnati in investimenti strutturali;
– le ultime emissioni appaiono limitare la loro natura strutturata a poche alternative rispetto al recente passato, anche se non vi è ancora un pieno ritorno alle formule plain vanilla; la tecnica algebrico-matematica come strumento di marketing appare al momento fuori moda;
– lo spread attuale delle cedole delle corporate bonds è decisamente elevato rispetto alle proporzioni del passato; da un lato perché il rendimento benchmark è basso, dall’altro perché in tal modo si attraggono risparmi con combinazioni rischio-rendimento comunque attraenti;
– un caso a parte (potenzialmente rischioso se direzionato verso il pubblico risparmio) è quello delle corporate bonds high yield e a basso rating, cui peraltro la concorrenza degli emittenti migliori funge da utile sponda per frenarne uno sviluppo poco controllato; non a caso il loro appeal era maggiore qualche mese fa;
– gli emittenti di corporate bonds sono peraltro in prevalenza le società gerenti utilities e le maggiori holding industriali; ancora una volta resta poco spazio per emissioni “corporate” promosse da società medie e minori e realmente “industriali”.

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