Risparmio gestito – Grazie al “salvaeuro” i mercati respirano

Il copione recitato nel weekend a Bruxelles dai ministri finanziari dell’Unione per il salvataggio dell’Euro, preceduto dal crollo dei mercati di venerdì e seguito dal recupero odierno, ricorda un po’ il weekend di inizio ottobre del 2008 in cui il Piano Paulson dell’allora segretario al Tesoro USA Henry Paulson, salvò le banche – e il mondo – da un’imminente catastrofe finanziaria. Mentre col Piano Paulson i 700 miliardi di dollari previsti dovevano servire a comprare i titoli spazzatura legati ai mutui immobiliari con decisione arbitraria ed esecutiva del Tesoro americano, il piano per l’Euro-salvataggio prevede invece una moltitudine di soggetti (la BCE, il FMI, i singoli stati dell’eurozona come prestatori di fondi e come usufruitori) che dovranno agire in modo coordinato a sostegno del debito pubblico di diversi paesi (non ancora definiti) che potrebbero essere attaccati dalla speculazione. L’ accordo dell’Ecofin suona più come una dichiarazione d’intenti che come una misura concreta e definita, ma agli occhi dei mercati finanziari spesso è sufficiente manifestare le intenzioni: del resto andare a guardare le carte per scoprire un bluff giocando in contropartita con gli stati sovrani puo essere assai costoso.  

In concreto, dopo la prima reazione positiva il mercato si chiederà se questo commitment sia sufficiente a coprire anche la pesante situazione economica spagnola e in questo senso la volatilità probabilmente continuerà, anche perchè la soluzione dei problemi europei non è certo di facile identificazione.          

750 miliardi sono una bella cifra, ricordiamoci però che il solo debito pubblico spagnolo ammonta a 710 miliardi contro i 302 della Grecia e i 150 del Portogallo. Nei giorni scorsi sono state esposte diverse tesi che vanno dall’abbandono dell’Euro di alcuni paesi alla creazione di due Euro: uno del Sud e uno del Nord. A mio  avviso,  se già è difficile mantenere intatto l’Euro che abbiamo oggi, sarebbe ancor piu difficile crearne due nuovi: da una parte potrebbero andare Germania, Francia e i più virtuosi paesi del nord (magari strizzando un occhio al Regno Unito, nonostante in questi giorni si sia decisamente rifiutato di venire in soccorso di Paesi dell’euro in difficoltà), dall’altra Grecia, Spagna, Portogallo magari con l’ingresso della Turchia. E l’Italia – il cui debito pubblico rappresenta il 24% dell’Unione (quasi 2 trilioni di EUR) ed è altrettanto grande di quello della Germania – che è economicamente cosi profondamente divisa tra nord e sud dove andrebbe? Si dividerebbe tra queste due zone?

Volgendo lo sguardo al quadro economico generale, nonostante la crisi Sud Europea la situazione sembra piuttosto robusta: il clima aziendale sta migliorando e la disoccupazione inizia a ridiscendere.

In particolare guardando oltre oceano agli USA, gli indicatori di acquisto dei manager (ISM PMI) sono saliti a livelli storicamente top, l’economia è cresciuta nel primo trimestre del 3.2%, la spesa in consumi del 3.6% e gli investimenti di capitale del 13.4%. L’ 83% delle società ha riportato utili migliori delle aspettative e – cosa importante – il 70% vendite migliori delle aspettative. Le valutazioni sono appropriate e vi è tanta liquidità  ancora non investita.  

Il comitato di investimento di Vontobel suggerisce una riduzione dei bond europei in favore dei corporates in USD: se è vero che lo spread coi titoli di stato è sceso moltissimo rispetto ai massimi toccati nel 2008, questo rimane pur sempre il doppio rispetto al 2007 (2% contro l’1% ca) e non è affetto dalle incertezze sui debiti sovrani.

Il mercato immobiliare US che è stato la top performing asset class da inizio anno continua a dare segnali positivi.
I problemi dell’euro giocano a favore di dollaro e franco svizzero (nonostante l’impegno della banca nazionale svizzera a contenerlo) forti.

A breve sarà ancora possibile un trend laterale ma l’azionario rimane l’asset class con maggiore potenziale. L’unico aumento dei tassi nel prossimo periodo potrà avvenire da parte della FED.

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