La scelta non banale

di Emanuele Carluccio

Si è più volte dimostrato, in alcuni precedenti contributi, che i driver di valore nell’ambito del servizio di consulenza finanziaria alla clientela privata consistono nelle quattro attività in cui può essere schematicamente scomposto il processo di investimento: (1) la scelta delle asset class con cui comporre i portafogli strategici; (2) la costruzione dei portafogli efficienti espressi in termini di asset class e, quindi, di benchmark; (3) l’abbinamento dell’investitore ad uno o più dei portafogli efficienti sulla base della sua personale propensione/tolleranza al rischio e in funzione dell’orizzonte temporale che caratterizza il/i suo/i obiettivo/i di investimento; (4) la scelta dei prodotti (fondi, Sicav, ETF o, più semplicemente, titoli) con cui costruire materialmente i portafogli. In questo contesto, ci si vuole soffermare sull’ultima fase ora indicata in quanto spesso viene data per scontata o considerata di semplice implementazione mentre in realtà merita una particolare attenzione. Si può facilmente argomentare, infatti, che un’errata selezione del mix di strumenti/prodotti può compromettere la performance del portafoglio, definito in sede di asset allocation strategica, almeno quanto un’errata previsione degli input (rendimenti, rischi e correlazioni) che sono alla base della definizione stessa dei portafogli modello. Nel procedere alla selezione dei prodotti si deve partire dal presupposto che l’investitore desideri, in primo luogo, centrare gli obiettivi di investimento strategici – replicando, pertanto, nel modo più fedele possibile l’asset allocation target – per poi, eventualmente, tentare di conseguire un differenziale positivo di performance rispetto al portafoglio di riferimento scegliendo un mix ideale di gestione passiva, gestione a rischio attivo controllato e gestione attiva. Mentre si è discusso in altra sede sulle logiche e sulle metodologie alla base della scelte dei diversi stili di gestione da implementare sui diversi comparti/mercati in funzione, prevalentemente, del loro relativo grado di efficienza, quello su cui ci si vuole soffermare in questa sede sono le logiche che devono guidare la traduzione di un portafoglio espresso in benchmark in un mix di strumenti/prodotti. In tutte le circostanze, infatti, in cui si vuole fare ricorso a prodotti di risparmio gestito non potendo dare per scontato che esista una relazione biunivoca fondo – asset class (in quanto nessun fondo risulta investito al 100% in una sola asset class), ci si deve interrogare su come fare in modo che il mix dei prodotti restituisca una composizione di portafoglio in linea con l’asset allocation che si intende replicare.

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